Industry 4.0: assalto alla diligenza.
Si ricomincia…
Molti amici/lettori mi hanno chiesto come mai, nelle ultime settimane, non avevano ricevuto il solito post settimanale.
La spiegazione è semplice: sono stato impegnato in un trasloco dalla lunghezza infinita.
Gli ultimi week-end sono stati passati a spostare scatole!
Un’esperienza da cui trarre qualche riflessione e che magari sarà oggetto di un prossimo post.
Ma riprendiamo da dove avevamo lasciato.
Industry 4.0.
Sono tempi nei quali si fa un gran parlare di Industry 4.0: professori, consulenti, esperti vari, politici, parlano e discettano di sfide, tecnologie, smart factory, e via dicendo.
Conferenze e convegni si tengono sul tema.
Da tempo è in corso l’assalto alla diligenza.
Tutti se ne occupano, investono e saranno “digitalizzati”!
La diligenza è una metafora dell’azienda, dei suoi conduttori e dei suoi passeggeri.
Molte aziende sono proprie come le diligenze del Far West, corrono su piste polverose e difficili in territori ostili, popolati di banditi e di indiani sul piede di guerra (consulenti, professori, esperti, concorrenti).
Sulle strade del far West a cassetta sedevano il conducente (Whipster), che generalmente sedeva a sinistra, ed una guardia armata (lo Shotgun), che sedeva a destra.
(Wikipedia)
L’assalto alla diligenza è l’assalto alle risorse economiche e di attenzione dell’azienda nella corsa all’investimento in sviluppo tecnologico chiamato “Industry 4.0”.
Una ricerca veloce su Google segnala per “Industry 4.0” 263 milioni di risultati; per “smart factory” 24 milioni di risultati; per “digital factory” 6 milioni e 750 mila risultati.
Il super-ammortamento (leggi “pagare meno tasse”) attrae con il suo fascino di un risparmio facile e di un ammodernamento tecnologico che renderà le aziende più competitive e vincenti in un mondo sempre più digitalizzato.
Nessuno ha il coraggio però di dire come stanno veramente le cose.
Industry 4.0 è una finta rivoluzione che non cambierà, in molte aziende, assolutamente nulla.
La tecnologia segue un percorso evolutivo inevitabile.
Insomma, indietro non si torna.
Finanziamenti a parte – che non risolvono i problemi strutturali di un paese che opprime fiscalmente imprese e cittadini – è certo che lo sviluppo tecnologico ha una sua traiettoria di crescita inarrestabile ed evidente.
La tecnologia evolve e si acquista – se puoi permettertelo.
In Italia non abbiamo nessun problema di aggiornamento tecnologico.
Le imprese hanno, da sempre, investito in nuove tecnologie (macchine, attrezzature, impianti, ecc.) quando il business, o la strategia, o l’intuizione dell’imprenditore, lo hanno richiesto.
Giustificare Industry 4.0 come occasione per rinnovare le tecnologie è un’eccessiva leggerezza.
In Italia abbiamo invece un profondo e diffuso problema “culturale”: un modo di gestire aziende e organizzazioni che è vecchio, obsoleto.
Anche le nuove generazioni di imprenditori e manager non sono esenti da questo modo di pensare antico che è pervasivo e trasversale a settori e aziende.
Mentre il design “made in Italy” è ben conosciuto all’estero e vanto e orgoglio di chi fa impresa oggi in Italia, non si può dire lo stesso delle modalità organizzative delle aziende italiane.
Le imprese italiane, infatti, purtroppo non spiccano per innovazioni di carattere organizzativo o gestionale, in un contesto rimasto ancorato, a voler essere ottimisti, a modelli da Industry 2.0 o 3.0.
Recentemente ho ricevuto da un amico imprenditore un articolo, scritto da Carlo Carboni, de ilsole24ore intitolato “E’ tempo di formare i manager 4.0. Il progresso tecnologico richiede dirigenti in grado di interpretare il cambiamento.”
Il cambiamento non va solo interpretato ma agito e vissuto, per tradursi poi in un modo di gestione aziendale più moderno e aperto.
E qui nasce il problema che è di tipo culturale e non tecnologico, cioè di modelli mentali e schemi di pensiero rimasti congelati nel tempo.
Rilevare e segnalare la dimensione culturale del problema non è “politicamente corretto” per cui si preferisce deviare la discussione sugli investimenti in tecnologia, tattica prudenziale e saggia per evitare di infastidire un mondo bloccato su logiche vecchie.
Imprenditori e manager corrono a comprare robot, software gestionali, macchinari vari con la segreta speranza di riuscire a creare quella differenza che li potrà posizionare in avanti rispetto a concorrenti nazionali e globali.
Quando l’ubriacatura da super-ammortamento finirà – perché prima o poi dovrà arrestarsi non potendo inserire macchine a getto continuo – rimarranno le stesse imprese di prima con l’ultimo sfavillante gioiello tecnologico, monumento a un futuro immaginato e desiderato, in un’organizzazione che è modellata su schemi dell’azienda di venti o trenta anni fa.
Ho parlato, qualche tempo fa, di “Industry 5.0” la vera rivoluzione”, cercando di mostrare scenari alternativi alla corsa tecnologica di Industry 4.0, che non sposterà di una virgola la capacità di molte aziende di produrre vera innovazione, di creare ambienti motivanti, di attivare le energie e le potenzialità delle proprie persone, di immaginare organizzazioni più moderne e modelli di leadership adeguati a un mondo complesso come l’attuale.
Non abbiamo bisogno di ammodernamento tecnologico ma di un cambio profondo nel modo di pensare l’azienda, i rapporti tra i suoi attori e di riprogettare molti dei suoi processi interni.
Il cambiamento culturale che immagino si scontra contro una mentalità conservatrice, rigida, che nascondendosi dietro parole roboanti come innovazione, digitalizzazione, smart factory, tecnologia, non riesce in realtà a superare la propria paura di fronte a un cambiamento che è innanzitutto di pensiero e di comportamento.
O forse, ancora più preoccupante, con un pensiero che non vuole o non è interessato a una modifica profonda che creerebbe instabilità e incertezza alle quali preferisce la tranquillità tossica delle ricette di sempre.
L’assalto alla diligenza è in corso e continuerà ancora per un bel po’.
I vari “esperti” troveranno altri modi più fantasiosi e seducenti per continuare a insistere sull’investimento in tecnologia, attaccando la diligenza con maggior vigore.
Imprenditori e manager attratti dagli ultimi gadget tecnologici avranno impianti e macchine modernissime in ambienti dove con preoccupante frequenza si trova una forza lavoro stanca, demotivata e con competenze carenti o inadeguate.
Se all’investimento in tecnologia non si associa una pari attenzione allo sviluppo delle competenze, al miglioramento dei processi, alla vera innovazione, il balzo in avanti sarà stato inutile.
Pronti ad investire centinaia di migliaia o qualche milione di euro in tecnologia e automazione ma refrattari a spenderne qualche decina di migliaia per sviluppare le proprie persone, o a sviluppare nuovi modelli di business, o a modificare logiche commerciali vecchie, molte aziende corrono il rischio di peggiorare la propria situazione dal momento che l’investimento dovrà in qualche modo essere recuperato.
Attenzione allora alle lusinghe di Industry 4.0 e alle pressioni dei soliti “esperti”.
Sarebbe auspicabile qualche convegno in meno sulla digitalizzazione e qualche riflessione seria in più sullo sviluppo di modelli gestionali più adeguati, sulle competenze delle persone che serviranno per competere nel prossimo futuro e su traiettorie di innovazione vera e vissuta e non solo raccontata.
La prossima sfida non sarà sulla creazione di organizzazioni piene di gadget tecnologici ma sulla capacità di creare organizzazioni “intelligenti” in grado di pensare l’impensabile, di immaginare e creare interi ecosistemi dove prodotti e servizi interagiranno in modo sorprendente e per farlo con successo saranno necessari nuovi modelli organizzativi, nuovi modi di gestire e nuove competenze. Quando questi sforzi di immaginazione avranno prodotto una visione di un futuro possibile, allora sarà necessario procurarsi la tecnologia, che naturalmente verrà dopo e non prima.
(…) Nella seconda metà dell’Ottocento la diligenza scomparve progressivamente dai grandi assi viari sostituita dalla ferrovia. Contemporaneamente, tuttavia aumentò il numero delle linee su percorsi secondari, non serviti dalla ferrovia. Su queste linee la diligenza fu sostituita dalle corriere solo negli anni venti.
(Wikipedia)
La diligenza non deve solo difendersi dall’attacco di indiani e banditi, ma evolvere o altrimenti si estinguerà.
Oggi le diligenze si vedono solo nei musei, nei film e negli spettacoli che ricreano il passato e se non avverrà un profondo ripensamento a molte aziende succederà lo stesso.
Forse vale la pena di fare qualcosa al riguardo.
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Buona settimana
Massimo