La filosofia del catalogo.Catalogo: elenco ordinato e sistematico di più oggetti della stessa specie, come libri, opere d’arte, prodotti artigiani o industriali, ecc. (o anche di specie affini o diverse, quando gli oggetti siano riuniti nello stesso luogo o per lo stesso scopo: per es., i cataloghi delle vendite all’asta), con le indicazioni atte a individuarli e talora, come nei cataloghi di vendita, con il prezzo segnato.
Treccani
Alcuni fatti:
Fatto Nr. 1
L’anno scorso abbiamo fatto un piccolo esperimento lanciando un workshop dal titolo “Skills for the future” rivolto ai responsabili delle Risorse Umane con l’obiettivo di:
– analizzare le nuove sfide che le aziende devono affrontare;
– identificare le nuove competenze per vincere le sfide;
– capire come creare ambienti di lavoro stimolanti, aperti, creativi;
– comprendere l’evoluzione del ruolo delle Risorse Umane;
– riflettere sulla leadership e le aziende innovative.
Abbiamo inviato qualche migliaio di mail ai vari responsabili delle Risorse Umane e abbiamo ricevuto solo una richiesta. Insomma, è stato un flop!
In genere, il nostro tasso di successo per le iniziative di training (che sono per noi un’attività marginale) è abbastanza alto, tuttavia quel workshop è andato totalmente disatteso. Perché?
Potrebbe essere che l’argomento non fosse d’interesse: quando si fa qualcosa di nuovo, non sempre riesci a fare centro al primo colpo e come ormai dimostrato, nonostante il gran parlare che si fa di innovazione, le aziende ricercano sempre le solite cose e quando proponi qualcosa di nuovo, beh devi fare molta fatica. In questo caso l’errore potrebbe essere nostro, cioè di aver proposto qualcosa che non incontrava l’interesse del nostro target.
Oppure la nostra comunicazione si potrebbe essere persa nel marasma degli innumerevoli training proposti alle aziende e la cui comunicazione ingorga le caselle e-mail dei destinatari.
L’ultima ipotesi è la più preoccupante: che a nessuno interessi di discutere delle competenze che serviranno alle aziende nei prossimi anni, in un mondo che cambia alla velocità di internet.
Fatto Nr.2
Esiste tutta una serie di training della durata di poche ore che promettono miracoli in termini di costruzione dell’autoconsapevolezza, della capacità di influenzare gli altri, dello sviluppo delle competenze creative, della comunicazione, etc.
Curioso fu quel responsabile delle risorse umane di un’importante azienda, il quale, avendo a disposizione un budget per la formazione, aveva deciso di fare dei corsi su excel e di lingua inglese per tenere buoni i dipendenti, “tanto per far vedere che facciamo qualcosa” (sig!).
La caratteristica di questi corsi è che costano poco, durano poco e … lasciano altrettanto poco. Il segreto è in quel “poco” che ha una capacità attrattiva notevole, poiché la formazione è vista come un “costo” o un “premio”, che non deve impegnare troppo. Su questo tema ho già scritto in altri post, riportando come sia il frutto di una visione miope ma, purtroppo, molto diffusa.
Fatto Nr.3
Senza aver la pretesa di fornire un dato statisticamente rilevante, l’esperienza fatta in molte organizzazioni dimostra che non esistono processi strutturati di sviluppo e crescita delle competenze e dei talenti.
Molte aziende si affidano a quella che il mio caro amico Pietro Trabucchi chiama la “sindrome del Principe Azzurro”, nel suo bellissimo libro, “Perseverare è umano”, definisce questa modalità, il “complesso del Principe Azzurro”: vale a dire l’idea che da qualche parte nel mondo esiste la persona su misura per noi. (post del 21 luglio 2014 – Il Fattore X).
Peter Cappelli, in un articolo di HBR, riporta la visione della formazione che c’è in alcune aziende, citando il pensiero di un CEO: “Perché addestrare le persone quando i miei concorrenti sono disposti a farlo per me?”
La cosa degna di nota è che alcune di queste aziende hanno una funzione Human Resource. Il già citato Cappelli riporta che: Qualche anno fa, al capo delle risorse umane di un’importante società – qualcuno che era sopravvissuto a un sacco di ristrutturazioni – è stato chiesto quale fosse la chiave del suo successo. Ha detto: “Io faccio quello il CEO vuole.” Anche se fare le cose che il boss non vuole è certamente una strategia che limita la carriera, troppi responsabili delle risorse umane aspettano che gli venga detto quali problemi affrontare.
In queste aziende la focalizzazione è incentrata sulle attività e sui compiti e nessuna attenzione è dedicata allo sviluppo di competenze che potrebbero aiutare i responsabili ad essere più efficaci/efficienti.
Fatto Nr.4
In altre aziende, non molte purtroppo, esiste un processo di formazione organizzato, svolto con continuità. Premettendo che, in questi casi, il rischio è di generalizzare, mentre, invece esistono delle valide eccezioni, notiamo che i risultati di questa formazione sono mediocri o inesistenti. Perché? Cosa non funziona?
Provo a indicare alcune ragioni:
- in alcuni casi i training non sono efficaci;
- si lavora su competenze superate, vecchie che non rispondono alle necessità che davvero servono alle persone;
- non viene data la possibilità a chi ha partecipato ai corsi, di applicare quanto imparato. E’ il caso tipico dei corsi sulla leadership, dove le persone vorrebbero applicare quanto imparato ma, l’organizzazione e/o i loro superiori, ancorati a schemi obsoleti, non lo consentono.
Fatto Nr.5
Il catalogo della formazione: a fronte di “bisogni formativi”, come per l’acquisto di scarpe o di cuscinetti (senza nulla togliere a chi produce questi due importanti prodotti), si consulta un catalogo all’interno del quale si sceglie il corso che serve.
Sarebbe interessante sapere chi definisce i bisogni formativi e su quali premesse e con quale livello di conoscenza: guardando al breve termine? Guardando al passato? Sull’azienda di oggi o su quello che servirà domani? Sulle competenze che conosce? E su quelle di cui non sa nulla?
Fatto Nr.6
La funzione delle risorse umane che, a seguito delle crisi continue degli ultimi anni, si è occupata solo di ristrutturazioni, licenziamenti e mobilità, non ha modelli efficaci di sviluppo da proporre o ripiega su modelli “accademici” oramai superati.
In queste aziende alle risorse umane è riconosciuta solo la funzione di gestione “contrattuale” e “disciplinare” delle attività: paghe e contributi, ferie/assenze/permessi, richiami disciplinari, rispetto delle procedure e regolamenti interni, applicazione del CCNL e del contratto interno. In alcuni casi si occupa ancora di “recruiting”, ma solo per posizioni di basso livello.
Fatto Nr.7
In alcune aziende la funzione delle risorse umane ha l’obiettivo di trovare meccanismi che producano i costi più bassi possibili, trovare nuove formule per aumentare la flessibilità interna, ridefinire i criteri di inquadramento, ridefinire mansioni e ruoli, ma, sempre con l’attenzione posta al controllo e alla riduzione dei costi.
Potremmo aprire un’interessante discussione sulla divisione tra “diretti” e “indiretti”, oggetto ancora oggi in molte aziende di feroci lotte, vestigia di un passato da Rivoluzione Industriale dei primi del novecento, mentre nessuna attenzione è dedicata al principio della produttività generale del sistema, cioè, si cerca un’ottimizzazione locale che potrebbe tradursi in sub-ottimizzazione a livello di azienda.
Il controllo dei costi è importante purché non diventi un’ossessione che finisca con l’essere una tattica suicida e ad esso andrebbe affiancata anche un’altra azione: quella di creare valore e di produrre innovazione, situazioni che si possono verificare solo con personale motivato, competente e appassionato.
Alcuni fatti, alcune premesse, alcune tracce per un cambiamento possibile.
E’ necessario ripensare dal profondo il ruolo delle risorse umane a cominciare proprio dal nome della funzione, che insieme a terra, capitale e lavoro, rimanda a un concetto di “risorsa” tipico dell’economia classica di fine ‘800 e non più in linea con le sfide del XXI secolo.
Nuovi nomi sono entrati nel lessico aziendale: Business Partner, Sviluppo dei Talenti, Human Resource Specialist, Compensation Analyst, Executive Recruiter … wow!!!
Non è solo un titolo, anche se altisonante, che può fare la differenza, come sempre sono i contenuti e l’operatività, cioè la capacità di agire con intelligenza, immaginazione, creatività, sensibilità e passione. E soprattutto di fare.
La vera tragedia è la tragedia dell’uomo che mai nella vita si prepara per il suo unico sforzo supremo, che non si estende mai fino alla sua piena capacità, che non si erge mai in tutta la sua piena statura. Arnold Bennett
Forse il compito di chi si occupa di uomini è proprio quello di aiutare le persone a “ergersi nella loro piena statura”, di aiutarle a sviluppare le loro “piene capacità”, nell’interesse dell’azienda e di loro stesse.
Ho incontrato molti responsabili delle risorse umane che, comprendono, ci debba essere un cambiamento, devono trovare il coraggio e lo spazio per farlo. Provateci, ne vale la pena!
La fabbrica di Ivrea, pur agendo in un mezzo economico e accettandone le regole, ha rivolto i suoi fini e le sue maggiori preoccupazioni all’elevazione materiale, culturale, sociale del luogo dove fu chiamata ad operare, avviando quella regione verso un tipo di comunità nuova ove non sia più differenza sostanziale di fini tra i protagonisti delle sue umane vicende, della storia che si fa giorno per giorno per garantire ai figli di quella terra un avvenire, una vita più degna di essere vissuta.
La nostra Società crede perciò nei valori spirituali, nei valori della scienza, crede nei valori dell’arte, crede nei valori della cultura, crede infine che gli ideali di giustizia non possano essere estraniati dalle contese ancora ineliminate tra capitale e lavoro. Crede soprattutto nell’uomo, nella sua fiamma divina, nella sua possibilità di elevazione e di riscatto.
Adriano Olivetti – 23 aprile 1955
Se proprio vogliamo un catalogo, mettiamoci cose per cui valga la pena impegnarsi e appassionarsi.
Siamo nel 2015, non dimentichiamolo.
Buona settimana
Massimo
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