Le capacità aumentano, ma la saggezza svanisce. Il titolo di questa riflessione riprende, in parte, una frase del filosofo Bertrand Russell, che citavo nel post del 15 febbraio – L’insostenibile leggerezza del potere.
Nella sua completezza il pensiero di Russell così andava:
Uno dei mali della nostra epoca consiste nel fatto che l’evoluzione del pensiero non riesce a stare al passo con la tecnica, con la conseguenza che le capacità aumentano, ma la saggezza svanisce.
Effetti di questa lentezza nell’evoluzione del pensiero sono visibili quotidianamente:
cattive decisioni;
problemi che si ripresentano costantemente perché in realtà non risolti;
servizi o prodotti mal progettati;
relazioni e rapporti gestiti male;
processi difettosi;
aziende e organizzazioni che appaiono congelate nel tempo;
molto “mannaggiament”;
ecc., ecc.; la lista potrebbe proseguire ancora a lungo.
Il gap tra un pensiero a volte fermo al passato, incapace di evolvere e un ambiente sociale e tecnologico in costante e veloce cambiamento, produce una tensione negativa (stress/ansia/demotivazione) che rischia di imballare persone e organizzazioni.
Così mentre le nuove tecnologie aumentano le capacità effettive e potenziali di azione, in realtà la saggezza – nel migliore dei casi -rimane costante, in molti altri purtroppo, diminuisce.
Per correttezza intellettuale bisogna riconoscere che esistono, sia individui, che aziende, che sono riuscite a tenere il passo e che stanno marcando in modo deciso la differenza con quelle organizzazioni rimaste impantanate. E come sempre le eccezioni sono istruttive per riflettere.
Non si può guardare alla concorrenza e dire che intendi fare meglio.
Devi guardare alla concorrenza e dire che intendi farlo in modo diverso (Steve Jobs).
E in quel “farlo in modo diverso” è nascosta tutta la difficoltà, ma anche una grande opportunità.
Guru, consulenti, professori, amano molto racchiudere il segreto del successo in brevi formule (come quelle frasi a effetto che si trovano nei Baci Perugina) o schemi che hanno il pregio della semplicità (apparente), della facilità d’uso (qualcuno ha predigerito lo schema), dell’attrazione (schema=ricetta=poca fatica=successo=risultato), della prevedibilità (del risultato, cosa che piace molto ai manager), della scalabilità (si estende lo schema a tutta l’organizzazione) e dell’imitazione (se l’azienda X lo fa e ha successo e anch’io lo applico, allora anch’io avrò successo).
Questi schemi prendono poi la forma o di ricette da applicare all’azienda (ne vedo di veramente divertenti e spassosi) o di schemi da compilare per diventare star del mercato. Ne ho scritto in Ricette per catastrofi (post del 29 marzo 2015).
Così per ogni tipologia di problema c’è: a) un consulente o specialista adatto; b)uno schema o modello per risolvere il tuo problema (a volte proposto dall’esperto).
In realtà tutti questi schemi hanno due problemi fondamentali di base.
Primo, sono spiegazioni a posteriori, ossia analizzano una serie di casi di successo per definirne i termini e le condizioni comuni che li hanno causati dopo che si sono verificati;
Molti ricercatori, consulenti e scrittori in ambito economico creano e ci propongono visioni statiche – istantanee – di tecnologie, aziende e mercati.
Le istantanee descrivono in un momento ben preciso, quello dello scatto, le caratteristiche e le pratiche aziendali di successo rispetto a quelle in difficoltà, o le prerogative dei dirigenti che ottengono i risultati migliori.
Esplicitamente o implicitamente, affermano poi che se volete ottenere quegli stessi risultati dovete imitare ciò che fanno le società e i dirigenti più bravi.
Le istantanee ci dicono chi è in vantaggio e chi è rimasto indietro nella gara, ma ci raccontano ben poco di come ci sono arrivati e di che cosa accadrà loro in futuro.
(Clayton Christensen)
Secondo, quei modelli che sono usati per definire la strategia, o lo sviluppo di prodotti o più in generale, il processo d’innovazione, non possono dare l’IDEA GIUSTA, che è quella che fa tutta la differenza e che deve essere cercata da chi utilizza lo schema.
Quello che è veramente importante non è tanto lo schema, che è un modello convenzionale, semplificato rispetto alla più complessa realtà di un problema, di un fenomeno, di un oggetto, di un meccanismo, di un processo, quanto l’idea. E se peraltro si trova l’idea giusta, lo schema, serve ex-post, per concettualizzare quello che è stato fatto.
Il fascino dei modelli e degli schemi è senza dubbio molto alto e molti consulenti e accademici li adottano per fornire “soluzioni pronte all’uso” (come i sughi), nei più diversi ambiti del business. I risultati, poi, sono evidenti a tutti.
Se solo una minima parte dei miracoli che promettono fossero veri, dovrebbero essere migliaia i casi di successo, invece la realtà è ben diversa. Quegli schemi e quei modelli creano, essenzialmente, il successo di chi li vende o di chi ne scrive nei libri.
Così come l’acquisto di un pennello non ti fa artista, o il possesso di scarpe della stessa marca del calciatore di successo non ti trasforma in un giocatore di classe mondiale, non ci sono scorciatoie all’impegno, allo sforzo e alla disciplina.
Possono essere strumenti utili, se usati correttamente, per riflettere e ragionare, ma non sono la Pietra Filosofale, cercata per secoli inutilmente dagli alchimisti, per trasformare il piombo in oro. Harry Potter è un’opera di fantasia e confondere l’irreale con il reale crea una dissociazione che può produrre nevrosi o pazzia.
Non può esserci sostituto per il pensare: pensare è una delle armi più efficaci quando si affrontano i problemi. (Nelson Mandela)
Mi riferisco al ben pensare, una disciplina sulla quale val la pena di spendere qualche sforzo e che, soprattutto, si può imparare e che migliora con l’uso.
Diffidate, dunque, sempre di schemi e modelli, che sono appunto tali: una rappresentazione della realtà e non la realtà stessa (la mappa non è il territorio!) e usateli per quello che possono dare, una struttura al ragionamento, che deve però poi essere capace di generare idee e alternative originali, o nel caso di problem-solving, capace di costruire soluzioni che rimuovano le cause profonde del problema.
L’evoluzione del pensiero è, qualcosa che aumenta le nostre capacità di pensare, di produrre idee nuove e originali, affronta i veri problemi e tiene in conto i valori che non possono essere dimenticati quando si trattano certe classi di problemi.
Il concetto di Saggezza fa tradizionalmente riferimento alla sfera propria delle attività umane ed esprime la condotta razionale nell’ambito di questa sfera, cioè la possibilità di dirigerla nel modo migliore. La Saggezza non è la conoscenza di cose alte e sublimi, remote dalla comune umanità, come la Sapienza: è la conoscenza delle faccende umane e del miglior modo di condurle (Nicola Abbagnano).
La saggezza richiede un buon uso del pensiero, del comportamento e delle azioni, di sensibilità, di empatia e di attenzione verso l’altro e di valori che siano una sorta di guida, qualità dello spirito e dell’agire, spesso sacrificati e dimenticati, sia per incapacità e incompetenza sia per il prevalere di logiche miopi di breve termine.
Un buon leader deve essere una persona saggia e saper condurre le faccende umane nel miglior modo, perché è nell’interesse dell’azienda, della collettività, delle persone stesse, e forse, perché più fondamentalmente è … semplicemente giusto; è quello che ci si aspetta che il leader faccia, se vuole essere tale, di fatto e non solo di nome.
E’ necessario recuperare il tempo per pensare, per comunicare e dialogare con le persone, trovare il tempo per ascoltarle e farle crescere. Dobbiamo curare sia le capacità fornite dalla tecnologia sia quelle più soft necessarie per la guida delle persone.
Hardware, software e human touch?
La saggezza non consiste nel governare gli altri, ma nel governare se stessi, diceva Lao-Tsu (La Naturalezza); una qualità del leader è quindi l’equilibrio e la conoscenza di se; d’altronde se non sa guidare se stesso come può pensare di guidare altri?
Pertanto i saggi non usano la conoscenza per sfruttare le cose e non lasciano che i desideri distruggano la loro armonia. Quando sono felici non diventano agitati e quando sono tristi non sono angosciati senza speranza. Perciò non sono in pericolo nemmeno nei posti alti; sono sicuri e stabili. (Lao-Tsu)
Questi tempi complessi, ingarbugliati e tempestosi chiedono originalità, riflessione, azione, saggezza e visione. Non si trovano negli schemi dei guru, o nella tecnologia, ma nell’esplorazione costante e nel desiderio di continuare ad apprendere e a migliorare, nel costruire se stessi come leader ogni giorno, imparando dagli errori e facendosi guidare dalla mente e dal cuore, trovando il tempo per fermarsi e pensare.
Seguire significa combinare gli eventi in modo da armonizzarli con i tempi. I continui cambiamenti non permettono di fermarsi: se agisci in anticipo, vai troppo avanti; se agisci troppo tardi, perdi l’occasione.
I giorni e i mesi passano, e il tempo non si trastulla con gli uomini. Ecco perché i saggi apprezzano di più un po’ di tempo che una grande gemma.
Il tempo è difficile da trovare e facile da perdere. (Lao-Tzu)
Trovare il tempo per “ben” pensare ci rende più efficaci e migliori.
Buona saggezza e buon tempo
Massimo