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Design a better world.

By 1 Maggio 2016 Marzo 29th, 2018 No Comments

Design a better world.Blog 1716The visionary starts with a clean sheet of paper, and re-imagines the world.
Malcom Gladwell
 
L’immaginazione è l’inizio della creazione. Tu immagini ciò che desideri, vuoi quello che immagini e infine crei ciò che vuoi.
George Bernard Shaw

Mi piace molto fare “incursioni” nel mondo del design, e sono convinto che, questa è e sarà la nuova frontiera delle organizzazioni vincenti e ad alta velocità.

In una mostra affascinante dal titolo NEOPREISTORIA, due architetti e designer, Andrea Branzi e Kenya Hara hanno creato un percorso che “connette il design con il pensiero, prima ancora che con le cose.” (Claudio De Albertis, Presidente della Triennale di Miliano)

Nel catalogo della mostra, Kenya Hara scrive:
Combinando cento utensili e cento verbi, abbiamo provato a descrivere come un poema in forma fissa la storia dei desideri dell’umanità. L’essere umano ha accresciuto le proprie abilità mediante gli utensili. Aumento delle abilità equivale ad aumento dei desideri. L’evoluzione degli utensili è cioè l’evoluzione stessa del desiderio. Il termine evoluzione può dare l’erronea impressione che si vada verso la raffinatezza, ma ad evolvere non è solamente l’intelligenza: si evolvono anche la stupidità, la ferocia, l’astuzia. Chissà se davanti a questa evoluzione c’è la speranza?
(…) Innanzitutto osservate l’Età della pietra. Gli utensili di pietra non sono affatto stupidi oggetti creati da un intelletto ai suoi albori, ma sono prodotti con precisione da una tecnica manuale addestrata. I primi attrezzi costruiti dall’umanità riflettono la stessa intelligenza e la stessa consapevolezza che si ritrovano nella mano dell’uomo di oggi. Gli utensili sono molto belli e feroci. In essi si può leggere al tempo stesso la predestinazione e il futuro dell’umanità.
La nascita degli utensili di pietra significa l’inizio del costante rapporto tra l’essere umano e gli oggetti, che sono un mezzo per ampliare le abilità. Dalla caccia e dalla raccolta si passa alla coltivazione e alla dimora fissa; col tempo la carta e la bussola, poi l’invenzione della polvere da sparo fanno accelerare l’evoluzione dei desideri dell’umanità. L’intelligenza fa al tempo stesso accelerare anche la crudeltà e la scaltrezza, gli esseri umani nuocciono ad altri esseri umani e commettono persino l’errore di inquinare l’ambiente che avrebbe dovuto dare ordine e pace. La rivoluzione industriale e l’invenzione del computer non hanno generato soltanto comodità e divertimenti, ma anche disuguaglianza e squilibri sociali e hanno sollevato l’ansia nel cuore degli esseri umani.
(…) Pensare questa mostra insieme con Andrea Branzi è stata una bellissima occasione per esaminare le attività umane con uno sguardo severo ma anche benevolo e per capire che lo splendore della vita si trova proprio nel fatto che gli esseri umani nella loro ridicola stupidità continuano ostinatamente ad andare avanti imperterriti.
(Kenya Hara – Neopreistoria 100 Verbi)

L’uomo “continua ostinatamente ad andare avanti”, a creare, progettare e ri-progettare il proprio ambiente e i proprio strumenti, in uno sforzo incessante.
Siamo in realtà tutti designer.
Naturalmente c’è un design buono e un design cattivo, come i due designer sottolineano: L’intelligenza fa al tempo stesso accelerare anche la crudeltà e la scaltrezza.

Nel linguaggio corrente “design” indica sia il mestiere di chi trasferisce valore estetico e originalità a un artefatto fisico o virtuale sia quell’artefatto medesimo. Si dice infatti comunemente che un certo oggetto è “di design”. Entrambi, prodotto e mestiere, sono caratterizzati da ricerca espressiva, innovazione tecnologica, eterodossia formale, contemporaneità.
(…)La parola “design” rimanda a svariati contenuti possibili accomunati dalla progettualità, ossia dal fatto che colui che li pratica esercita l’eterno fascino di chi finirà, prima o poi, per influenzare i gusti, le aspettative e gli stili di vita e di consumo, e dunque in parte almeno i nostri comportamenti.
(…) Il design è come il sale: preso nella giusta dose, dà sapore e significato alle cose, le rende gradevoli e desiderabili. Proprio come il sale, un pizzico di design sta bene quasi dappertutto, e questo spiega perché il design sia così diffuso, anzi pervasivo e trasversale: design degli oggetti, design delle relazioni e delle comunicazioni, design degli ambienti e delle interazioni, design delle strategie e dei servizi.
(Francesco Trabucco – Design)

Connettere il design con il pensiero vuol dire, allora, “progettare strategie”, “progettare esperienze”. Insomma, “progettare il business”, Business Design.
 
(…) Da tempo circola l’idea che il design sarebbe una risorsa strategica per la competitività e l’economia dei Paesi ad alto tasso di industrializzazione. Tesi già al centro di un documento della Comunità Europea (Commission of the European Communities, 2009), a conclusione di una consultazione pubblica che intendeva valutare come il design si potesse integrare nella politica europea di innovazione e quali contributi potesse dare concretamente all’economia. Dal documento emergono alcuni risultati interessanti: le aziende che investono nel design tendono a essere più innovative, ad avere profitti più alti, maggiore crescita e minore necessità di competere sul prezzo dei loro prodotti, inoltre vedono migliorare il proprio margine di contribuzione, e quindi aumentare – circolarmente – la disponibilità di risorse finanziarie da reinvestire in ricerca, innovazione e design.
(Francesco Trabucco – Design)

Un altro interessante aspetto del design, sottolineato dal dr.Trabucco, è il design come vantaggio competitivo:
Lungi dall’essere ritenuto una risorsa strategica, il design – la cui eccellenza pure viene riconosciuta come elemento caratterizzante dell’identità italiana nel mondo – in quelle politiche (pubbliche e private) spicca per assoluta marginalità. Al contrario in altri Paesi, asiatici in particolare, si fanno importanti investimenti sul design, sia sostenendo la ricerca, sia promuovendo la formazione e la penetrazione della cultura e della pratica del design nel sistema delle imprese, sia infine impegnando risorse economiche e attività istituzionali nelle competenze progettuali nazionali.
(…) Al di fuori dei settori industriali tradizionalmente nati con il design, cioè l’industria del mobile, dell’arredamento in generale e della moda, il design è presente in una percentuale molto bassa di prodotti industriali made in Italy, se confrontata con quella tedesca o inglese. La politica del basso prezzo, alimentata dal complesso di inferiorità delle piccole e medie imprese italiane, ha spinto molti imprenditori a delocalizzare la produzione o a comprare all’estero prodotti belli e fatti e venderli in Italia.
Nel frattempo i prodotti esteri migliorano di qualità e di gusto, certo in conseguenza della globalizzazione della cultura, ma anche di avvedute politiche di incentivazione e desficalizzazione degli investimenti in design. Grandi aziende dei Paesi in via di sviluppo investono sempre più in design, spesso ingaggiando designer italiani o europei di buona reputazione, con il risultato di aggravare il gap con il sistema industriale italiano.
(Francesco Trabucco – Design)

Insomma, un altro esempio di incapacità delle istituzioni di sostenere quello che rende unici i prodotti italiani (Italian Style) e del provincialismo che affligge molte aziende nostrane.
Così, dal lato pubblico e politico, osanniamo il successo di Expo 2015 sul “food”, anziché intraprendere iniziative che portino e promuovano il design italiano nel mondo.
Progettiamo un’esperienza (cattivo design) folle per quegli sventurati che hanno avuto la bella pensata di visitare l’esposizione, con l’impossibilità di visitare gli stand per cattiva organizzazione, il tutto in mezzo a entusiasti proclami di successo (pessimo esempio di progettazione dell’esperienza che un visitatore avrebbe dovuto sperimentare).

Molte imprese private, invece, impermeabili a cambiamenti di atteggiamento, strategie e paradigmi, sono alla ricerca del “basso prezzo”, perseguendo miopi politiche e strategie adatte a un mondo da prima rivoluzione industriale.
Se “l’essere umano ha accresciuto le proprie abilità mediante gli utensili”, come correttamente sostiene Hara, le aziende dovrebbero dotarsi anche di nuovi “strumenti concettuali” e cercare percorsi davvero innovativi. Assistiamo a decisioni basate sempre su una proiezione lineare del passato nel futuro, reiterando strategie e investimenti che continuano a guardare indietro nel tempo, nella ripetizione infinita della “formula di successo” aziendale, come se il mondo fosse statico e immutabile.

Al termine del suo keynote, la coinvolgente presentazione, al Macworld Expo del gennaio 2007, Jobs si congedò dal pubblico con questo pensiero: “ C’è una vecchia frase dell’hockeista Wayne Gretzky che amo particolarmente:‘Pattino verso il punto in cui il disco sta per andare, non dove è appena passato’. In Apple abbiamo sempre cercato di fare così. Fin dagli inizi. E continueremo a farlo.” Eleanor Roosevelt disse una volta che il futuro apparteneva a chi credeva nella bellezza dei propri sogni. Steve Jobs ha sempre creduto nella bellezza del suo sogno di cambiare il mondo.
(Carmine Gallo)

Pattinare verso il punto in cui il disco sta per andare, richiede visione, capacità di immaginare futuri possibili, di produrre idee e vera innovazione. Richiede e richiederà un approccio design-oriented, per costruire aziende che pensino a come far felici i clienti e i dipendenti, cioè capaci di costruire una crescita sostenibile nel tempo.

Design a better world, è esattamente questo, produrre idee, prodotti, servizi, esperienze che migliorino la vita di tutti.

Buona settimana
Massimo

 

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