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I love guru.

By 26 Gennaio 2020 No Comments

Con un po’ di ritardo… “buon anno a tutti”!
Riprendiamo con le nostre riflessioni impertinenti.
Iniziamo con un argomento attuale: l’attrazione per il guru!

Mettendo i gradi di saggezza e ‘illuminazione’ su un asse troviamo nell’ordine: l’opinionista,  il leader griffato (vedi post IL LEADER “GRIFFATO”. THE REALITY GAP 2), l’influencer, l’esperto (o presunto tale) e il guru. 
Alcuni consulenti si collocano in posizioni intermedie a seconda del grado di illuminazione raggiunto. 
Altri amano parlare come Yoda, usando ad effetto, frasi oscure ed enigmatiche, aforismi che vogliono suggerire e svelare ma non chiarire… e tu alla fine del loro discorso ti ritrovi a pensare o che il significato era così profondo che per raggiungerlo rischi di andare fuori di testa o di andare così giù da non vedere più la luce.

Gli influncer sono un fenomeno recente legato allo sviluppo dei social. 
Per fare un esperimento ne ho seguito uno per qualche tempo, salvo poi cancellarmi stante il livello patetico dei post che produceva. 
Nel famoso film The Untouchables Al capone (impersonato da Robert De Niro) diceva “tutto chiacchiere e distintivo…” qui invece dicono “tutto magliette, scarpe e borsette…” enon hanno neanche il distintivo!E giù migliaia di like… e tutti a sognare di diventare influencer con sponsor milionari in coda per accaparrarsi una foto o un post…

Nel business stessa cosa…personaggi ‘autorevoli’ spopolano in trasmissioni, in siti web, in convegni, in eventi lanciati come altamente innovativi e trasformanti. L’illusione di formarsi è molto alta, quello che rimane è qualche informazione e un pò (a volte) di divertimento (infotainment).
Pericolosissimo quando il guru arriva in azienda, i danni che questi ‘illuminati’ possono fare sono devastanti nel peggiore dei casi, oppure irrilevanti ma costosi nel migliore dei casi: il classico parto del topolino. Ma se scocca l’amore tra l’imprenditore/manager e il guru non c’è più discussione. Ipse dixit (l’ha detto egli stesso)…

Ma perché siamo attratti così potentemente da queste figure sante, sapienti e sagge? 
L’incertezza e la vaghezza dei tempi odierni creano un vuoto di certezze che in qualche modo deve essere riempito; la figura del guru, del dispensatore di ricette e incantesimi che ‘potranno fare la differenza’, riempie quel nulla apparente che produce ansia, infonde sicurezza e indica una strada (magari con il solito elenco delle 10 cose da fare/da non fare… come i dieci comandamenti di biblica memoria).
E’ una soluzione comoda che ci sgrava dalla fatica di doverci costruire un percorso, ci solleva dall’impegno e dalla responsabilità e individua un potenziale colpevole sul quale far ricadere la colpa se la cosa non funziona.
Insomma è rassicurante.

Il primo libro della Bibbia mette bene in chiaro quel che succede se non si ubbidisce all’autorità: si viene espulsi dal giardino dell’Eden. E’ quello che vogliono farci credere anche autorità molto meno importanti: politologi, scienziati, medici, amministratori delegati, economisti, capi di governo, commentatori sportivi, consulenti d’azienda, guru dell’economia.
Le autorità presentano due tipi di problemi. Prima di tutto la percentuale di successo, tutt’altro che entusiasmante. Al mondo ci sono quasi un milione di economisti. Nessuno di loro è stato in grado di prevedere con esattezza la tempistica della crisi finanziaria, o che lo scoppio della bolla immobiliare, combinata al crollo dei ‘credit default swaps’, avrebbe portato a un’enorme crisi economica. Mai un gruppo di esperti ha fallito in modo così clamoroso. 
(…) Il fatto che spesso le autorità si sbagliano alla grande è solo uno dei problemi. Più grave è il fatto che in presenza di un’autorità la nostra capacità di pensare in modo autonomo diminuisce. Rispetto alle opinioni degli esperti abbiamo molte meno riserve di quelle che abbiamo riguardo ai pareri dei non esperti. E poi: ubbidiamo all’autorità anche quando da un punto di vista razionale o morale non ha alcun senso farlo. E’ il bias dell’autorità.
(Rolf Dobelli)

Il bias dell’autorità è abbastanza comune, tutti ne soffriamo, perché è così che è costruita e  funziona la nostra mente ed è una sorta di pregiudizio:
Il bias cognitivo è un pattern sistematico di deviazione dalla norma o dalla razionalità nel giudizio. In psicologia indica una tendenza a creare la propria realtà soggettiva, non necessariamente corrispondente all’evidenza, sviluppata sulla base dell’interpretazione delle informazioni in possesso, anche se non logicamente o semanticamente connesse tra loro, che porta dunque a un errore di valutazione o a mancanza di oggettività di giudizio.
(WIkipedia)

Come possiamo superare il fascino del bias dell’autorità?
Sviluppando un pensiero critico che vada a fondo delle cose in modo razionale, migliorando le nostre capacità di osservazione e di analisi, sperimentando, acquisendo cioè un modo di pensare “scientifico”.
Usando con attenzione ricette pre-confezionate, sapendo, cioè, che sono schemi e modelli e non la spiegazione finale delle cose; essendo consapevoli, in modo particolare nel mondo delle aziende, che la costruzione di template/schemi/canvas è un processo fine a se stesso, originato dalla necessità puramente commerciale di produrre ‘mappe concettuali’ da vendere, ammantandoli di un potere magico/innovativo/terapeutico che in realtà non hanno.
Imparando ad utilizzare la creatività per trovare soluzioni originali e non copia e incolla.

Quando i messaggi diventano più specifici, i guru del self-help tendono a fare affermazioni che non sono corroborate da ricerche affidabili. I risultati, per esempio, ci rivelano che sfogare la rabbia non ci aiuta a liberarcene e che visualizzare gli obiettivi non ne facilita il raggiungimento. Inoltre, qualunque cosa si pensi dei sondaggi nazionali sulla felicità della popolazione ormai pubblicati con una certa regolarità c’è un dato che colpisce: i paesi più ‘felici’ non sono mai quelli nei quali i libri di self-help hanno più successo, né quelli in cui si ricorre più spesso alla psicoterapia. E’ evidente che l’esistenza di una fiorente “industria della felicità” non basta a rendere felici i cittadini, e anzi non è irragionevole sospettare che possa peggiorare le cose.

“Chiediti se sei felice” osservava il filosofo John Stuart Mill “e cesserai di esserlo”.

Sono proprio i nostri tentativi ininterrotti di eliminare ciò che è negativo – insicurezza, incertezza, fallimento, tristezza – a farci sentire insicuri, incerti, ansiosi o infelici.
(Oliver Burkeman – La legge del contrario)

Una bella definizione che ho letto recentemente è quella di ‘teatro dell’innovazione’, aree fisiche e/o virtuali dove viene messa in scena l’innovazione, con i suoi attori, i suoi copioni e le sue scenografie e il suo pubblico. 
Innovazione finta però… 
In giro di idee originali se ne vedono e ce ne sono davvero molto poche.
Quindi andiamoci pure a teatro ma con la consapevolezza che assisteremo a uno spettacolo, con attori magari bravi, ma che interpretano una finzione!
Divertente ma non ‘innovativo’. Infotainment non formazione.

Guardiamo, quindi, con attenzione e spirito critico ai molti guru che hanno grande visibilità, fascino, tanti like ma poca sostanza e nessun senso pratico. Un mondo dell’ovvio e vecchio  con qualche ritocco spacciato per nuovo.

‘I love guru’… ma forse, tutto sommato, non così tanto…

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Buona settimana
Massimo

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