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Il Piave mormorava …

By 24 Maggio 2015 Marzo 29th, 2018 No Comments

Il Piave mormorava …Blog 2215 Il Piave mormorava
calmo e placido
al passaggio dei primi fanti il ventiquattro maggio…

Il 23 maggio 1915 l’Italia inviava l’ultimatum all’Austria e il 24 maggio le dichiarava guerra, iniziava così la Grande Guerra anche per gli italiani.
La Prima Guerra Mondiale fu la prima guerra moderna combattuta con l’ausilio di nuove tecnologie e strumenti di distruzione, carri armati, gas, aerei, solo per citarne alcuni e causò circa dieci milioni di soldati caduti nei combattimenti, più un numero molto alto di feriti e mutilati. A distanza di 100 anni sono visibili ancora oggi i segni lasciati nei territori dove è stata combattuta da scontri condotti con inumana ferocia.

Un bel libro di Lorenzo Del Boca ne traccia la storia da una prospettiva interessante e istruttiva: GRANDE GUERRA, PICCOLI GENERALI – Un cronaca feroce della Prima Guerra Mondiale. Il libro tratta un argomento trascurato dalla storiografia ufficiale: l’inettitudine degli ufficiali dell’Esercito Italiano. Il libro mi ha molto interessato per l’analisi storica e di costume ben documentata e anche per le riflessioni che la sua lettura mi ha provocato sulle responsabilità e gli errori in cui può incorrere chi ha la leadership di un’organizzazione. E’ una bella lettura, insomma, anche per manager e imprenditori.
Tanti, troppi sono stati i generali incapaci responsabili di aver mandato a morire migliaia di uomini in attacchi assurdi e di non aver, nonostante ne avessero avuto notizia, fatto nulla per evitare la disfatta di Caporetto.

Certo in quella guerra sono morti moltissimi uomini, manager e imprenditori non hanno fatto morire nessuno, se non aziende e posti di lavoro: dal 2008 a oggi hanno chiuso i battenti 82mila imprese e sono stati bruciati un milione di posti di lavoro. Le ragioni, si dirà, sono nella crisi iniziata dal mondo finanziario, cosa naturalmente vera, ma, la crisi ha trovato molte aziende impreparate e un paese governato da una politica incapace di scelte coraggiose e lungimiranti. Ci siamo trovati a combattere e sopravvivere a una “Grande Guerra” (la crisi) con “piccoli generali” appunto.

Vorrei estraendo alcuni brani dal libro, provare a formulare qualche riflessione che ritengo molto attuale.

Le delegazioni dell’esercito italiano partecipavano ai corsi di aggiornamento internazionale, passavano in rassegna le forze dei paesi amici e di quelli alleati, si scambiavano informazioni e scrivevano chilometrici rapporti. Ma, evidentemente, non c’era nessuno in grado di tradurre in pratica quello che vedeva e quello di cui si riferiva. I progressi tecnologici degli armamenti non erano considerati. Gli sviluppi tattici passavano inosservati. E le elaborazioni strategiche consistevano in piccoli ritocchi – non sempre migliorativi – delle scelte che il grande Napoleone aveva realizzato come comandate dei francesi. (L. Del Boca-op.cit.)
Prima riflessione:

1 – Paralisi da analisi (chilometrici rapporti)
2 – Incapacità di passare all’azione (non c’era nessuno in grado di tradurre in pratica quello che vedeva e quello di cui si riferiva)
3 – Idiozia e resistenza al cambiamento (progressi tecnologici/scelte basate sulla strategia di Napoleone).
4 – Mancanza di visione (piccoli ritocchi)

Al momento dell’entrata in guerra, l’esercito italiano venne affidato a Luigi Cadorna che, se avesse ottenuto risultati proporzionali alla sua presunzione, avrebbe conquistato il globo terracqueo. In realtà riuscì soltanto a trasformare le sue prime linee in un lager dove gli uomini ai suoi ordini furono sottoposti a ogni genere di prevaricazioni anche psicologiche. Gli uomini potevano soltanto soffrire, dannarsi e morire. (L. Del Boca-op.cit.)

5 – Egocentrismo e arroganza (presunzione)
6 – Eseguire senza pensare (prevaricazioni)

I guai maggiori di chi combatteva per l’Italia vennero dagli stessi italiani che dimostrarono di non aver maturato alcuna idea e che, tuttavia, a quel nulla si aggrapparono con convinzioni incrollabili. Si armarono di ordini assurdi. Pretesero di mandare le truppe all’assalto anche quando ogni logica l’avrebbe sconsigliato. Insistettero nello sfidare le leggi della fisica per fortificare posizioni insostenibili. Per ottenere un’obbedienza supina, fucilarono quelli che apparvero più riottosi o anche solo meno pronti a sacrificarsi. Instaurarono un regime di oppressione che sarebbe risultato odioso per una qualunque dittatura, pur spietata. E provocarono la morte di un numero imprecisato di loro uomini, piazzando le mitragliatrici dei carabinieri dietro le file destinate all’assalto con la disposizione di aprire il fuoco alla schiena dei soldati, se avessero appena ritardato a lanciarsi fuori dalle trincee. (L. Del Boca-op.cit.)
Molti gli spunti di questo brano: non avevano maturato idee, ordini assurdi, obbedienza supina. Non tutti gli ordini ricevuti vanno eseguiti… Un commento forte? Forse, ma ricordiamo che esistono cose giuste e cose sbagliate, anche nel business.

Insomma quegli uomini al comando dell’esercito erano inadatti al ruolo che ricoprivano: gli imbecilli mostravano il coraggio che cresce negli imbecilli quando sanno di agire senza che nessuno li giudichi. (L. Del Boca-op.cit.)

Dei comandanti Del Boca scrive: non erano tagliati per i combattimenti veri, quei tromboni in divisa. Non disponevano di scuole dove imparare e non avevano l’umiltà di mettersi a disposizione per capire. Faceva loro difetto l’intelligenza, la fantasia, la duttilità per comprendere le situazioni e “leggere” il terreno dello scontro. In abbondanza soltanto vanagloria. Avrete capito che l’opposto a quando indicato sarebbe stato quello utile per fare meglio …

In quegli anni l’esercito aveva procedure e processi (come diremmo oggi) che per essere gentili potremmo definire “difettosi” e che inoltre nascondevano una mancanza di fiducia nei proprio colleghi:

Con il cambio della guardia gli ufficiali inferiori tentarono di mettersi in mostra e cominciarono una serie di azioni per “agganciare” il nemico. Verso Bormio l’artiglieria entrò in funzione e, con una gittata di 9 mila metri, cominciò a danneggiare seriamente i reparti avversari. Visti i risultati positivi, informarono tempestivamente il comando ma, dopo pochi minuti, un messaggio di ritorno, anziché incoraggiarli a continuare, pretese che si sospendesse il fuoco. Secondo loro, i cannoni avevano una capacità di sparo di 7200 metri e, dunque, non potevano colpire un bersaglio più lontano di quasi due chilometri. Inutile insistere. “Ma stiamo vedendo con il cannocchiale (…). I proiettili cadono sulle linee austriache (…). Siamo in grado di aprire dei vuoti nelle loro difese.” L’ordine fu perentorio. “Fermarsi e attendere gli ispettori.” Che arrivarono la mattina dopo per constatare che i cannoni erano di tipo speciale, capaci di raggiungere i 12.500 metri. Al comando non lo sapevano e delle dichiarazioni dei loro subalterni non si fidavano.
(L. Del Boca-op.cit.)

Il 18 luglio 1915 iniziò la seconda battaglia dell’Isonzo:
Tragico il bilancio dello scontro: 42 mila soldati fuori combattimento e risultati irrilevanti.
Il fatto è che l’atteggiamento italiano era persino troppo prevedibile e il nemico aveva capito che i comandanti italiani, senza fantasia e senza ingegno, riproducevano ogni volta lo stesso canovaccio.

Cadorna ebbe nelle mani un “arnese di guerra” di milioni di ragazzi, destinati a finire nei cimiteri e negli ospedali, per la sua dogmatica certezza nelle “spallate”, a viso aperto, capaci di abbattere il fronte avversario.
Per maneggiare un esercito, con quelle idee e con la pedanteria che esigeva nel farle rispettare, aveva bisogno di ufficiali che obbedissero, senza discutere. Se si accorgeva che qualcuno, forse, pensava per proprio conto, lo cacciava senza complimenti.
(L. Del Boca-op.cit.)

E’ drammatico che da tutta quella sequela di errori incredibili gli alti papaveri non impararono mai nulla, né furono in grado di cambiare una strategia che oltre ad essere assurda aveva bagnato le loro mani di sangue e mandato a morire così tanti uomini. Si chiama “hybris”, arroganza, imbecillità pura e il grande generale – criminale di guerra – Luigi Cadorna, non poteva cambiare idea, perché di idea, ne aveva una sola.

In quella guerra condotta in modo così assurdo, abbiamo perso 600.000 uomini e proprio a loro va la mia riflessione finale.
La Grande Guerra è stata la guerra di trincea: catacombe a cielo aperto che si rincorrevano per centinaia di chilometri. Quei poveri fanti vissero quattro anni come gli uomini delle caverne.
(…) Vita tremenda con il termometro che, nell’inverno del 1917, toccò i trentacinque gradi sotto zero e con la neve che raggiunse i dodici metri.
Uno sforzo che possiamo soltanto tentare di immaginare.
Chi ha visitato i luoghi della Prima Guerra Mondiale, i fortini aggrappati sulle cime delle montagne, in posizioni impossibili, scavati nella roccia viva, non può non pensare agli sforzi immani necessari alla loro realizzazione; o chi ha visto le trincee o qualche filmato dell’epoca non può non pensare alle pazzesche condizioni di vita di quei tempi.
Eppure c’è una grandezza nella piccolezza di quei piccoli uomini che con grande coraggio, disperazione e umiltà hanno combattuto una guerra in condizioni davvero inimmaginabili e c’è una piccolezza in quei grandi generali che non avevano alcun rispetto per la vita dei loro uomini.
Potrei scrivere ancora molto su una storia che è, appunto, piccola e grande allo stesso tempo.
Già, la storia …
La storia si ripropone più frequentemente di quanto non si creda ma, il più delle volte, è difficile rendersene conto perché o non la si è studiata o non la si è capita (L.Del Boca –op.cit), quindi studiarla e capirla può essere molto istruttivo.

A cento anni dall’inizio della Grande Guerra – dedicata ai caduti di tutti fronti, una poesia che compare anche sul viale del Sacrario di Asiago:

Nessun uomo è un’isola,
completo in se stesso;
ogni uomo è un pezzo del continente,
una parte del tutto.
Se anche solo una zolla venisse lavata via dal mare,
l’Europa ne sarebbe diminuita,
come se le mancasse un promontorio,
come se venisse a mancare una dimora di amici tuoi,
o la tua stessa casa.
La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce,
perché io sono parte dell’umanità.
E dunque non chiedere mai per chi suona la campana:
essa suona per te.
John Donne

Buona settimana
Massimo

 

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