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Il mestiere di capo 3. Il management della signora Luisa.

By 8 Maggio 2016 Marzo 29th, 2018 One Comment

Il mestiere di capo 3. Il management della signora Luisa.Blog 1816La signora Luisa arriva presto, finisce presto e di solito non pulisce il water.
Così diceva la signora Luisa in pubblicità del 1982 promuovendo il prodotto Gled Magic Water.

Quale potrebbe essere la relazione tra la signora – dal piglio deciso e frettoloso, con il suo cappottino marrone e il cappellino molto vintage – e il mestiere di capo?

Intanto molti capi sono proprio come la signora Luisa, arrivano presto e finiscono presto, cioè non tengono conto che ci sono lavori che non si possono fare a mezzo servizio. E il mestiere di capo è uno di quelli.
Questo ovviamente non significa che non si debba avere un giusto bilanciamento anche dei tempi, degli impegni e della vita privata. Ne ho scritto recentemente nel “Mestiere di capo 2. Facite ammuina” (24.4.2016).

Di solito non pulisce il water, cioè alcuni capi non si vogliono sporcare le mani. Vogliono solo il lato A del mestiere di capo, quello del titolo, magari dello stipendio e del bonus, della visibilità, ma non quello del lato B, ossia dell’impegno, del lavoro, del trattare con situazioni di relazioni anche complesse e a volte difficoltose, della comunicazione e del feedback, necessari per essere un buon capo. Solo questo tema giustificherebbe altre e ben più profonde riflessioni.

Ma c’è qualcosa ancora di più fondamentalmente sbagliato nel management della signora Luisa: il rifiuto di prendere l’iniziativa e della mancanza di progettualità, che un buon capo dovrebbe essere capace di mettere in campo.

Iniziativa e progettualità significano decisione di agire anche se non stimolati, farsi promotore ed essere intraprendenti e capaci di agire di testa propria per affrontare difficoltà o situazioni nuove (problemi / opportunità).

La prima cosa più facile è reagire.
La seconda è rispondere.
Ma quella più difficile è prendere l’iniziativa.
Seth Godin

La “trappola delle belle parole” scatta quando capi e sottoposti sanno cosa bisogna fare, ma continuano a parlarne, scriverne, rifletterci, finché tutte quelle chiacchiere diventano fini a se stesse anziché costituire uno stimolo all’azione. Tutto questo mucchio di parole (e di numeri e di immagini) – generato dalle chiacchiere inutili, dalle sessioni di brainstorming, dalle discussioni protratte, dalle presentazioni, dalla pianificazione strategica, dai modelli di pianificazione stage-gate, dalla programmazione degli scenari, dalle riunioni di comitato, dai mission statement, dai budget, dalle previsioni delle vendite – può essere stranamente confortante anche quando non produce alcun risultato concreto.
(Robert I. Sutton – Testa di capo)

Sutton procede citando anche qualche esempio:
Ho chiesto a Brad Bird della Pixar, due volte premio Oscar: “Quale tipologia di persona è particolarmente deleteria per il processo di innovazione?” Mi ha risposto: “Le persone che parlano bene ma poi non lavorano bene; si proprio loro. Sai, non mi importa se una persona è ingenua ma si sente coinvolta, perché so che si sta dando da fare. Ma ci sono persone che sanno parlare come quelli bravi, ma poi non sanno comportarsi di conseguenza.
(…) I capi di ogni tipo riconoscono subito la trappola delle belle parole, ci raccontano aneddoti in proposito, illustrano gli ostacoli che rendono difficile evitarla. Anche i capi migliori a volte non riescono a implementare le buone idee; il divario tra sapere e fare è una realtà ineludibile della vita d’azienda. I peggiori non si rendono neppure conto di reprimere e indirizzare male le azioni. I migliori trovano modi per colmare il divario, anche in ambienti di lavoro funestati da chiacchiere vane e inerzia.
(Robert I. Sutton – opera citata)

Perché questi capi non prendono l’iniziativa?
Ecco una lista delle possibili cause:

  • pigrizia (vedi il post già citato);
  • paura: temono il fallimento o le sue conseguenze; temono di non farcela; emozione tipica di ambienti distruttivi che distruggono l’iniziativa;
  • non sono motivati;
  • amano la tranquilla sicurezza dello status quo;
  • hanno trovato una zona di comfort che non vogliono perdere;
  • non sanno come fare: non hanno metodo né competenze per agire in modo efficace;
  • sono ciechi: non vedono né il problema né l’opportunità;
  • pur essendo magari ottimi esecutori non sono mai stati stimolati a prendere l’iniziativa;
  • non vogliono assumersi impegni, “galleggiano” nell’organizzazione;
  • effetto “mostarda”: ci sono organizzazioni vischiose e lente, che farebbero perdere la pazienza a un santo;
  • non vogliono sporcarsi le mani (sottocategoria di uno dei punti precedenti);
  • sono talmente invischiati nel caos quotidiano che tutte le loro energie sono assorbite nello spegnimento degli incendi (gestione del tempo e incompetenza nel risolvere in modo efficace i problemi);
  • non sono focalizzati, corrono dietro a ogni minimo disturbo senza definire con chiarezza priorità e obiettivi;
  • sono continuamente distratti dal cellulare, dalle mail, dalle riunioni; l’unico modo per riuscire a parlargli è – anche se siete nella stessa stanza – di telefonargli, o mandargli un sms, oppure scrivere via whatsapp o su facebook;
  • hanno adottato la filosofia del “non fare”;
  • per agire aspettano la condizione perfetta … che non ci sarà mai (sig!).

Che fare allora?
Jovanotti e Hemingway ci vengono in aiuto.
 
Per migliorare il mondo l’unico modo è fare qualcosa, sentirsi dalla parte giusta non basta.
(Jovanotti)
Insomma … datti una mossa!

Ora non è tempo per pensare a ciò che non hai. Pensa a quello che puoi fare con quello che c’è.
(Hemingway)
E di solito si può fare molto…volendo!

Se non c’è iniziativa, non può esserci neanche progettualità, che definisco come la propensione a fare progetti, a ideare, a sviluppare idee e attività. A fare sul serio (ricordiamoci della “trappola delle belle parole”).

I capi che non prendono l’iniziativa e non sviluppano progetti (nel senso sopra specificato) non faranno mai errori e non impareranno mai nulla. Rimarranno congelati – dal punto di vista dell’esperienza e delle competenze – in un punto dello spazio-tempo e non evolveranno. Ma se non evolvono e non imparano, non potranno neppure essere da stimolo ai loro collaboratori, innescando un ciclo perverso di stagnazione / frustrazione / staticità che può essere devastante per un’organizzazione in tempi veloci come gli attuali, oltreché demotivante per chi invece vorrebbe provarci.

Più invecchio e più trovo sensata l’antica regola di cominciare dall’inizio, un processo che spesso riduce i problemi più complessi in proporzioni gestibili.
(Dwight D. Eisenhower)

Un maestro zen una volta ha detto che solo chi ha il coraggio di scrivere la parola fine, può trovare la forza per scrivere la parola inizio. In altre parole, vuol dire scrivere la parola fine, su tutta una serie di comportamenti e schemi mentali non funzionali e trovare le energie per un inizio fatto di impegno, iniziativa e progettualità.

Immagina la vita come se fosse una partita di calcio: lo stadio è illuminato, gli spalti gremiti, entrambe le squadre sono schierate in campo pronte per il calcio di inizio eppure manca qualcuno, manchi tu. Ti stanno aspettando.
La porta dello stadio è aperta, l’unica cosa che devi fare è entrare, ma quando sei prossimo all’ingresso ti accorgi che intorno allo stadio ci sono un sacco di persone che si agitano; alcune camminano, altre corrono, alcune procedono da sole, altre in gruppo. Appaiono tutte molto affaticate, vorrebbero fermarsi a riposare ma sembra che non possano.
Ti passano accanto e lanciano commenti tipo: “Eccolo il furbo che non corre, chissà che cosa aspetta … Ehi, guarda che il tempo passa senza che tu te ne accorga!”
Ti viene voglia di fermare qualcuno per domandargli come mai corra, ma nessuno ha tempo per fermarsi e se glielo chiedessi ti risponderebbe: “Non siamo filosofi, non ci poniamo grandi domande, siamo gente pratica”.
Però qualcuno si interessa a te e ti invita a unirti alla sua corsa: “Un vero motivo non c’è amico; è un mistero della vita; non si sa perché corriamo, ma se noti qui corrono tutti e i più furbi corrono anche di più, quindi non ti porre troppe domande e fallo” ti spiega.
Correndo conoscerai sempre più persone fino a quando anche tu, abituato a girare intorno allo stadio, un bel giorno non ti ricorderai nemmeno più dove sia l’entrata e tanto meno ricorderai che qualcuno al suo interno ti stava aspettando per incominciare la partita. Te ne sei scordato, come succede a tutti quelli che iniziano a correre e che a loro volta erano attesi per disputare una partita.
Con il passare del tempo vedrai di tutto – gente che gareggia per scoprire chi riesce a fare il giro dello stadio nel minor tempo possibile, persone stressate perché vogliono arrivare per prime – e capirai quali sono le regole che reggono il sistema dei corridori.
Parecchia gente è convinta di poter trovare ciò che le manca correndo il più velocemente possibile. Eppure la ricerca sembra non esaurirsi mai, nonostante i numerosi giri e la fatica: loro non sanno che l’unica cosa da fare sarebbe smettere di correre ed entrare in campo.
(Alvaro Gomez Contreras – Il cuore oltre l’ostacolo)

L’unica cosa da fare è decidere di sporcarsi le mani, di provarci e di prendere l’iniziativa.
Quando si giunge a realizzare le cose, abbiamo bisogno di meno architetti e più di muratori.
(Barrett Colleen)

Buon inizio e buon lavoro allora e … non dimenticare la lezione della signora Luisa.

Buona settimana
Massimo

 

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