Io, abbreviazione di Dio.Bentornati! Si ricomincia!
Vacanze finite, purtroppo.
Si riparte più riposati, con qualche progetto da realizzare e qualche obiettivo da raggiungere.
Anche il nostro blog riprende muovendosi sempre in nuove direzioni.
Iniziamo subito con una riflessione impegnativa.
La frase che intitola il post è di Alessandro Morandotti scrittore, conosciuto per i suoi aforismi pungenti e, aggiungo io (non in forma di abbreviazione…!), intensi.
Associo il significato della frase alla presunzione e all’arroganza.
Il dizionario Treccani dà dei due difetti una sintetica ma chiara descrizione.
Presunzione: fiducia eccessiva nelle proprie capacità, alta ed esagerata opinione di sé, con riferimento a un comportamento particolare e determinato.
Il contrario di presunzione è modestia, umiltà, semplicità, sobrietà.
Arroganza: l’essere arrogante; insolenza e asprezza di modi di chi, presumendo troppo di sé, vuol far sentire la sua superiorità.
Il contrario di arroganza è modestia, riserbo, ritegno, semplicità, umiltà.
Chi è presuntuoso e arrogante presume di sapere; la sua manifestazione di superiorità rispetto al prossimo, deriva dalla convinzione di sapere tutto, di aver visto tutto e di avere tutte le risposte.
L’inizio di una conoscenza, che sia di persone oppure di cose, consiste nell’ottenere un contorno definito della nostra ignoranza (George Eliot).
Il presuntuoso e l’arrogante sono eccessivi perché privi di “contorno”, dal momento che, se sapessero di non sapere tutto, sarebbero forse più umili e attenti.
E ripenso a una frase di Galileo Galilei: non ho mai incontrato un uomo così ignorante dal quale non abbia potuto imparare qualcosa.
Queste brevi note mi portano a riflettere sull’effetto Dunning-Kruger.
L’effetto Dunning–Kruger è una distorsione cognitiva a causa della quale individui inesperti tendono a sopravvalutarsi, giudicando, a torto, le proprie abilità come superiori alla media.
Questa distorsione viene attribuita all’incapacità metacognitiva, da parte di chi non è esperto in una materia, di riconoscere i propri limiti ed errori. Il possesso di una reale competenza, al contrario, può produrre la distorsione inversa, con un’affievolita percezione della propria competenza e una diminuzione della fiducia in se stessi, poiché individui competenti sarebbero portati a vedere negli altri un grado di comprensione equivalente al proprio.
David Dunning e Justin Kruger, della Cornell University, hanno tratto la conclusione che: “l’errore di valutazione dell’incompetente deriva da un giudizio errato sul proprio conto, mentre quello di chi è altamente competente deriva da un equivoco sul conto degli altri”
(…) Gli scienziati ipotizzarono che, per una data competenza, le persone inesperte:
– tenderebbero a sovrastimare il proprio livello di abilità;
– non si renderebbero conto dell’effettiva capacità degli altri;
– non si renderebbero conto della propria inadeguatezza;
– si renderebbero conto e riconoscerebbero la propria precedente mancanza di abilità qualora ricevessero un addestramento per l’attività in questione.
(Wikipedia)
Detto in altre parole le persone con una mancanza di competenza ed esperienza non sono in grado di riconoscere la propria incompetenza come pure la competenza degli altri. Ovviamente questo crea un circolo vizioso, per cui l’incompetente non percepisce la propria incompetenza proprio perché incompetente.
Superare la propria mancanza di competenza richiede la capacità di distinguere i livelli di competenza, cioè una capacità che questi soggetti non possiedono.
Al contrario, i soggetti molto competenti tendono a sottostimare le loro capacità e a sovrastimare quelle degli altri.
Come uscire da questo paradosso?
Una buona strategia potrebbe essere quella di insegnare agli inesperti la capacità di distinguere la competenza dall’incompetenza, attraverso feedback forniti con regolarità, con l’obiettivo di promuoverne lo sviluppo e l’autovalutazione delle proprie competenze e abilità.
Insomma, training e formazione e attività di sviluppo personale.
L’effetto Dunning-Kruger produce risultati devastanti, quando colpisce persone in ruoli di responsabilità. Abbiamo così quelle figure autoritarie nel senso peggiore del termine che, appunto, con presunzione e arroganza trattano collaboratori e persone in malo modo, distruggendone la motivazione.
Queste persone dimostrano una totale mancanza di intelligenza e sensibilità e perdono così un grande vantaggio: il vantaggio di essere intelligente è che si può sempre fare l’imbecille, mentre il contrario è del tutto impossibile (Woody Allen).
Dall’effetto Dunnig-Kruger al Principio di Peter il passo è breve.
Il principio di Peter è una tesi, apparentemente paradossale, che riguarda le dinamiche di carriera su basi meritocratiche all’interno di organizzazioni gerarchiche. Noto anche come principio di incompetenza, esso fu formulato nel 1969 dallo psicologo canadese Laurence J. Peter.
(…)Esso può essere concisamente formulato come segue:
“In una gerarchia, ogni dipendente tende a salire di grado fino al proprio livello di incompetenza” |
Il principio di Peter va inteso nel senso che, in una gerarchia, i membri che dimostrano doti e capacità nella posizione in cui sono collocati vengono promossi ad altre posizioni. Questa dinamica, di volta in volta, li porta a raggiungere nuove posizioni, in un processo che si arresta solo quando accedono a una posizione poco congeniale, per la quale non dimostrano di possedere le necessarie capacità: tale posizione è ciò che gli autori intendono per «livello di incompetenza», raggiunto il quale la carriera del soggetto si ferma definitivamente, dal momento che viene a mancare ogni ulteriore spinta per una nuova promozione.
Il principio di Peter, applicato alle organizzazioni umane, può essere considerato un caso speciale di una formulazione più generale:
“Ogni cosa che funziona per un particolare compito verrà utilizzata per compiti sempre più difficili, fino a che si romperà.”
La paternità di tale enunciato è dell’accademico William R. Corcoran, che lo formulò a seguito delle sue ricerche per sviluppare azioni correttive da adottare nella gestione degli impianti nucleari. Corcoran rilevò, infatti, la tendenza a utilizzare apparati, dimostratisi efficaci per un determinato lavoro, per compiti per i quali detti apparati non erano stati concepiti; a titolo di esempio, l’uso di aspirapolvere per aspirare fumi e sostanze tossiche in luogo degli appositi sistemi di aspirazione, oppure l’affidamento a impiegati amministrativi della redazione dei piani di emergenza invece di incaricare di tale compito gruppi di lavoro con competenze specifiche sul tema.
(…) L’incompetenza non dipende dal fatto che la posizione gerarchica elevata preveda compiti più difficili di quelli che l’impiegato è in grado di svolgere bensì, più semplicemente, di natura diversa da quelli svolti in precedenza e che richiedono quindi esperienze lavorative che l’impiegato solitamente non possiede. Per esempio, un operaio tornitore che svolgesse il suo lavoro in modo eccellente potrebbe essere promosso caporeparto, posizione in cui, tuttavia, potrebbe non essere più essenziale di per sé l’abilità a manovrare il tornio quanto l’imprescindibile capacità di trattare con il personale sottoposto.
(Caso classico di come con la promozione si perde un buon tecnico e si acquisisce un pessimo capo, poichè la competenza tecnica per un capo è una delle skills e forse neanche la più importante).
(Wikipedia)
Anche in questo caso, come se ne esce?
In un articolo pubblicato nel 2013 su Le Scienze, dal titolo “L’efficienza del caso”, gli autori, cinque professori universitari (Alessandro Pluchino, Andrea Rapisarda, Cesare Garofalo, Salvatore Spagano e Maurizio Caserta), scrivono:
Una prima applicazione è stata pubblicata in uno studio del 2010, in cui tre di noi hanno proposto di usare strategie basate sul caso per circoscrivere gli effetti nefasti del cosiddetto «principio di Peter».
(…) Il principio afferma che, se si adotta una strategia di promozioni meritocratiche, «in un gruppo gerarchico, ogni membro scalerà la gerarchia fino a raggiungere il suo livello di mini- ma competenza». Secondo Peter, in questo modo l’incompetenza si diffonde inevitabilmente ai vertici di un’organizzazione mettendone a rischio il buon funzionamento. Nel nostro lavoro, studiando il comportamento di una semplice organizzazione piramidale attraverso una simulazione ad agenti, abbiamo dimostrato che il principio di Peter non è affatto infondato: se si adotta una strategia di promozioni meritocratiche, cioè se si promuovono sempre i membri migliori, e se la competenza che un agente promosso mostra al nuovo livello non è collegata con quella che aveva al livello inferiore (in genere a causa di un cambiamento di mansioni), le simulazioni mostrano che tutti gli agenti concludono sempre la loro carriera a un livello in cui la loro competenza è minima, facendo così diminuire drasticamente l’efficienza globale del sistema.
Ma la buona notizia emersa dalle nostre ricerche è che questo effetto nefasto può essere evitato in modo semplice adottando strategie di promozione completamente, o anche solo parzialmente, casuali: invece di promuovere sempre i membri migliori, è più conveniente lasciare che questi continuino a svolgere ottimamente il loro lavoro al proprio livello gerarchico, magari premiandoli con incentivi salariali, e spostare invece, nelle posizioni diventate vacanti al livello superiore, membri scelti a caso. Così si favorisce l’emergere di nuovi talenti e l’efficienza del sistema aumenta. Senza contare che un meccanismo di promozione basato sul sorteggio, oltre che essere di fatto a costo zero, è anche un modo efficace per contrastare raccomandazioni o nepotismi.
Non credo che la soluzione possa essere di adottare strategie di promozione completamente, o anche solo parzialmente, casuali, come proposto dagli autorevoli professori, ma piuttosto e molto più semplicemente insegnando alle persone nuove competenze e dotandole di nuovi strumenti.
La soluzione corretta, a mio avviso, è contenuta nella frase “se si adotta una strategia di promozioni meritocratiche, cioè se si promuovono sempre i membri migliori, e se la competenza che un agente promosso mostra al nuovo livello non è collegata con quella che aveva al livello inferiore (in genere a causa di un cambiamento di mansioni)”, implica che nel caso di una promozione è necessario “collegare” la nuova mansione a un set di nuove competenze e non modificare la strategia di promozione. Questo “collegamento” è mancante in molte promozioni con il risultato previsto dal principio di Peter.
Inoltre, la soluzione ventilata dagli autori non può funzionare in un ambiente in rapido cambiamento che modifica velocemente competenze – con una progressione che tenderà ad aumentare nel futuro – rende rapidamente obsoleti processi, prodotti e tecnologie.
Se la conoscenza può creare problemi, non è tramite l’ignoranza che possiamo risolverli (Isaac Asimov).
Cambiare il metodo di promozione da meritocratico a casuale non risolve la causa del problema che è nell’inadeguatezza delle competenze o nella necessità, una volta promosso a un ruolo superiore, di acquisire nuove capacità e abilità.
Le considerazioni di cui sopra, spesso sfuggono alle aziende che, promuovendo persone meritevoli ma mancanti delle necessarie skills, contribuiscono in realtà a peggiorare l’intelligenza complessiva dell’organizzazione.
Se c’è una cosa che davvero distingue le persone e gli esseri umani in generale, è la capacità di imparare, dote che ha consentito ai nostri antenati di scendere dagli alberi e di iniziare un percorso evolutivo e di crescita che non si è ancora interrotto.
Il futuro sarà di quelle organizzazioni che investiranno in conoscenze, sullo sviluppo dell’intelligenza collettiva e individuale, facendo crescere le competenze in modo sistematico e strutturato e non in sistemi teorici casuali di promozione.
E proprio la casualità sembra essere l’elemento comune a sistemi e processi non pensati e progettati per aumentare il livello di competenza – e professionalità- che contraddistingue molte organizzazioni.
Come manager, imprenditori e più in generale responsabili, è importante essere consapevoli dell’effetto Dunning-Kruger e del Principio di Peter, dal momento che la presa di consapevolezza è il primo passo verso un cambiamento sostenibile e la progettazione di sistemi e processi più adeguati e dell’aggiornamento delle skills dei proprio collaboratori.
E un buon inizio potrebbe essere quello di cominciare a definire i contorni della nostra ignoranza.
Con semplicità e umiltà …
Socrate era ritenuto il più sapiente tra gli uomini perché … sapeva di non sapere.
Buona settimana
Massimo