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Progetti strategici e organizzazioni ‘geniali’…

By 1 Settembre 2020 Novembre 18th, 2020 No Comments

Esistono progetti definiti ‘strategici’ ma che alla fine non sono poi così importanti e che, quindi, non sono strategici. O magari lo sono ma non ci crediamo abbastanza da impegnarci seriamente. Il tempo passa, a parole ripetiamo che ‘faremo’, ‘agiremo’, ‘pianificheremo’ ma poi in realtà non succede nulla.
L’ho visto succedere tantissime, troppe, volte. Ci scrissi tempo fa anche un post (Too little – too late syndrome, settembre 2016).
Un pò come l’inizio della dieta sempre spostato in avanti o l’idea di riprendere l’attività fisica, molti programmi sono come quegli obiettivi a cui pensiamo in momenti di calma salvo poi annullare i buoni propositi perché presi dal mortale abbraccio della quotidianità o dalla nuova infatuazione o dal nuovo innamoramento (a volte chiamata ‘priorità di business’, ’canvas’ o ‘tool’).
Il cimitero degli elefanti dei progetti morti di solito ha un’estensione enorme ma è una terra nella quale ci si avventura sempre malvolentieri.
Non parliamo poi oggi che la paura del Covid ha stravolto e modificato le routine aziendali in modi anche importanti e che ha, a volte a ragione a volte a torto, portato a rivedere le ‘priorità aziendali’.

Carlo Bonomi, presidente di Confindustria, in una recente intervista al giornale ‘Libero’ rispondendo a una domanda dice: “Mi auguro che la componente illuminata del governo prevalga su quella ancorata a un’idea novecentesca della società.” Osservazione acuta e condivisibile ma che, purtroppo, andrebbe fatta propria da alcuni manager e imprenditori che sono i primi ad avere dell’azienda un’idea ‘novecentesca’. 
E se l’idea dell’organizzazione è del secolo scorso, i progetti non possono che essere allineati con quell’assunzione. E così le famose ‘formule del successo’ si trasmettono di padre in figlio come i cromosomi del DNA perpetuando la specie… Fuor di metafora perpetuando vecchie ricette a nuovi problemi.
Il Presidente Bonomi, sempre nella stessa intervista, ha anche avuto il coraggio, in poche parole, di sfatare l’oramai tanto mitizzato ‘smart-working’: “Il lavoro da remoto ci è servito per non chiudere il Paese durante il lockdown ma è evidente che non si può andare avanti così. Qualcosa rimarrà, ci saranno meno riunioni, meno viaggi di lavoro, ma non si può ristabilire un clima di chiarezza e positività nel Paese lasciando la gente a casa nell’incertezza. Peraltro la formazione del personale, la crescita professionale e la trasmissione generazionale dei saperi vengono meno inevitabilmente con il lavoro da remoto.” 
Lo ‘smart-working’, spacciato come soluzione e modalità di lavoro nuova e innovativa appartiene all’armamentario del vecchio. 
Ricordo molto bene quando anni fa si diceva che le ‘video-call’ avrebbero eliminato/ridotto i viaggi, ma come dimostrano le parole del Presidente, siamo ancora lì che ne parliamo. 
Curiosa la foto di un manager che ha postato su un social la foto di un tabellone, credo di un’aeroporto, con il commento “Sono emozionato, finalmente si torna a viaggiare!” 
Non sono contrario ovviamente allo smart-working che per il lavoro che svolgo pratico da anni, ma non ho mai nemmeno creduto  che sia  una soluzione a tutto o che sia un’innovazione.
In alcuni casi può funzionare in altri no, in altri ancora va gestito e organizzato con intelligenza. Non vorrei che si ripetesse la storia già vissuta di ‘Industry 4.0’…
Sulla ’formazione del personale, la crescita professionale e la trasmissione generazionale dei saperi’ potremmo discutere a lungo e, come la situazione attuale evidenzia, quando c’è una crisi le prime cose ad essere tagliate sono le spese di cancelleria e proprio la formazione peraltro del tutto o quasi assente in molte realtà e vissuta prevalentemente come un costo.
Insomma, pur condividendo nello spirito e nel merito molte delle osservazioni del Presidente Bonomi credo che anche le aziende debbano decidersi a ripensare molte cose. E il futuro dipenderà da quanto bravi saremo a ripensare molte idee sulle aziende che vanno relegate alla storia del pensiero.

Amiamo comprare le risposte, le soluzioni ma non amiamo comprare le domande. 
E così il mercato delle soluzioni facili, tecnologiche, roboanti e promettenti è in pieno fermento, un mercato ricco per chi della vendita della soluzione ne ha fatto un business.
Ricordo con un sorriso quel manager che mi raccontava che a un ‘training’ tenuto da un ‘guru’ aveva ricevuto un libro che gli aveva ‘aperto la mente’ e si sentiva come un novello Paolo sulla via di Damasco. Non è importante che fosse un libro che avevo letto cinque anni prima e  quindi non proprio una novità.  E siamo così, seguiamo l’effimero pensando che sia la soluzione definitiva, la chiave del successo.
Uno degli ambiti dove più è necessaria l’innovazione, la novità è quello commerciale e di marketing, eppure posso testimoniare quando è difficile riuscire a fare qualcosa di nuovo. Vince ancora una volta il conosciuto, la soluzione di ieri.
La risposta attrae, ci affascina con le sue dolci promesse di facili risultati e non c’è niente da fare…

Sono le domande, quelle giuste, quelle fastidiose, quelle difficili che ci spingono alla ricerca di nuove opportunità, di nuove soluzioni, di costruire processi che producano vera innovazione e non l’infinito riciclaggio del vecchio (ebbene si, esiste il moto perpetuo, molte aziende ne sono afflitte da sempre: lo stesso modo di risolvere i problemi che crea sempre le stesse ‘apparenti ‘ soluzioni).

Diceva Einstein: “La misura dell’intelligenza è data dalla capacità di cambiare quando è necessario.” Capacità di cambiare ma anche motivazione nel farlo e capire quando è il momento di farlo…

E ancora sempre Einstein: “Il genio altro non è che la capacità di osservare la realtà da prospettive non ordinarie. Mentre una persona intelligente, quando riesce a trovare un ago in un pagliaio, si ferma soddisfatta, il genio continua a cercare per trovarne un secondo, un terzo ed eventualmente un quarto.” Sostituiamo ad ‘ago’ la parola ‘cliente’ o ‘nuovo prodotto’ o ‘strategia’ e avremo trovato un bel processo per creare innovazione.

E’ così per questo le aziende intelligenti sanno come cambiare e quando è necessario farlo ma per farlo dobbiamo puntare sulle domande non sulle risposte…

Buona settimana
Design a better world
Massimo 

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