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Le frottole del change management.

By 1 Ottobre 2017 Marzo 29th, 2018 One Comment

Le frottole del change management32268530_xl

Nel lessico e nelle pratiche del business si parla molto spesso di “change management” e dei suoi sinonimi: cambiamento, cambiare, evoluzione, innovare, rivoluzionare, ecc.

Con il termine inglese change management (traducibile approssimativamente in gestione del cambiamento) si intende un approccio strutturato al cambiamento negli individui, nei gruppi, nelle organizzazioni e nelle società che rende possibile (e/o pilota) la transizione da un assetto corrente ad un futuro assetto desiderato. (Wikipedia)

Una scorsa alla letteratura specialistica dimostra le tonnellate di carta scritte sull’argomento e i “social media” sono pieni di dotte citazioni di manager, imprenditori, addetti alle Human Resource, sul tema del cambiamento.
Ogni periodo ha un suo mantra e quello attuale insiste molto sul “change management”. Inserisco, nel significato più ampio di “cambiamento”, anche il termine innovazione nel suo senso etimologico: far nuovo, alterare l’ordine delle cose stabilite per fare cose nuove. Tutte forme di cambiamento.

A titolo esemplificativo traggo da Wikipedia una descrizione (chiara) del termine:

La parola cambiamento è spesso usata in contesti professionali come sinonimo di transizione ma possiede un significato più generico, mentre la parola transizione proviene da un contesto più scientifico. In genetica per esempio la transizione è un tipo di mutazione mentre in fisica indica il passaggio di un sistema da uno stato ad un altro; entrambi questi contesti attribuiscono alla parola transizione un significato più preciso che richiama in modo appropriato la dinamica insita nel concetto di cambiamento sopra citato.
Quando si parla di transizione si è più facilmente consapevoli della sfida connaturata alla necessità e/o alla volontà di trasformare una situazione esistente in una nuova e si è più consapevoli dell’importanza di definire lo stato della situazione corrente (dove siamo?), quello della situazione desiderata (dove vogliamo arrivare?) e il percorso più conveniente (come ci arriviamo?).

Alle tre domande poste dalla sfida della “transizione” molte organizzazioni non sanno rispondere. Non sono consapevoli né di dove sono, né dove vogliono andare, figuriamoci poi, di come arrivarci.
Il change management diventa così un inutile esercizio che ottiene il solo risultato di lasciare tutto immutato.
In altre situazioni, quando un imprenditore, un manager, o un politico, tiene un discorso, ritiene molto utile inserire la parola “cambiamento”, come se il solo uso del termine producesse per magia una nuova situazione.
Insomma per essere di moda e attuali bisogna padroneggiare il giusto lessico…

Dal punto di vista individuale la transizione può essere considerate una nuova attitudine da acquisire o un comportamento da cambiare. (Wikipedia)
Oppure una nuova competenza da acquisire.

Naturalmente la transizione non riguarda quasi mai il numero uno e/o i numeri due e tre dell’organizzazione che si ritengono esentati perché dotati degli stessi poteri di qualcuno che sta molto più in alto: onniscienza, onnipotenza e perfezione assoluta.
Una volta, mi sono sentito dire: “queste cose non riguardano me, perché io sono ad un altro livello”…

Dal punto di vista di un’organizzazione (commerciale, sociale, politica, ecc.), o semplicemente di un gruppo di individui, la transizione può essere rappresentata da un nuovo tipo di tecnologia da acquisire o da un nuovo assetto di processi da porre in atto oppure da un salto culturale da diffondere al proprio interno o all’esterno; in generale un’organizzazione per garantire il raggiungimento dei propri obiettivi ha necessità di governare al meglio la trasformazione necessaria; tanto più grande e tanto più profondo è il cambiamento, tanto maggiore è lo sforzo e l’attenzione necessaria per governarlo e indirizzarlo verso la meta.
In ogni caso, affinché una trasformazione possa realmente realizzarsi è necessaria una  strategia chiara ed una forte partecipazione e motivazione delle persone coinvolte. La cultura e le prassi esistenti di Change Management forniscono un quadro d’insieme e degli strumenti per governare l’impatto della trasformazione sulle persone coinvolte e, viceversa, aiutare gli individui a orientarsi e muoversi all’interno dei cambiamenti del mondo circostante che si trasforma.
(Wikipedia)

Strumenti per governare l’impatto della trasformazione sulle persone coinvolte”… ecco qui un’altra panzana pronta per essere venduta dallo specialista del change management: strumenti, assessment e affini.
Non possiamo non apprezzare il ricorso agli strumenti, le ricette belle e pronte, semplici, chiare, riproducibili e non troppo dirompenti, perché il cambiamento, si sa, è bello ma non deve essere esagerato e soprattutto non deve sovvertire l’ordine costituito.
Nasce il mercato del “change management” dove la vendita della ricetta assicura successo, visibilità e articoli o libri.

Anni di esperienza e di attività mi hanno insegnato che “gestire il cambiamento” è un processo molto impegnativo, difficile e complesso, soprattutto se si hanno a cuore l’azienda e le persone coinvolte e certamente non sintetizzabile in una semplice ricetta.

Poiché, citando William Blake, possiamo solo aspettarci veleno dall’acqua stagnante, la transizione è inevitabile, auspicabile e necessaria. Bisogna saperla condurre e guidare con attenzione e intelligenza.

Non è che alcuni abbiano la forza di volontà e altri no.
E’ che alcuni sono pronti a cambiare e altri no.
James Gordon Bennet

E quanto siamo pronti a cambiare?
Così l’intera “teologia” del cambiamento va ricondotta alla riflessione di Bennett: alcuni sono pronti a cambiare e altri no.

E un’altra domanda posta dallo storico Yuval Noah Harari è rilevante rispetto al cambiamento: per quale ragione disporre di un sapere innovativo, se non ci porta a nuovi modelli comportamentali?

Qualche lettore potrebbe aspettarsi qualche ricetta – magari come le tante che circolano con un bell’elenco in punti (i famosi bullet point che infarciscono tante presentazioni di PowerPoint ) oppure potrebbe essere colpito dal fatto che, spesso parlo dei problemi e non delle soluzioni. Ma come ha ben detto Harari, lo studio della storia mira soprattutto a renderci consapevoli delle possibilità che di norma non prendiamo in considerazione. Gli storici studiano il passato non per ripeterlo, ma per liberarsene.

Lo studio delle tante fandonie, delle fake news che girano in quantità impressionante, degli errori che hanno quasi distrutto o fatto fallire aziende e organizzazioni, può aiutarci a liberarci di tutta una serie di teorie, sistemi e paradigmi che o non sono veri, o lo sono solo parzialmente, oppure sono obsoleti. Rende il pensiero e l’agire più chiari, concentrati e attenti, quindi aumenta la possibilità di operare trasformazioni che funzionano.

Un altro tema che possiamo collegare al change management, essendone una “mutazione”, è quello del famoso “passaggio generazionale” in cui molte aziende si dibattono, cercando la quadratura anche con l’aiuto dei soliti “esperti” consulenti per gestire l’avvicendamento generazionale. E, anche in questo caso, abili “esperti” ne hanno fatto un business di proporzioni ragguardevoli.
Nelle situazioni che mi sono trovato ad affrontare, ho riscontrato che è tutto riconducibile al fatto che il fondatore, o l’imprenditore che guida l’azienda, abbia deciso di giocare un ruolo diverso (se ritiene di stare ancora in azienda), passando da una gestione operativa a una di più alto livello (strategica), delegando così di fatto alla nuova generazione la conduzione dell’impresa. Senza questa decisione e consapevolezza l’intervento di qualunque guru o esperto è assolutamente inutile.
Poiché c’è l’inveterata tendenza a complicare anche le cose semplici, la gestione del tanto temuto avvicendamento è un mercato florido e ricco.
Anche in questo caso, se l’imprenditore è pronto a cambiare, la transizione può avvenire; se, invece, “non vuole mollare”, non c’è nulla che possa funzionare.
Oggi e domani, sempre più il cambiamento sarà oggetto di attenzione.
Con mercati, tecnologie, competitor, sempre più in rapida evoluzione la gestione del cambiamento diventerà, se già non lo è, un fenomeno inevitabile.
Sarebbe allora opportuno creare organizzazioni che possano convivere con un mondo liquido e in perenne stato di moto. Riflettere su quali saranno le competenze necessarie per il mondo di domani e non su quelle che molti propongono, fuori e dentro le aziende, rivolte al passato.
Dovremmo immaginare organizzazioni che sappiano adattarsi, organizzazioni dove le transizioni avvengono continuamente, anche in modo spontaneo, organizzazioni intelligenti cha sappiano evolvere e cambiare.
Tutta un’altra storia da quella raccontata da molti esperti di “change management”.
Dovremmo applicare il change management al change management…

I faraoni hanno regnato sull’Egitto per 3000 anni e i papi hanno dominato l’Europa per un millennio. Se aveste detto a un Egizio ai tempi di Ramses II che un giorno i faraoni sarebbero scomparsi, probabilmente vi avrebbe guardato con un’espressione incredula, sbigottita. “Come possiamo vivere senza un faraone? Chi garantirà l’ordine, la pace e la giustizia?”
Se aveste rivelato alle genti del Medioevo che entro pochi secoli Dio sarebbe morto, sarebbero rimaste sconvolte dall’orrore. “Come possiamo vivere senza Dio? Chi darà alla vita un senso e ci proteggerà dal caos?”
Volgendo lo sguardo al passato, molti pensano che l’estinzione dei faraoni e la morte di Dio siano stati entrambi sviluppi positivi.
(…)Le persone di solito sono spaventate dal cambiamento perché temono l’ignoto. Ma l’unica e più grandiosa costante della storia è che ogni cosa cambia.
(Yuval Noah Harari – Homo Deus)

Se i faroni sono spariti e se i papi non hanno più il potere di un tempo, forse anche un certo modo di pensare l’azienda sarà destinato a scomparire.
Forse un giorno non ci saranno più manager…
Forse un giorno certe fandonie saranno barzellette e si riderà di strumenti, assessment e compagnia bella …
Forse un giorno qualcuno guarderà a un organigramma aziendale – la classica piramide – e riderà al pensiero di chi aveva inventato una cosa così primitiva e pieno di difetti…

Tutto cambia e continuerà a cambiare …
Forse è proprio oggi, che dobbiamo iniziare a cambiare!

Design a better world …
Buona settimana
Massimo

 

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