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The Dawn Wall

By 12 Maggio 2019 Luglio 8th, 2019 No Comments

Dopo la lunga pausa riprendiamo con il nostro appuntamento settimanale ospitando Silvia per un’altra bella storia; la storia di una sfida vinta con sacrificio, impegno e passione.

Buona lettura e buona settimana
Massimo
Design a better world!

THE DAWN WALL
ovvero: di quanto abbiamo bisogno di epica.

PROLOGO
Innanzitutto, dovete vederlo, o meglio, vi consiglio di vederlo, perché è un documentario incredibile, con un ritmo perfetto, che ti tiene agganciato, che attiva i neuroni specchio e più di una volta – almeno io personalmente, ma anche altre persone che non amano particolarmente l’arrampicata – ci si trova con le lacrime da mandare giù.
Già solo per questo è da vedere. 
Ci saranno spoiler: se li odiate guardate il film e poi ne parliamo, diversamente andate avanti e poi guardatelo, è comunque incredibile. Davvero. Un’ora e 40 di meraviglia. 
Provo a raccontarvi l’essenziale per poter fare qualche riflessione sulla vicenda.

PRESENTAZIONE
The Dawn Wall è il docufilm che racconta la storia di Tommy Caldwell (in primis) e del suo compagno di scalata Kevin Jorgeson che nel 2015 riescono a concatenare e a chiudere in libera (cioè con la progressione sulla roccia con corde usate solo come sicurezza durante la scalata – il classico free climbing) una via difficilissima mai affrontata prima sul monolite più famoso al mondo: El Capitan a Yosemite: 900 mt di granito con fessure sottilissime, e in particolare due passaggi molto difficili: così difficili da non essere stati risolti neanche durante lo studio da parte dei due della via. E questa è la premessa che già ha del fascino. Ma non è incredibile. 
L’incredibile parte anni prima.

L’INFANZIA
Tommy nasce con un disturbo nell’apprendimento. Riscontrato delle insegnanti e rilevato anche dai genitori. Impara tardi, inizia a gattonare a due anni. È lento, il ragazzo… e il papà che è un bodybuilder amante della montagna lo porta tra le nevi, le rocce e gli strapiombi per rinforzarlo, per allenarlo alla resilienza. Il padre dichiara: nella vita ne avrà bisogno il doppio degli altri. Le cose che per altri sarebbero state normali a lui sarebbero costate il doppio. 
Viene spontanea la battuta di fronte a una foto del ragazzino che a 6 anni è appeso tra due rocce sopra ad uno strapiombo: ora avrebbero già chiamato gli assistenti sociali e il padre avrebbe perso la patria potestà. Su questo non commentiamo ma ognuno può fare le sue riflessioni. 

IL SALTO AL PROFESSIONISMO
Tommy inizia a scalare e a sedici anni è già molto più bravo di suo padre. Va con lui ad assistere ad una gara mondiale di arrampicata. Come fan. Scoprono che c’è una gara parallela, per non professionisti e il giovane si iscrive. La sua prima gara. Vince. Gli propongono di partecipare a quella dei professionisti. Forte! Pensa. Il muro da affrontare ha un tetto da superare. Nessun professionista lo supera. Tommy sì. 
Vince il mondiale di arrampicata. 
Un sedicenne con disturbi dell’apprendimento che a due anni ha iniziato a gattonare. 
Ma andiamo avanti

KIRGHIZISTAN
Tommy si fidanza con una ragazza con la passione della scalata e iniziano ad arrampicare insieme, diventano professionisti, pagati e con gli sponsor. Si presenta loro un’impresa in Kirghizistan, una scalata molto importante. Durante una notte appesi alla roccia sulle tende da parete sentono degli spari di fianco sulla roccia: scendono. Vengono rapiti da terroristi con cui passano sei giorni e sei notti senza mangiare. È stato loro detto che saranno giustiziati. La sesta notte sono soli con un terrorista. Decidono di buttarlo giù da un dirupo per salvarsi la vita. Tommy compirà l’azione. A 22 anni. Per fortuna tornano negli USA sani e salvi. 
Tommy deve sopravvivere a cioè che è successo. E scala. Incredibilmente. Vie sempre più dure. Con lei sempre insieme. 

IL DITO
I giovani vanno a vivere insieme e decidono di sistemare una casa: mentre usa la sega circolare Tommy si taglia l’indice. Ripeto: si taglia l’indice. Chi scala sa che l’indice e il pollice sono essenziali. Si prende lo spuntone di roccia con le 4 dita, e per chiudere e assicurare bene la presa il pollice va a chiudere sull’indice. Una menomazione che toglie forse il 30% di forza e di abilità. Tommy continua. Nessuno ci crede ma Tommy continua. Un anno dopo chiude una via che un anno prima con l’indice non era riuscito a chiudere. Iniziano a scalare tutte le vie già aperte di El Capitan. Lui si innamora di quel granito e di quell’enorme ferro da stiro di roccia piazzato in mezzo a Yosemite.

L’ADDIO
Lei, dopo tanti anni, lo lascia. Lui capisce, ma è disperato. E inizia… da solo. El Capitan è tutto ciò che ha. Cerca una via nuova. Si cala dall’alto per studiare la roccia. D’inverno, d’estate, da solo. Studia, prova i passaggi, e sceglie: cerca una via sulla parete che nessuno ha mai osato avvicinare. La prima parte del parco – non solo di El Capitan – su cui arriva il sole. La parete chiamata The Dawn Wall. 

LO STUDIO
Un altro tizio molto forte legge della visione di Tommy e gli chiede se ha bisogno di un socio. 
Passano sei anni. Sei anni a studiare la parete. Kevin e Tommy cercano soluzioni. Pianificano. Sei anni. Qualche mese all’anno eh… poi ognuno torna a casa (ogni tanto). Arrivano a un punto in cui però i due famosi passaggi non sono risolti. Sembra che la visione sia troppo. Sia impossibile. Sia inutile progredire, continuare. Sembra un gradino più in alto delle loro possibilità. E quindi?

THE DAWN WALL
E quindi partono. 
Le difficoltà grosse (parliamo di enormi, perché tutta la parete in realtà è a un livello di arrampicata da matti) sono: un traverso, cioè un passaggio orizzontale di un tot di metri in cui gli appigli sono minuscoli – mai superato dai due, e un altro passaggio in cui l’unica soluzione è un lancio, cioè un salto tipo scimmia da un punto a quello successivo perché in mezzo non c’è nulla per stare attaccati.
Tutto bene fino al passaggio della 15ma sosta: il traverso. Dopo diversi tentativi Tommy riesce a passarlo, non Kevin. 
E’ come se fosse troppo per lui: difficoltà oggettive, ma anche un grande stress che arriva dal tam tam mediatico che si è creato intorno all’evento. 
E’ come se lui stesse bloccando il sogno di Tommy. Il quale prosegue dopo qualche giorno di attesa: io vado avanti e tu tenti il passaggio. 
Su e giù per la parete. 
Arriva al passaggio del salto tipo scimmia, che non riesce a fare. Decide di cambiare strategia: una cosa che gli scalatori non fanno mai. Arrampicare in discesa.
Praticamente per fare due metri di roccia ne percorre 60, passando dal basso: come correre i cento metri all’indietro. Lo passa e arriva poi ad un punto della parete tanto ambito, che si sa: quando arrivi lì poi è in discesa. Kevin intanto decide di smettere di provarci, è troppo per lui. Ma Tommy appena capisce di potercela fare e si libera dell’ossessione decide: o vado su e arrivo in cima con lui o niente. 
Tommy è libero. Leggero. 
Resta vicino a Kevin, lo aiuta. Si sganciano dai media che li tengono in tensione e Kevin riesce a passare il traverso. Arriva al salto della scimmia mai passato e lo supera in pochi tentativi. Sale come un missile e raggiunge Tommy e insieme arrivano in cima. 

Ho provato a farla breve, se state ancora leggendo vi ringrazio del tempo e possiamo rifletterci insieme. 
Ora: io non sono un’esperta, non so come funzioni l’apprendimento, le connessioni neuronali, e tutte quelle cose che ci vanno i dottori a spiegarle giuste; ma la percezione è una, e anche vedendo le immagini sembra proprio così. 
Tommy ha trovato i movimenti che nessun altro aveva trovato, ha inventato modi per progredire che le griglie mentali dei “normodotati” – e sicuramente più preparati di lui – non hanno trovato. Ha fatto una strada per superare il lancio che nessun altro scalatore avrebbe mai provato a percorrere. Ha imparato a guidare il suo corpo in modo efficace e l’ha reimparato quando si è tagliato il dito. Ha la resilienza come abitudine mentale. Tommy dichiara: in Kirghizistan ho capito che quando pensi di non poterne più trovi la soluzione e le energie. Tutto questo direi che non sta nella zona di confort. Non sta neanche un pochino fuori. E’ ad anni luce da lì, ma c’è. Ci si può arrivare. 
Chi non ha le stesse possibilità degli altri e fa le cose che fanno gli altri o estremamente più difficili degli altri sa che per lui/lei è l’unica strada da percorrere. 
Un altro aspetto che trovo incredibile sta nella scelta di non essere salito fino in cima senza Kevin. L’avrebbero giustificato tutti. Era la sua visione. Il suo senso. 
Kevin era il gregario in questa storia. Eppure, ha fatto un salto anche lì. Si è quasi liberato di sé stesso, del suo ego che aveva bisogno di realizzare ciò per cui ha vissuto per anni. Dovreste vedere la sua faccia quando ha fatto quella scelta. Un uomo libero. E alla fine ci sono arrivati insieme.

Io non so trarre troppe conclusioni, eppure mi sembra che questa storia così piena di vita, di Ethos e di Pathos, sia un bel pezzo di ciò di cui abbiamo bisogno per ridimensionare (cioè ridare una dimensione – in grande, non in piccolo) ciò che possiamo fare. 
Ci ricorda – in un momento in cui è tutto solo uno stress nel rincorrere ciò che ci dicono essere fondamentale – che quando qualcuno indica la Luna è lei che si deve guardare, e non il dito che la indica. 
Proviamo a sognare. Rischiamo di cadere. Di non vedere una soluzione, perché magari non c’è. Ma se c’è e se riusciremo ad arrivarci sarà ciò che racconteremo. 

Silvia

PS Comunque c’è un ulteriore lieto fine: sia per la sua situazione sentimentale di Tommy che per la storia del Kirghizistan.

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