BLOG

E se tornassimo a concentrarci su quello che conta davvero?

By 17 Luglio 2019 Novembre 5th, 2019 No Comments

Tanti guru, tanti coach, tante ricette, tanti canvas… ma sarà vera gloria?
Consigli, consigli, consigli… su tutto e a tutto campo.
Tanti ‘santoni’ che come il venerabile Yoda dispensano frasi laconiche dal significato così profondo che non si capisce…
Tanti casi di aziende spacciate come eccellenti salvo poi, qualche mese più tardi scoprire che non vanno affatto bene.
Mah…
Tante risposte, ma forse mancano le domande giuste.

I buoni insegnanti producono scettici che pongono le loro domande e trovano le loro risposte; i guru del management producono solo discepoli che non fanno domande.

I guru producono discepoli che diffondono senza modificare la dottrina che gli viene fornita. Quindi, mettono fine al bisogno sentito di saperne di più. Nessun discepolo ha mai saputo più del guru che l’ha indottrinato.

I buoni educatori incoraggiano gli altri a sviluppare idee migliori di quelle che loro, gli educatori, gli hanno presentato. I buoni educatori producono studenti che ne sanno più di loro. Producono scettici che si concentrano sulle domande senza risposta e su problemi irrisolti, incoraggiandoli a cercare risposte e soluzioni.
Gli educatori sperano di produrre studenti che guideranno, non seguiranno.

I guru non educano, indottrinano. Forniscono risposte, non domande o problemi. Producono vangeli e apostoli, seguaci e credenti e spesso fanatici. I fanatici considerano legittime solo un numero limitato di domande; queste sono le domande a cui credono di aver ricevuto risposte corrette. Tutte le altre domande sono considerate non meritevoli di risposta.

I guru del management spacciano panacee, soluzioni semplici a problemi complessi. I consulenti più dannosi sono quelli che spacciano soluzioni complesse a problemi semplici.”
(Russell L. Ackoff – Management f-Laws)

Educatore’: colui che educa, dal latino educare, intensivo di educeretrarre fuori, allevare’, composto di ex– ‘fuori’ e duceretrarre’ (garzantilinguistica.it).

E ancora per incalzare:

Scorrere l’elenco delle aziende preferite dai guru negli ultimi venticinque anni è come assistere a una parata di majorette appassite.
La triste processione dimostra più di ogni altra cosa che il tempo distrugge ogni presunzione.
La lezione più importante che possiamo trarre da questi esempi tutt’altro che lusinghieri non è che i guru sono incapaci di prevedere il futuro, ma che in un certo senso sono sempre in ritardo sui tempi.

(…) Fedeli alla loro missione di intrattenitori di massa. i guru sono degli imitatori non dei leader. Le loro scelte hanno la funzione di consolidare più che di creare, lo stato d’animo, le aspirazioni e il pensiero convenzionale del momento.

(…) L’ammissione di Peters (famoso guru del management) che le ‘aziende eccellenti non esistono’ è in parte un riconoscimento tardivo del carattere effimero dell’eccellenza negli affari. Ciò che funziona in un dato momento e in un certo contesto non necessariamente funzionerà tra un anno in un’altra città.

(…) Da Peters in poi si è capito che il mercato delle banalità travestite da profonde intuizioni non conosce limiti. Gli aspiranti guru sembrano aver compreso che la strada per la ricchezza è lastricata di confusi cliché e pseudoteorie manifestamente prive di sostegno.

(…) In un mercato in cui la popolarità è tutto, c’è sempre e solo la cattiva teoria del management.

(…) Altri guru hanno proposto, ad esempio, l’organizzazione adattiva, l’organizzazione informatizzata, l’organizzazione ad alta intensità di conoscenza, l’organizzazione dell’apprendimento, l’organizzazione a rete, l’organizzazione organica, l’organizzazione ibrida, l’organizzazione postimprenditoriale, l’organizzazione postindustriale, l’organizzazione postmoderna, l’organizzazione post-strutturalista, l’organizzazione autoprogettata e l’organizzazione a trifoglio.” 
(Matthew Stewart – Twilight manager)

Avrebbe avuto ragione il buon conte Mascetti nel sintetizzare il tutto con la ‘supercazzola’…

Sono tempi di guru, di ricette e di percorsi per il successo. 
Come al supermercato, puoi trovare tutto sulla performance, sullo sfruttamento delle potenzialità nascoste, confezioni di concetti metafisici quali ‘agility’ o ‘agile’, ‘lean’ in tutte le salse, soluzioni per la scoperta e crescita dei talenti, assistiti dalla presenza inevitabile e ubiquitaria di coach ed esperti; un proliferare di proposte, consigli, piani in un numero variabile di step, canvas per tutte le necessità, secreti e soluzioni. 
Il successo è proprio li, vicino a noi, in quel libro sullo scaffale, in un Ted talk o in un convegno,  o nel ‘guru’ che compare così spesso sui social; basta allungare la mano – a volte basta un semplice ‘click’- e le soluzioni piovono a fiotti.
Un mercato enorme e in continua espansione.
C’è solo l’imbarazzo della scelta.

Allora come mai la situazione non mi sembra che migliori?

Forse dovremmo tornare a concentrarci sulle cose che contano davvero: sull’azienda, il business, i clienti e le competenze (quelle vere, non quelle ‘magiche) delle nostre persone.
Ritrovare il piacere di discutere di business senza troppi ‘canvas’ ma, semplicemente capendo cosa è necessario per farlo andare meglio, consapevoli che le ricette facili e sicure non esistono e che chi lo sostiene mente sapendo di mentire.
Ritrovare la passione che si ritrova nella concretezza dell’operatività e nel contatto con il lavoro, quello vero, fatto in reparto o in ufficio e non quello presentato in tanti convegni che suona falso e costruito.
Bisogna tornare a sporcarsi le mani, lavorando sui processi con le persone e impegnarsi a cambiare quello che va cambiato.
Capitali vengono spesi in inutili ‘indagini del clima’, quando basterebbe parlare con le persone, girare negli uffici o nei reparti per capire com’è la situazione, aver voglia di ascoltare, capire, conoscere e riconnettersi al lavoro e alle persone.
Certe attività non possono essere delegate (e forse non è nemmeno corretto) a terzi, vedi il proliferare dei tanti ‘coach’ che in realtà suppliscono (con alterni risultati) una carenza di fondo che è soprattutto di management.
Insomma meno parole e più fatti.
Meno procedure e più sostanza.
Meno canvas e più contatto con il campo.
Raccontare certe organizzazioni oggi sarebbe degno di Kafka…
E come gli orchestrali del Titanic che suonavano sul ponte mentre la nave affondava, tanti manager parlano di ‘supercazzole’ mentre l’azienda è disconnessa dal mercato e le persone sono lasciate sole. E poi stupiti si chiedono come mai le cose vanno male…

Fermate il mondo… scendiamo per un attimo e ritroviamo la concentrazione.
Alcune organizzazioni stanno perdendo contatto con la realtà, alcuni responsabili non conoscono nemmeno più i processi di cui sono appunto responsabili (sig!)… follia pura!

Ritroviamo il piacere di fare un lavoro ben fatto e di spiegare, quando serve, cos’è un lavoro ben fatto, una scadenza rispettata, un progetto portato in fondo con successo, come si parla in modo corretto con un cliente o come ci si deve comportare al telefono quando si riceve una telefonata. L’eccellenza inizia sempre dalle piccole cose, non dai discorsi roboanti.
Tutto il resto è chiacchiera.

E aiutiamo gli operativi, troppe volte lasciati soli a combattere con procedure e sistemi concepiti da qualche persona disturbata e lontana dal mondo vero.
E basta con questa favola della ‘digitalizzazione’. 
Non è poi così attraente trasformare le aziende in fotocopie della pagina Facebook. Riprendiamo contatto con la realtà, interroghiamoci sul sistema informatico occulto che c’è in ogni azienda e che supplisce i buchi di software, apparentemente belli, da presentazione, ma mancanti di parti che poi gli operativi devono compensare con i vari excel, word, ecc.
Lasciamo la fabbrica digitale al sogno (incubo) che ha partorito il classico topolino e non è la rivoluzione che non può creare dal nulla quello che non c’è: competenze, innovazione, un’idea vincente di business o una crescita sostenibile.

Semplicemente ritorniamo al lavoro, alle persone, alle competenze, alla professionalità, alla voglia di imparare, ai processi, al mercato, insomma all’azienda. 
Miglioriamo quello che va cambiato.
Scopriremo un oceano di possibilità e opportunità. 
Le altre strade vanno bene per fare immagine (forse) ma non producono sostanza.
E oggi abbiamo bisogno di sostanza, di meno parole e di più concretezza. 

Avremo tempo per giocare all’ultima moda, all’ultimo canvas, all’ultima teoria spacciata come dirompente, intanto assicuriamo il business, miglioriamo i processi e facciamo crescere le persone che sono i veri talenti su cui investire.

Quanto mi manchi caro conte Mascetti…

Buona settimana
Massimo
Design a better world!

    Pubblichiamo un nuovo post ogni settimana, se desideri riceverlo iscriviti:

    Nome e cognome (richiesto)

    Professione

    Indirizzo email (richiesto)

    Condividi l'articolo

    Leave a Reply