Le vecchie idee non bastano più; è ora di fare kaizen sul serio.
Un lavoro di Bob Emiliani, che ho definito con suo divertimento ‘Lean Oulier’ in un post recente, mi ha suggerito qualche riflessione sul tema.
Quando si parla di ‘miglioramento’ viene oramai molto spesso utilizzata la parola ‘lean’ (ne ho scritto in Lean, Toyota e la ricerca del sacro Graal, post del 7 luglio 2014).
La ‘lean’ è diventata un movimento che si è molto diffuso perdendo, strada facendo, lo spirito che ne aveva contraddistinto gli inizi, situazione ben rappresentata proprio da Emiliani in uno dei suoi ultimi libri, nel quale egli descrive la ‘lean’ come una sorta di religione (Fake Lean – Lean fasulla) con i suoi riti, cerimonie, profeti, sacerdoti e santoni, con una pubblicazione sterminata di libri in tutte le salse.
I leader del movimento lean sono idolatrati come profeti, con schiere di sostenitori desiderosi di difenderli da qualsiasi critica del loro lavoro. Vi è una posizione prevalente sul fatto che solo le idee e i metodi che provengono da Toyota (o sembrano provenire da Toyota) sono degni. Ciò riflette una mancanza di pensiero indipendente comune ai culti (e alle mode). L’adorazione dell’idolo, Toyota, viene talvolta usata in modo pernicioso per classificare in modo competitivo la credibilità o la superiorità della Lean, nonostante, forse, si abbia poca esperienza reale con essa.
(Bob Emiliani – Management Mysterium).
Così la ‘lean’ è stata normalizzata e fatta rientrare nelle gabbie sicure delle procedure aziendali, producendo cambiamenti si, ma non troppo radicali, soprattutto a livello locale e senza modificare in realtà il sistema di management dell’organizzazione.
Sono assolutamente d’accordo con Bob Emiliani che via sia uno spirito, una ‘Lean Vera’ (Real Lean), che è quanto mai valida:
Alla radice originale di tutto, applicata più che codificata in tempietti dai grandi pensatori che hanno applicato l’idea all’azienda (S.Toyoda, K.Toyoda, T.Ohno, E.Deming) c’è l’idea che ogni attività possa essere migliorata, continuamente e incessantemente, in ogni luogo, in ogni area (tutta l’azienda) e che tutti devono partecipare a migliorare ogni giorno. Quindi guardando dietro, in profondità, oltre all’americanizzazione del concetto – la parola lean – troviamo kaizen = cambiare per migliorare (la parola giapponese nella sua essenza traccia un percorso verso la perfezione).
E cambiare per migliorare si applica a tutto: a tutta l’azienda, a qualunque altra attività che non sia produttiva, alle attività sportive, a livello personale.
Vi è qualcosa di così fondamentale, profondo nell’idea di ‘cambiare per migliorare’ (kaizen) che, dopo quasi vent’anni di attività nello studio e nell’applicazione di questa metodologia, sono arrivato alla conclusione che sia una filosofia o una forma mentis che trovo quanto mai attuale, andando all’essenza del concetto e depurandolo di tutto l’armamentario inutile (vedi sopra a proposito di religione).
La lean ha fallito proprio nell’applicare il miglioramento a se stessa, diventando oramai una sorta di ideologia irrigidita nel seguire i sacri precetti e molte organizzazioni, affamate di strumenti ma non comprendendo come, prima di tutto, la Real Lean sia un sistema di management, hanno ulteriormente contributo alla banalizzazione dell’idea. Ma questa è un’altra storia che Bob Emiliani in tutti i suoi lavori ha raccontato molto bene (si veda ad esempio la trilogia dei libri sul management classico).
A maggior ragione oggi più di ieri, in era Covid e post-Covid, invece di fare tanto rumore su nulla (vedi smart working o presunto tale) dovremmo puntare l’attenzione sulle cose che possiamo cambiare per migliorare.
Quali enormi benefici potrebbe, ad esempio, trarne il settore della sanità da un’applicazione profonda e massiva di kaizen? Coinvolgimento delle persone, miglioramento dell’efficienza, miglioramento dell’esperienza del paziente tante volte dimenticato, recuperi di economicità, sfoltimento delle liste di attesa, miglior utilizzo delle attrezzature e dei macchinari, riduzione degli errori, ecc. ecc.
Vite salvate, operatori (medici e infermieri) motivati, pazienti e parenti soddisfatti, riduzioni delle cause per malasanità, ecc. ecc.
Mai più di oggi, con le criticità e le incertezze dei mercati e un’economia asfittica, le aziende beneficerebbero di nuovi sistemi di gestione, più moderni, abbandonando teorie e pratiche di management del secolo scorso nate e sviluppare in contesti storici, tecnologici, sociali ed economici profondamente diversi da quelli attuali.
Innovazione vera che inizia al livello più alto della struttura aziendale sostituendo vecchi sistemi e teorie di management anticchi con teorie e metodi davvero più moderni.
Miglioramento dei processi, di sviluppo prodotto, commerciali, di marketing, di ‘gestione delle risorse umane’, ecc. ecc.
Riusciremo mai a trovare il coraggio di mollare modelli mentali, processi e strutture organizzative basate su idee superate e di cercare nuove strade?
E’ l’attrazione magnetica dello status quo, del conosciuto, del ‘si è sempre fatto così’, del ‘non si può fare’, del ‘non è in budget’, ‘non c’è tempo’, comode scuse sempre pronte. Salvo poi, quando le situazioni lo imporranno, trovare il budget, trovare il tempo e correre a fare quello che non si è riusciti a fare prima.
Oggi vi è una sola certezza: non esiste più il ‘business as usual’.
Cosa vogliamo fare allora?
Manager e imprenditori concordano sulla necessità di cambiare, di evolvere… a parole però, perché quando si va sul concreto la tranquilla e anestetizzante sicurezza dello status quo prende il sopravvento.
Lo stesso vale anche nei piani più bassi, dove molte iniziative, viste come la moda del momento, vengono lasciate passare con rassegnata tranquillità in attesa dell’ennesima nuova iniziativa che non cambierà nulla.
In India, i conduttori di elefanti, o mahout, impediscono ai piccoli di elefante di vagare incatenando una delle zampe dell’animale a un paletto piantato profondamente nel terreno. I giovani elefanti non sono abbastanza forti né per rompere le catene né per rimuovere il paletto. Tentare di farlo non è solo inutile ma scomodo poiché le catene si stringono attorno alle loro zampe. Presto smettono di provarci.
Una volta diventati adulti, gli elefanti vengono legati con una canapa intrecciata (molto più economica e più conveniente di una catena) legata a un paletto martellato nel terreno.
Gli elefanti adulti potrebbero liberarsi facilmente dal legaccio, ma non lo fanno. Hanno acquisito oramai un modello radicato che dice loro che la fuga è impossibile. Per gli elefanti, il modello è diventato più potente dei fatti.
Come elefanti, molte organizzazioni sono legate al paletto infisso nel terreno con una mobilità ridotta, condotte da sapienti mahout, diffusi a tutti i livelli, che amano lo status quo, prigionieri di modelli del passato.
Il management classico, incurante di comprendere la differenza tra causa ed effetto, è indifferente al benessere del sistema e i problemi o vengono ignorati o i tentativi di correggere i problemi sono basati solo sui sintomi. Il sistema di management della Toyota è il contrario: la causalità è importante per mantenere e migliorare il benessere del sistema di gestione e dell’azienda, così come i suoi stakeholder che fanno parte del sistema e il suo corretto funzionamento, per consentirgli di soddisfare efficacemente le mutevole esigenze dei clienti. La risposta ai problemi che si verificano nel lavoro richiede curiosità (la capacità di pensare), sperimentazione (tentativi ed errori e metodo scientifico), apprendimento e riflessione. Il risultato è un adattamento tempestivo e flessibile alle condizioni in continuo cambiamento.
(Bob Emiliani – Teleological and Ateological Analysis of Classical Lean, and Toyota Management Systems and the Lean Movement – White paper – Maggio 2020)
Non sono forse la curiosità (capacità di pensare, mind fitness), la sperimentazione (provare e riprovare, accettare l’errore come strumento conoscitivo, uso del metodo scientifico), l’apprendimento e la riflessione oggi più che mai indispensabili?
In estrema sintesi, kaizen!
Ne abbiamo bisogno oggi più che mai: PENSARE, IMPARARE, RIFLETTERE, MIGLIORARE.
C’è così tanto da fare…
Just do it!
Design a better world
Buona settimana
Massimo