Un caro amico, dopo aver letto l’ultimo post sulla capacità di pensare bene (Mind Fitness: allenare la mente del 7 aprile 2019), mi ha scritto una breve mail che riporto per la riflessione di questa settimana:
Sacrosanto! Osa il pensiero e, aggiungerei, osa l’azione, non attendere che gli eventi avvengano, potrebbe essere troppo tardi. Purtroppo il mascherarsi con “abbiamo sempre fatto così” la completa negazione di Audere…
‘Abbiamo sempre fatto così’ è una ben conosciuta frase killer dello stesso tipo della ‘NIH syndrome’
Soprattutto nell’ambito della cultura anglosassone, con not invented here (lett. “non è stato inventato qui”), indicato anche con NIH o con sindrome NIH, ci si riferisce a quell’atteggiamento culturale sociale, aziendale o istituzionale che spinge ad evitare di utilizzare ricerche, normative, prodotti o conoscenze già esistenti a causa delle loro origini esterne e dei loro costi. Il termine è normalmente usato in senso peggiorativo.
(…)Come fenomeno sociale, questa filosofia si manifesta come una mancanza di volontà di adottare un’idea o un prodotto perché proviene da un’altra cultura, dando vita ad una forma di tribalismo.
(Wikipedia)
E sui ‘tribalismi’ si potrebbero scrivere pagine e pagine…
La riflessione che volevo proporre non è sugli usi e costumi delle tribù aziendali, soggetto ampio e interessante che terrò magari per un prossimo post, ma su quella frase intrigante ‘osa l’azione, non attendere che gli eventi avvengano, potrebbe essere troppo tardi’.
Pensiero e azione, yin e yang del successo.
Pensare senza agire è inutile, agire senza pensare è pericoloso.
La giusta misura, il Tao del successo (qualunque significato si dia alla parola ‘successo’), è: pensiero a cui segue l’azione. Il processo non è lineare, né monodirezionale, ma circolare: molte volte l’azione modifica il pensiero e ne è da questo modificata, appunto come ben rappresenta il simbolo dello yin e dello yang.
E posto che ci sia il pensiero, parliamo di azione.
Gli esseri umani, nel corso della propria storia, hanno sempre cercato di controllare e, per quanto possibile, di dominare gli eventi che condizionano la loro esistenza, poiché la prevedibilità di parte degli eventi e la possibilità di intervenire sugli stessi favorisce l’adattamento e crea un forte incentivo allo sviluppo e all’esercizio del controllo personale. Nonostante l’agire umano sia indubbiamente determinato da fattori diversi e tra loro interagenti, gli individui, mediante l’azione, possono contribuire a indirizzare l’esito del proprio comportamento. Definiamo tale competenza come agentività (o agency), come la facoltà di far accadere le cose, di intervenire sulla realtà, di esercitare un potere causale su di essa, sviluppando un senso di autoefficacia.
(Michela Balconi, Far capitare le cose)
Agiamo per i più disparati motivi, perché vogliamo ottenere qualcosa, perché siamo obbligati a farlo, perché ci sono molte buone ragioni per cui è necessario e giusto agire.
Azione, agire, è sempre un ‘fare’ e un ‘fare’ richiede energia, fatica, sforzo, forse è per questo che molte volte non agiamo. A volte ne siamo impediti, a volte non ci interessa farlo, oppure è troppo impegnativo e faticoso.
Sapremmo cosa dovremmo fare ma non siamo motivati a farlo.
Siamo anche bravissimi a razionalizzare la scelta di non-fare costruendo innumerevoli giustificazioni: non si può, non funziona, abbiamo sempre fatto così, non abbiamo il budget, non abbiamo tempo. Le ultime due scuse sono le più gettonate in azienda.
Problemi aziendali o organizzativi a parte, ci si aspetterebbe che persone competenti e capaci prendano l’iniziativa, ovviamente in un contesto aziendale che la consente e la stimola, ma invece non succede. Perché?
Perché la persona soffre degli stessi blocchi che hanno le organizzazioni, razionalizza paure, incapacità (non sa come e cosa fare), non può agire (blocchi organizzativi, procedurali o di capi per cui vale il mantra ‘non sei pagato per pensare ma per eseguire’), prova disinteresse, è demotivato; risultato: immobilismo, rassegnazione, inerzia, un costante non-fare.
Tutti fattori sui quali si potrebbe agire (incapacità, blocchi organizzativi o procedurali) o tentare di agire (disinteresse, demotivazione), ma invece quel non-fare viene tollerato e accettato, perché affrontarlo vorrebbe dire impegnare energia, sforzo, cambiare comportamenti e prassi obsolete, creare significati al posto di obiettivi astrusi, dimostrare nei fatti e non solo a parole attenzione, cura, interesse, impegno, investire nella costruzione delle competenze.
E se dato tutto l’impegno e lo sforzo il risultato è sempre nullo, forse bisogna riflettere sul fatto che quella persona si è di fatto autolimitata e a questo punto si avrebbe almeno la tranquillità d’animo di aver fatto tutto il possibile.
Insomma, bisognerebbe porsi la domanda di Maslow (quello della piramide dei bisogni):
La domanda chiave non è: “che cosa stimola la creatività?”
Ma “perché diavolo non tutti sono creativi? Dov’è andato perduto il potenziale umano? In che modo è stato bloccato?”.
Sono dunque convinto che sia bene domandarsi non perché le persone creano, ma perché non creano e non trovano modi nuovi per fare le cose?
(Abraham Maslow)
L’azione dovrebbe sempre essere attenta, etica e responsabile, attenta alle conseguenze.
Anche un ‘non-fare’ è un’azione e a volte, il ‘non-agire’ potrebbe essere la cosa giusta da… fare!
L’intelligenza e la sensibilità ci dovrebbero aiutare a distinguere quando è opportuno agire e quando è opportuno non-agire, a questo scopo è necessario curare la sintesi tra ragione ed emozione.
Atul Gawande, medico chirurgo propone una serie di riflessioni affascinanti:
Si entra nella professione convinti che sia tutta una questione di acume diagnostico, di bravura tecnica, e di una qualche capacità di simpatizzare con la gente. Ma non è così, e lo si scopre presto. In medicina, come in qualunque professione, bisogna vedersela con i sistemi, le risorse, le circostanze, le persone – e anche con i nostri limiti. Ci si trova ad affrontare una varietà apparentemente infinita di ostacoli. Eppure in qualche modo si deve progredire, ci si deve affinare.
(…)Tre sono le condizioni fondamentali per il successo in medicina, come del resto in ogni campo che comporti rischio e responsabilità. Primo requisito è la scrupolosità, la necessità di prestare sufficiente attenzione ai dettagli per evitare errori e superare gli ostacoli.
(…)La seconda sfida è fare la cosa giusta. La medicina è una professione fondamentalmente umana. E’ perciò sempre alterata dai difetti umani, difetti quali l’avarizia, l’arroganza, l’insicurezza, l’incomprensione.
(…)Terzo requisito per il successo è l’ingegnosità: saper pensare in modo nuovo. L’ingegnosità viene spesso fraintesa. Non è una questione di intelligenza superiore bensì di carattere. Richiede in primo luogo la disponibilità a riconoscere il fallimento, a non nascondere gli errori, e a cambiare. E’ frutto di una deliberata, perfino ossessiva riflessione sul fallimento e di una costante ricerca di soluzioni nuove.
(…)Migliorare è una fatica continua. Il mondo è caotico, disorganizzato e fastidioso, e la medicina non fa eccezione. A complicare le cose, noi medici non siamo che esseri umani. Con le nostre distrazioni, debolezze, preoccupazioni personali. Tuttavia, fare il medico significa vivere in modo che la propria vita sia vincolata alla vita altrui, alla scienza e alla contraddittoria, complessa connessione tra le due. Significa vivere una vita di responsabilità. Il problema dunque non è se si accetta o meno la responsabilità. Che si ha comunque per il solo fatto di fare questo lavoro. Il problema è, avendo accettato la responsabilità, come far bene il proprio lavoro.
(Atal Gawande, Con cura)
Pensare bene e agire bene!
Ecco il Tao del successo!
Con fatica, sforzo, determinazione e passione.
Non ci sono altre scorciatoie… con buona pace di tante finte ricette.
E’ il nostro destino…ma anche una sfida incredibilmente stimolante e affascinante, la stessa che ci ha portati dalle caverne all’era moderna, quello che ci rende umani e la vita degna di essere vissuta, assaporata e…agita!
Design a better world!
Buona settimana
Massimo
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