La pandemia e la pessima gestione che ne è seguita ha polarizzato le opinioni.
Da una parte gli ‘infettati’ dalla paura (o forse terrore?), dalla preoccupazione, dall’ansia e dall’altra i ‘negazionisti’, quelli che non credono al virus, che rifiutano, che vorrebbero cancellare la realtà inseguendo chissà quali chimere.
In mezzo chi, come ad esempio il sottoscritto, cerca di mantenere un atteggiamento equilibrato di ‘giusta preoccupazione e attenzione’ e che si sforza di seguire le varie prescrizioni (anche se a volte leggermente deliranti).
Negazionisti, complottisti, no-vax, terrapiattisti, vanno tutti in un gruppo che ha una caratteristica comune: rifiuto della realtà e atteggiamento non scientifico che cercano di giustificare con ‘narrazioni’ – termine oggi molto di moda – che vanno dalla fantasia, alla curiosa interpretazione, agli alieni, alle scie chimiche e via cianciando.
Del resto fino a non molto tempo fa credevano che un tizio, abitante dell’Olimpo, in cerca di uno sfogo e con la vena ingrossata, manifestava la sua ira scagliando fulmini da tutte le parti.
Ma tant’è…
Recentemente ho sentito in televisione un’illustre onorevole sostenere che sono state intraprese misure ‘innovative’ per contrastare il coronavirus. Mah…
Tempo fa il ‘lockdown’ si chiamava quarantena e/o isolamento:
QUARANTENA. Il termine prende origine dall’isolamento di un numero indefinito di giorni che veniva imposto agli equipaggi delle navi come misura di prevenzione contro le malattie che imperversavano nel XIV secolo, fra cui la peste. Un documento del 1377 stabilisce che prima di entrare a Ragusa, l’odierna Dubrovnik in Croazia, era necessario passare 30 giorni (una trentina) in un luogo isolato, di solito le vicine isole di fronte la costa, in attesa dell’eventuale manifestarsi di sintomi di peste. Nel 1448 il Senato veneziano prolungò il periodo d’isolamento fino a 40 giorni dando origine al termine quarantena (originariamente, forma veneta per quarantina). Wikipedia
L’altro evento recente fu l’epidemia di influenza spagnola del 1918-1919 che, giova ricordarlo, fece 50 milioni di morti e infettò circa 500 milioni di persone. Una scorsa alle fotografie dell’epoca mostra quanto le contromisure di oggi non siano poi così diverse (innovazione?) da quelle adottate 100 anni fa.
E a proposito dei primi tempi, periodo gennaio-marzo, mi chiedo come mai famosi epidemiologi, scienziati e politici non siano andati a ristudiarsi quell’evento che aveva avuto un impatto sanitario e umano rilevante. Forse avremmo dovuto capire che molte iniziative andavano prese per tempo.
Fortunatamente la verità comincia ad emergere e solo uno studio serio e attento di quello che è successo potrà servire come utile lezione per non ripetere i tanti errori organizzativi, di incompetenza e le inefficienze.
Un libro molto interessante che consiglio a chi vuole capire cos’è successo in quei giorni terribili è: Come nasce un’epidemia di Marco Imarisio, Simona Ravizza, Fiorenza Sarzanini giornalisti del Corriere della Sera.
Le prime pagine sintetizzano alla perfezione il mio pensiero sulla vicenda:
Da quel focolaio della Val Seriana è nata una epidemia che ha causato seimila morti. A distanza di undici anni abbondanti, si discute ancora del terremoto dell’Aquila e di come molte delle 309 persone che persero la vita avrebbero potuto invece essere salvate. Fin dal primo istante è cominciato un dibattito pubblico dai toni sostenuti sulle cause del crollo del ponte Morandi, che provocò 43 vittime.
Ma del dilagare di un virus micidiale, dei segnali ignorati, di tutto quello che si poteva e doveva fare per evitare una strage, non si può parlare. Era troppo presto, non era il momento, quando c’era la pandemia, anzi era sciacallaggio, così dicevano i diretti interessati. E’ troppo tardi, non è opportuno adesso, ripetono gli stessi, perché sta indagando la magistratura, e quindi tutto resta in sospeso. Ogni fatto verrà filtrato dalla lente dei pubblici ministeri, fino a creare una verità giudiziaria.
Tutto, purché non se ne parli. Invece, mettere in fila i fatti, cercare di raccontare e di capire come sia potuto accadere, oggi è più che mai importante.
Perché dovremo convivere ancora a lungo con il virus. Perché la normalità ritrovata non deve essere il pretesto per cominciare un’opera di rimozione, inducendo così a dimenticare il prezzo terribile pagato da un’intera comunità durante quei novanta giorni di isolamento.
(…) Nel periodo compreso tra il 1° marzo e il 15 maggio, In Italia muoio 170.269 persone, Il 35 percento in più rispetto alla media dello stesso periodo dei cinque anni precedenti. Sono i morti reali, non quelli dei bollettini del Covid-19, che tengono conto solo dei pazienti a cui era stato fatto il tampone.
E’ un conteggio che prende in considerazione anche le persone spirate in casa, perchè avevano paura di andare in ospedale, oppure perchè non hanno fatto in tempo ad arrivare al Pronto Soccorso. Poi c’è un’altra categoria di decessi dei quali si parla poco, per un caso evidente di cattiva coscienza collettiva.
Quelli causati dalla sospensione delle cure per via degli ospedali troppo pieni. Il vero conto pagato dall’Italia all’epidemia arriva così a 44.303 morti.
Ma solo in Lombardia ce ne sono ben 22.490, il doppio rispetto all’anno precedente.
(Come nasce un’epidemia – M.Imarisio, S.Ravizza, F.Sarzanini)
Poi dovremmo riflettere sulle cure sbagliate – comprensibili in momenti in cui si procedeva per tentativi, alle carenze dei presidi di protezione (questo meno comprensibile), al ritardo con cui governo e istituzioni si sono attivate, alla disastrosa decisione di chiudere tutto anche regioni dove l’epidemia era inesistente e così via. Uno studio e un’analisi non con un intento giustizialista ma per capire, comprendere, imparare.
Chi nega o nasconde non aiuta e soprattutto rende un pessimo servizio a tutti noi, alla scienza e alla verità.
Dovremmo anche smetterla con la ‘Facebook leadership’ ma questo è un tema sul quale magari tornerò.
Le risposte date e non date prima-durante-dopo hanno evidenziato i limiti e le contraddizioni di una leadership, sia in Italia che in molti altri paesi, che già in difficoltà nella gestione dell’ordinario è collassata nella gestione di un’emergenza di portata mondiale.
L’epidemia unita a una pessima comunicazione (sia quella istituzionale sia quella di un certo giornalismo sensazionalistico), alcune misure discutibili, la confusione e l’incertezza, le evidenti e pesanti difficoltà economiche, hanno diffuso un virus che lentamente è entrato nelle nostre menti creando di fatto uno stato percettivo alterato. Una sorta di ‘galleggiamento’ dove tutto appare coperto da una nebbia fatta di incertezza, ansia, preoccupazione, paura.
L’antidoto sta nel recuperare equilibrio, capacità di analisi, prospettiva, voglia di ripartire, senso di responsabilità e attenzione.
Dobbiamo ripartire, dobbiamo ricominciare, dobbiamo riuscire a superare questo momento così difficile e il primo passo nasce proprio provando a squarciare quel velo che offusca la mente.
Viktor Frankl, psicologo, sopravvissuto a una delle esperienze più terribili che possano accadere a un essere umano, la deportazione in un lager, scrisse:
L’uomo ha invero un carattere peculiare: può esistere solo nella visuale del futuro.
E il futuro cominciamo a costruirlo già da ora.
Sviluppiamo i giusti anticorpi per combattere l’infezione: visione, iniziativa, azione, fiducia, speranza, passione e intelligenza.
What else?
Buona settimana
Design a better world
Massimo
Foto crediti:
Wikipedia – Seattle, 1918: il manovratore di un tram non accetta a bordo passeggeri sprovvisti di mascherina.