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Felicita’ e infelicita’ nelle organizzazioni e perche’ Tolstoj aveva torto.

By 29 Ottobre 2017 Aprile 20th, 2018 No Comments

Felicità e infelicità nelle organizzazioni e perché Tolstoj aveva torto.40013599_lDue pericoli si nascondono sempre tra le pieghe dei processi di cambiamento: l’attenzione selettiva e il bias di conferma.

Attenzione
L’attenzione è un processo cognitivo della mente che permette di selezionare stimoli ambientali, ignorandone altri. Una metafora spesso usata per descrivere l’attenzione selettiva visiva è quella del “fascio di luce o zoom”, mentre per l’attenzione selettiva uditiva si utilizza la metafora del filtro, che lascia passare soltanto gli stimoli rilevanti. E’ tipicamente un processo passivo ovvero una reazione istintiva o neurofisiologica del cervello a stimoli esterni o interni sensoriali ed è distinta dalla concentrazione mentale che è invece un atto della mente in cui è implicata la volontà.
(…) Lo studio dell’attenzione selettiva è stato avviato da Cherry, il quale cercò di capire perché, fra stimoli molteplici provenienti dal mondo esterno, il soggetto ne selezioni alcuni (attended messages) lasciandone decadere altri (unattended messages).
(Wikipedia)

L’attenzione selettiva focalizza così alcuni stimoli ritenuti rilevanti trascurandone altri. Trascurare i “segnali deboli” di inadeguatezza e difettosità nei processi organizzativi può produrre sul lungo termine patologie gravi: se non si vede il problema non si può agire per risolverlo!

A essa si associa il bias di conferma:

Il bias di conferma in psicologia indica un fenomeno cognitivo umano per il quale le persone tendono a muoversi entro un ambito delimitato da loro convenzioni acquisite.
(…) E’ un processo mentale che consiste nel ricercare, selezionare e interpretare informazioni in modo da porre maggiore attenzione, e quindi attribuire maggiore credibilità a quelle che confermano le proprie convinzioni o ipotesi, e viceversa, ignorare o sminuire informazioni che le contraddicono. Il fenomeno è più marcato nel contesot di argomenti che suscitano forti emozioni o che vanno a toccare credenze profondamente radicate.
Spiegazioni di questo bias includono il pensiero illusorio e la limitata capacità umana di gestire informazioni. Un’altra spiegazione è che le persone sopravvalutano le conseguenze dello sbagliarsi invece di esaminare i fatti in maniera neutrale scientifica.
(Wikipedia)

Conosce bene la trappola del bias di conferma chi ha provato a segnalare interpretazioni “alternative” sul funzionamento di un’organizzazione suscitando reazioni emotive che hanno prodotto chiusura e negazione del problema. Oppure chi osservando la stessa cosa di un’altra persona ne fornisce un’interpretazione diversa ricevendo anche in questo caso chiusura e negazione.
Se il decisore ha deciso, è quasi inutile qualsiasi tentativo di mostrare fatti alternativi…
Il bias di conferma è un potente blocco mentale che difende la propria convinzione a prescindere da altre prove.

In ogni progetto o cambiamento importante si raggiunge un punto – che mi piace definire con un’immagine – in cui ci si trova in “mezzo al fiume”, pozione scomoda ed equidistante sia dal punto di partenza sia dal punto di arrivo: o vai avanti o torni indietro.
Ogni cambiamento, che incide nel profondo di un’organizzazione, porta alla luce problemi non risolti, processi inadeguati, assunzioni non più valide e così via; in quel preciso momento, quando ci si trova appunto in “mezzo al fiume” è necessario una spinta forte per superare il momento di difficoltà e giungere così sull’atra sponda.
Fuor di metafora significa mettere mano ai problemi, ai processi, alle strutture e dare un segnale forte che la nuova direzione è quella che l’azienda ha deciso di intraprendere.
Uno sbandamento può avere conseguenze definitive e … mortali (per il processo di cambiamento naturalmente).
Guidare un gruppo in “mezzo al fiume” richiede una leadership attenta, decisa, sensibile e determinata.

In quella posizione strana, il leader potrebbe scoprire di non essere adeguato, oppure di non avere le giuste competenze.
Egli, primo fra tutti, dovrebbe dare l’esempio di come il cambiamento non sia solo una parola utile per tutte le occasioni, ma dimostrare nei fatti e nei comportamenti, cioè con l’esempio, che se egli può, chiunque altro non può esimersi dal farlo.

Il leader vive prima di tutto il processo di cambiamento cambiando se stesso.

Alcuni esperti hanno identificato alcuni tratti caratteristici del leader efficace: sicurezza di se, carisma, determinazione, intelligenza emotiva e integrità.
Skill (e non solo tratti!) importanti, ma la determinazione, sapere dove si sta andando e come ci si vuole arrivare, e l’integrità, coerenza tra il pensare, il dire e l’agire, hanno importanza fondamentale in un cambiamento rilevante.
E qui spesso rileviamo profonde dissonanze, tentennamenti e ricadute nei vecchi modelli di pensiero e di azione che mandano segnali discordanti e che rallentano il processo.
Un vecchio adagio recita: “tre passi avanti e due indietro va bene, il contrario no!”.
E avviene proprio così, con fatica si progredisce, ma improvvisamente ci si ritrova al punto di partenza o quasi, perché, chi deve guidare le attività, esita e non è convinto.

La prima regola che un leader dovrebbe seguire è scritta nel giuramento di Ippocrate: primum non nocere, per “prima cosa non nuocere”.
Ai dottori viene insegnato che la cosa più importante è, prima di tutto, non aggravare la situazione del paziente e così dovrebbe essere per chi ha un ruolo di responsabilità.
Se non ne è consapevole, può fare grandi disastri.
 
La seconda regola dovrebbe essere la conoscenza dell’attenzione selettiva e del bias di conferma.
Consapevolezza che porta alla ricerca e generazione di alternative, a costruire percorsi nuovi e a evitare le trappole dei vecchi modelli.

Molto spesso mi capita di trovare una frase di Tolstoj diventata famosa:

Tutte le famiglie felici si somigliano;
ogni famiglia infelice è invece disgraziata a modo suo.
Lev Tolstoj

Volete sapere una cosa?
Non è vera nel business.

La sua riformulazione dovrebbe essere così:
Ogni azienda di successo ha successo per ragioni diverse;
tutte le aziende problematiche o bloccate, lo sono per le stesse ragioni, cioè si somigliano.

Nella mia definizione faccio riferimento a un termine “successo” che andrebbe definito più precisamente, il profitto è solo uno degli indicatori.
Forse qualcuno ricorderà che la Lehman Brothers fallita nel settembre del 2008, aveva fatto il record dei profitti l’anno precedente.
Il successo in termini di sostenibilità e durata è un termine multidimensionale che dovrebbe guardare non solo agli aspetti finanziari, ma anche alla capacità dell’azienda di produrre innovazione, di sapersi adattare, all’ambiente di lavoro, alle capacità di sviluppo delle proprie persone, all’originalità dei modelli di management e così via.

Le aziende problematiche hanno invece alcune caratteristiche comuni: cronica mancanza di fiducia, processi inadeguati, scarsa partecipazione e coinvolgimento delle persone, uno stile di leadership da prima rivoluzione industriale, mancanza di visione e in alcuni casi di strategia, ecc. ecc.
Non proseguo oltre per non deprimere l’amico/lettore.
Credo, tuttavia, sia chiaro il senso di quello che intendo.

Tutto questo gran parlare di tecnologia, Industry 4.0 e corollari, lo trovo noioso e soprattutto fuorviante perché non tratta della più grande innovazione e tecnologia che dovrebbe invece interessare imprenditori e manager, e di cui non si parla: un nuovo modello di management.
 
Studiando con attenzione le aziende che hanno costruito un percorso di innovazione e di eccellenza si può osservare che sono contraddistinte da modelli e schemi organizzativi diversi, bisogna diffidare quindi di chi per costruire il solito modellino a punti (bullet point) cerca di semplificare troppo e leggere strutture che esistono solo nella sua mente, la realtà di queste aziende all’avanguardia è più complessa di qualsiasi elenco puntato.

Oggi viviamo l’”eccitazione”, a sentire giornalisti e politici, di una ripresa dell’economia, che se letta bene presenta forse più ombre che luci e che, soprattutto, trova immodificate strutture organizzative rimaste legate a modelli obsoleti e un sistema di gestione dell’impresa da Industry 2.0, con il rischio che a un rallentamento dei mercati, che prima o poi, purtroppo ci sarà, riemergerà in tutta la sua decrepita antichità.

Attenzione selettiva, bias di conferma e inversione della regola di Tolstoj… prima di tutto non nuocere e secondo, consapevolezza.

Design a better world …
Buona settimana
Massimo

 

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