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SuperQuack: viaggio nell’impresa. L’accentratore.

By 8 Ottobre 2017 Marzo 29th, 2018 No Comments

SuperQuack: viaggio nell’impresa. L’accentratore.53513940_xl

Spero che, Piero Angela non se ne abbia a male se inizio una nuova serie di post chiamandoli SuperQuack, con un ovvio riferimento alla famosa e molto apprezzata trasmissione della Rai, Superquark .
La trasmissione di Piero Angela è sicuramente – come si legge nel sito – “il più popolare magazine televisivo di scienza, natura e tecnologia”, il mio molto più modestamente vuole dare un piccolo contributo controcorrente alla comprensione di quelle costruzioni sociali molto complicate e complesse chiamate imprese e alle specie di Homo Sapiens molto particolari che ci vivono e lavorano.
SuperQuack si aggiunge così a “The Reality Gap”, “La dignità del lavoro”, “Il mestiere di capo” e “La Rana e il Bambù”, piccoli post “seriali” per scrivere su temi specifici.
Perché “Quack”? Una veloce indagine su Internet, tra i significati della parola, chiarirà il mistero.

Oggi parleremo di una figura molto particolare che popola l’habitat organizzativo: l’accentratore.

Ci sono due modi opposti di dirigere un’impresa, un’organizzazione. Il primo è fondato sul decentramento e l’altro sull’accentramento. Nel decentramento il capo divide il lavoro da compiere tra i vari dirigenti e funzionari e li invita a organizzare il proprio settore considerandoli responsabili dei risultati. L’accentratore invece non delega niente. Egli si considera l’unico capo, l’unico responsabile, l’unico ad avere il potere di decidere. Lui può dare un ordine e cambiarlo senza dire il motivo o senza dare una giustificazione. Gli altri sono solo dei sottoposti e hanno un solo diritto, quello di dire di sì e ubbidire. L’accentratore manipola leggi e regolamenti, si riserva di intervenire su qualsiasi decisione presa, e mette continuamente le mani nel lavoro dei suoi collaboratori. Costoro devono sempre recarsi da lui per far approvare il proprio operato e dipendono completamente dal suo arbitrio.
(…) Mette (il capo accentratore) il naso dappertutto, sospettoso, diffidente.
Di solito questo tipo di personaggio tuttofare lo si trova nella fase iniziale dell’impresa, quando tutto è ancora nelle mani del creatore. Se questo comportamento continua anche quando l’impresa è consolidata, strutturata, vuol dire che il vecchio proprietario vuol conservare il suo prestigio con le unghie e con i denti. L’accentratore, infatti, ha soprattutto uno scopo: dimostrare a se stesso e agli altri di essere indispensabile, che senza di lui tutto si ferma, che è suo il merito di ciò che viene fatto.
(…) Nei sistemi accentrati parla sempre il capo, descrive, interroga, ordina, critica.
In realtà, anche le imprese più accentrate funzionano solo perché i vari dirigenti e funzionari inventano, creano, propongono. Ma questa loro attività non è riconosciuta formalmente. L’accentratore lascia fare, lascia sperimentare, lascia creare, ma poi trova sempre qualcosa da dire, da criticare, da modificare. Così, se un suo dirigente cerca di acquistare un minimo di autonomia decisionale, lo ferma bloccandogli i progetti, creandogli infinite obiezioni, alzando ostacoli e impedimenti. Fa passare solo ciò di cui può dire orgogliosamente: “Senza di me non si sarebbe fatto, io solo ne ho il merito”.
Nelle riunioni guidate dall’accentratore, di conseguenza, c’è un solo protagonista: lui.
(…) Il vero accentratore può essere facilmente riconosciuto perché nelle sue relazioni non distingue assolutamente fra ciò che è importante, essenziale e le questioni di dettaglio. Il suo potere sui collaboratori e i dirigenti deriva infatti proprio dal minuzioso e fiscale controllo dei dettagli.
(Francesco Alberoni – L’arte di avere coraggio)

E’ l’insostenibile pesantezza del controllo…soprattutto per chi lo subisce!

Tutti abbiamo avuto esperienza o conosciuto, persone che amano accentrare su di sé tutto il lavoro.
Paura, mancanza di fiducia, insicurezza, rigidità nella gestione delle relazioni, sono le più comuni ragioni che generano il fenomeno dell’accentramento.

Alcune organizzazioni producono il fenomeno dell’accentramento non tollerando l’autonomia e punendo l’errore.
Il clima di sfiducia e di preoccupazione che così si viene a creare, induce le persone a proteggersi e a proteggere il proprio posto di lavoro, con comportamenti di chiusura e di difesa: le informazioni non circolano, l’addestramento di nuovi collaboratori è parziale o fatto male, ecc.
Sapere è potere!” E in questi tempi così perturbati è meglio non trasferire troppa conoscenza, evitando così il rischio di non essere più indispensabili.

Il fenomeno dell’accentramento non è solo tipico dei “piani alti” o del fondatore dell’azienda, ma si diffonde come una malattia anche nei livelli più bassi.
Vi sono figure intermedie che detengono un potere superiore al ruolo ufficiale, veri crocevia d’informazioni “chiave”, centri occulti di informazioni, conoscenza, informati su tutto, conoscono tutto e tutti e trasferiscono molto poco.

L’accentratore, qualunque sia la sua posizione nella struttura, tende a fare da sé la maggior parte del lavoro; custodisce con gelosia la posizione che si è ricavata e protegge il proprio territorio come avrebbe fatto un antico principe nel suo maniero.
Se qualcuno interviene con uno dei suoi senza che lui lo sappia, anche su questioni minori, si sente “scavalcato” e reagisce.
Egli è ovunque… nulla si muove che egli non sappia.
I più scaltri operano in profondità non amando troppo esporsi davanti ai colleghi.
E’ tendenzialmente permaloso, non ama le intromissioni che considera come violazioni nella sua sfera d’azione e di responsabilità.
Amando essere indispensabile, non rifiuta mai un lavoro proposto dal suo capo anche a costo di mettere il suo reparto sotto una forte pressione e/o stress.
Distribuisce il lavoro tra i suoi “fedelissimi”, ma solamente quello non importante avocando a se quello di maggior valore e responsabilità ed esercitando comunque un controllo pressante sull’attività dei suoi.
Il suo modo di lavorare provoca spesso un collo di bottiglia con conseguenti rallentamenti e ingorghi non facilmente superabili, poiché, la conoscenza e le competenze per svolgere il lavoro, sono un suo patrimonio che custodisce gelosamente.
L’accentratore è un nodo centrale di smistamento (o d’ingolfamento, dipende dai punti di vista).

Tale situazione, con una scelta miope, viene, a volte, accettata e ratificata proprio dalla direzione che, preferisce avere qualcuno che lavora dieci o dodici ore al giorno (sabati inclusi), piuttosto che dover affrontare il problema di sbrogliare il nodo, con buona pace e rassegnazione degli altri collaboratori che capiranno di giocare il ruolo che negli eserciti è lasciato alla fanteria…

In certi momenti della storia di un’azienda, in momenti di cambiamenti profondi o di situazioni particolari, si può comprendere come la presenza di una persona affidabile, impegnata e con una conoscenza approfondita dell’azienda e della sua operatività, sia fondamentale per superare con successo la difficoltà del momento. Sarebbe auspicabile che, una volta terminata la necessità, il comportamento della persona in questione riuscisse a evolvere verso un livello superiore di collaborazione, di comunicazione e di trasferimento di conoscenze. Purtroppo, in molti casi tende a sclerotizzarsi generando quelle anomalie di cui scrivevo più sopra.

L’accentratore è una figura obsoleta anche se accettata.
L’accentramento è causato da una cronica mancanza di fiducia che può essere pericolosa per l’intera struttura e per il business.
Quando in un’organizzazione si viene a creare un clima di sospetto, di sfiducia e di difesa (interna) del territorio, la capacità e la velocità di risposta alle sfide del mercato sono compromesse.
La gestione di un ruolo secondo un modello di responsabilità e di potere inadeguato, disfunzionale e superato, rischia di causare una catena di conseguenze non visibili ma profonde, molto pericolose per l’operare dell’azienda, soprattutto oggi, in un ambiente nel quale la condivisione e circolazione delle informazioni e la trasmissione della conoscenza giocano e giocheranno sempre di più un ruolo cruciale e strategico.

E’ auspicabile la creazione di ambienti nei quali, anziché l’accentramento, prevalga la “trasversalità”, la logica dei processi e non delle funzioni, dove la circolazione delle informazioni e delle conoscenze sia organizzata (dotata di struttura e non lasciata al caso), perché il futuro si giocherà proprio sull’intelligenza e la capacità di apprendere più velocemente dei competitors.
Da questo punto di vista l’accentratore è una figura dell’azienda di ieri, un ruolo “negativo” che dovrà essere superato, in favore di comportamenti più in linea con quelli di un’organizzazione che impara ed evolve.
E, infine, non solo la condivisione ma anche la creazione di nuova conoscenza e la capacità di trarre un senso dalla mole enorme di dati che si riverseranno sull’azienda, richiederà una sorta d’intelligenza diffusa che richiederà il superamento di ruoli, modelli e comportamenti di cento anni fa, con sistemi valoriali, di valutazione, di competenze e di operatività che non trovano riscontro in un ruolo chiuso, antistorico e inadatto come quello dell’accentratore.

Design a better world …
Buona settimana
Massimo

 

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