Dammi oggi il mio robot quotidiano…
Una giornata quella di venerdì molto importante: un evento molto particolare e innovativo sul quale riferirò prossimamente.
Al termine degli interventi, la discussione ha toccato i tanti problemi strutturali che incontrano le imprese: vincoli infrastrutturali, burocratici, tassazione elevata, ecc.
Le tante difficoltà che incontrano imprese e imprenditori in un sistema paese, l’Italia, nel “vuoto spinto” di una politica sempre più lontana dal mondo civile e industriale.
Inevitabilmente la discussione ha toccato il tema degli incentivi legati a Industry 4.0.
Interessante l’osservazione di un imprenditore che rifletteva come oltre al rinnovamento tecnologico, la digitalizzazione delle aziende implicherà anche un rinnovamento del personale. Egli sosteneva, infatti, che le nuove tecnologie porteranno al ricambio di un segmento di popolazione aziendale privo delle competenze necessarie per gestire la sopra citata digitalizzazione e i conseguenti cambiamenti che saranno necessari a livello sia organizzativo sia dei processi.
L’osservazione dell’illustre imprenditore ha diverse implicazioni che val la pena di ragionare anche perché comuni a molti altri imprenditori e manager.
Quello che convenzionalmente è identificata come la nuova rivoluzione, Industry 4.0 appunto, appare, se ragionata con calma, tutt’altro che una rivoluzione ma semplicemente un’estensione, un ampliamento e un’evoluzione di tutta una serie di tecnologie già disponibili da qualche anno.
Curioso che il termine abbia visto la luce per la prima volta in Germania e personalmente non posso evitare di pensare che a supporto di questa cosiddetta “rivoluzione” via siano società di software intenzionate a diffondere i loro prodotti. Ma questa è un’altra storia.
Non c’è dubbio che le nuove tecnologie, stampa 3D, realtà virtuale, interfaccia utente, Big Data, cloud computing e via elencando, diventeranno sempre più presenti anche nelle imprese. Qualcuno ricorderà la diffusione dei microprocessori in tutta una serie di macchine, impianti e attrezzature nell’industria avvenuta qualche decennio fa.
Da sempre la tecnologia avanza e si diffonde, non vi è nulla di nuovo in quest’ovvia affermazione.
Premesso che la tecnologia da sola non produce un vantaggio competitivo, ma è solo un acceleratore (rimando il lettore al post Industry 5.0 e oltre … del 9 ottobre 2016 – noi siamo già al prossimo livello!!), l’uso massivo in azienda di tutta una serie di nuovi strumenti di connessione, interfaccia, trattamento dati, pone una questione decisiva: come si modificherà l’organizzazione aziendale? E quale sarà l’evoluzione della gestione dell’azienda dal punto di vista del management e della leadership?
Poiché molte aziende sono ancora gestite con stili di management del secolo scorso (seconda e terza rivoluzione industriale per gli amanti della precisione), sarebbe interessante capire se avremo aziende super-tecnologiche, connesse e con tutto l’armamentario “virtuale e digitale” così ben raccontato da tanti esperti, ma con l’one-man-show al comando che dirige e controlla, versione rivista e corretta del “padrone delle ferriere”.
Una persona, che mi permetto di definire compagno di viaggio e forse – osando – amico, presente all’evento di venerdì, Carlo Gremo, con il coraggio e la sensibilità profonde di chi ha speso una vita nel mondo del lavoro, ha detto:
Immaginiamo un’organizzazione industriale fra qualche anno dove, per essere competitivi, le informazioni viaggeranno in tempo reale, le officine schiereranno sempre più sistemi automatici ed enormemente flessibili, con ammortamenti significativi; ebbene avrebbe ancora senso che fosse organizzata con direttore generale, direttori di secondo livello, capi officina, capi reparto, capi squadra etc.?
Forse, cosa dobbiamo ricercare, è lo spirito dell’artigiano di un tempo, supportandolo con gli strumenti della nostra epoca, quell’artigiano che possedeva in sé la creatività, la conoscenza dei mezzi a sua disposizione, la capacità di produrre nel giusto tempo e bene e la sensibilità, spesso artistica, che lo guidava nel suo lavoro.
Questo spirito è molto difficile, al giorno d’oggi, ritrovarlo in una unica persona, in quanto l’oggetto che un tempo creava, oggi, è un qualcosa che, m’insegnate, è molto diverso e deve scaturire da un lavoro di gruppo opportunamente motivato e consapevole.
(Carlo Gremo, 20 ottobre 2017)
E proprio con l’obiettivo di discutere questo e altri temi, abbiamo organizzato un evento gratuito il 14 dicembre 2017, dal titolo:
BUSINESS 4.0 RELOADED
uomini, robot e manager: scoprire il vero percorso dell’innovazione.
Nel corso del quale con l’aiuto di alcuni speaker autorevoli, cercheremo possibili risposte ai temi posti da Industry 4.0.
Vi è tuttavia un’altra riflessione da fare rispetto alle considerazioni espresse dell’imprenditore citato in apertura.
E’ purtroppo molto comune l’idea di sostituire le persone quando non sono più adatte al compito che devono svolgere; certamente è considerato più facile che tentare di farle crescere e di dotarle di nuove competenze.
Nel luglio del 2014 scrivevo:
“Senza aver la pretesa di fornire un dato statisticamente rilevante, l’esperienza fatta in molte organizzazioni dimostra che non esistono processi strutturati di sviluppo e crescita delle competenze e dei talenti.
Molte aziende si affidano a quella che il mio caro amico Pietro Trabucchi chiama la “sindrome del Principe Azzurro”, nel suo bellissimo libro, “Perseverare è umano”, definisce questa modalità, il “complesso del Principe Azzurro”: vale a dire l’idea che da qualche parte nel mondo esiste la persona su misura per noi.”
(21 luglio 2014 – Il Fattore X).
Quello che poi succede in realtà è che il Principe Azzurro inserito in un contesto difficile, a volte confuso negli obiettivi, difettoso nei processi e restio al cambiamento finisce per conformarsi e trasformarsi in un altro ranocchio.
Un’ultima riflessione va fatta sul mito del talento.
Libri, seminari e migliaia di ore di meeting sono spesi ogni anno nella ricerca e costruzione dei cosiddetti talenti.
Secondo alcuni esperti il talento è simile ai tratti della personalità (stabili, caratteristiche fisse non facilmente modificabili); dallo sviluppo del talento dedicandogli tempo, recita la teoria, emerge il punto di forza (abilità che produce una performance quasi perfetta).
In ossequio alla teoria, attraverso analisi e valutazioni prodotti da efficienti e illuminati reparti di Risorse Umane, vengono così identificati tra la popolazione aziendale i “talenti” promettenti per i quali sono “progettati” percorsi di sviluppo e di carriera che consentano di far fiorire le loro abilità potenziali.
Molte bene per i talenti … molto male per tutti gli altri.
Basterebbe a questo proposito riflettere su un semplice fatto statistico: la distribuzione normale di una popolazione.
Nella teoria della probabilità la distribuzione normale, o di Gauss (o gaussiana), è una distribuzione di probabilità continua che è spesso usata come prima approssimazione per descrivere variabili casuali a valori reali che tendono a concentrarsi attorno a un singolo valor medio. Il grafico della funziona di densità di probabilità associata è simmetrico e ha una forma a campana, nota come campana di Gauss. (Wikipedia)
Morale?
La maggioranza dei dipendenti ruoterà attorno a un valore medio, ciò avrà un livello medio di “talento”, salvo che non si pensi che nessuno abbia una qualche capacità/competenza.
La focalizzazione sui talenti lascia intoccata la maggioranza della popolazione aziendale.
Il rischio è quello di avere aziende con (pseudo) geni e una maggioranza inadeguata o sulla quale non si investe per farla crescere, con conseguente abbassamento delle performance.
Per non citare l’aspetto legato alla motivazione e all’impegno che a questo punto dipenderà da come un dipendente viene valutato: talento o “senza speranza”?
A me pare che la focalizzazione sul tema del talento perda di vista un punto fondamentale: la più grande capacità che distingue gli esseri umani è la capacità di imparare.
E anche se non dotati di “talento” tutti possediamo questa capacità e possiamo, se motivati e disposti ad impegnarci, raggiungere un buon livello di prestazione, in qualunque attività decidessimo di cimentarci.
La trappola del talento è vecchia come il mondo, le prime tracce le troviamo nella Repubblica di Platone, dove gruppi di eletti avrebbero governato la polis. Non ci siamo evoluti molto.
Ancora più triste è ignorare sistematicamente quello che la scienza ha dimostrato e dimostra.
Da un punto di vista aziendale la scelta più facile e più veloce è puntare sui pochi dotati di “talento” e ignorare tutti gli altri, anche se la performance aziendale, mi spiace per i sostenitori del talento, è il risultato dello sforzo e dell’impegno di tutta la struttura.
Chi si occupa di persone, manager e HR manager, dovrebbe pensare che non sta reclutando i protagonisti di X-Factor, ma invece preoccuparsi di costruire un percorso sostenibile, fatto di processi adeguati, del giusto coinvolgimento e attenzione a tutti e non solo ai “talenti”, solo così concepito un piano di sviluppo delle persone può tradursi in un vantaggio duraturo per l’azienda.
Un vecchio proverbio cinese recita:
Se vuoi un anno di prosperità coltiva i semi;
Se vuoi dieci anni di prosperità coltiva gli alberi;
Se vuoi cento anni di prosperità coltiva le persone.
A molti, cento anni di prosperità non interessano, forse è per questo, che lavorano solo sui semi …
Design a better world …
Buona settimana
Massimo