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Ripensare la strategia

By 2 Settembre 2019 Novembre 5th, 2019 No Comments

Ben ritrovati! 
Caduto il governo, con la trattativa per la formazione del nuovo in corso e con segnali dall’economia non particolarmente felici, iniziamo con una riflessione impegnativa ma a mio parere molto attuale: la strategia è ancora importante?

A una prima analisi appare evidente che quello che contraddistingue i nostri tempi agitati sia propria una chiara mancanza di strategia, di visione sul medio e lungo termine. Mancanza che tocca un pò tutti gli ambiti: da quello politico (non solo italiano) a quello economico. 
In tempi di ‘vita liquida’, di ‘post-modernismo’ e di ‘social’ non dovremmo esserne molto sorpresi; da tempo sembra che la grande strategia abbia ceduto terreno al piccolo cabotaggio, alla visione sul breve, brevissimo termine: le prossime elezioni, il prossimo trimestre, ecc.

In un saggio che ho già citato in un degli ultimi post, Eric Sadin scrive:
(…) La produzione industriale attuale non rispetta più tutta una serie di fasi fino a poco tempo fa segnate da forme di indeterminatezza nella ricerca, dall’accettazione del fallimento come rischio consustanziale all’elaborazione di ogni prototipo o, ancora, dall’esigenza di procedere a molteplici e minuziosi test di qualità – che notiamo appunto essere sempre più carenti. Oggi la tendenza è quella della quasi assenza di scarto tra progettazione e commercializzazione. La pressione concorrenziale e il primato dell’immediato ritorno sugli investimenti impediscono il benché minimo periodo di latenza, così come qualsiasi valutazione concertata sul valore e sulla pertinenza dei prodotti. Le unità di ricerca e sviluppo devono infatti dare prova senza indugi e senza sosta di essere leve di profitto. E’ il momento dei “cicli di innovazione” sempre più ravvicinati che favoriscono una dinamica di esaltazione perenne, autorizzata dai dogmi della crescita e dell’aumento del comfort delle persone, che, per il bene della società, non devono mai smettere di intensificarsi.

(…) D’ora in poi le tecnologie digitali scandiscono il tempo delle nostre esistenze, danno il ritmo alla nostra epoca. Questa frenesia si trova convalidata, quasi normalizzata , nelle nozioni di “tecnologia di rottura” e di “disruption”, o “disrupzione”, conformemente alla neolingua iconoclasta dell’”innovazione” contemporanea.
(Eric Sadin – Critica della ragione artificiale)

Il mito della velocità, in effetti non particolarmente nuovo né originale, ci riporta un pò all’atmosfera futuristica dei primi del Novecento:
Il Futurismo nasce all’inizio del Novecento, in un periodo di notevole fase evolutiva dove tutto il mondo dell’arte e della cultura era stimolato da numerosi fattori determinanti: le guerre, la trasformazione sociale dei popoli, i grandi cambiamenti politici e le nuove scoperte tecnologiche e di comunicazione, come il telegrafo senza fili, la radio, gli aeroplani e le prime cineprese; tutti fattori che arrivarono a cambiare completamente la percezione delle distanze e del tempo, “avvicinando” fra loro i continenti.
Il XX secolo era quindi invaso da un nuovo vento, che portava una nuova realtà: la velocità. I futuristi intendevano idealmente “bruciare i musei e le biblioteche” in modo da non avere più rapporti con il passato e concentrarsi così sul dinamico presente; tutto questo, come è ovvio, in senso ideologico. Le catene di montaggio abbattevano i tempi di produzione, le automobili aumentavano ogni giorno, le strade iniziarono a riempirsi di luce artificiale, si avvertiva questa nuova sensazione di futuro e velocità sia nel tempo impiegato per produrre o arrivare ad una destinazione, sia nei nuovi spazi che potevano essere percorsi, sia nelle nuove possibilità di comunicazione.
(Wikipedia)

E se al telegrafo, alla radio. agli aeroplani, alle cineprese e alle automobili sostituiamo parole come “digitalizzazione”, “intelligenza artificiale”, “connessione”, “cloud” e tutti i termini della neolingua  (i blah-blah) del business il gioco è fatto.
Niente di nuovo sotto il sole.

Che poi questa presunta velocità e digitalizzazione diffusa (con i vari corollari) si traduca in un miglioramento effettivo della qualità della vita, in un miglioramento del servizio agli utenti o ai cittadini è cosa ancora aperta e da dimostrare. Tuttavia la freccia temporale dello sviluppo tecnologico è unidirezionale e indietro, per fortuna, non si torna.

In ogni caso si genera una pressione continua e costante sull’ambiente competitivo e sui mercati, con cicli economici sempre più brevi e sempre più intensi, effetti che si combinano in modo moltiplicativo con la globalizzazione dei mercati, per cui una crisi in un angolo lontano del pianeta ha effetti di ricaduta su tutte le economie. Gli esempi oramai sono tanti e noti: dalla crisi dei sub-prime del 2008, agli effetti delle politiche protezionistiche americane nei confronti della Cina e così via; non vi è più una crisi che abbia solo effetti locali…
La risposta di molte organizzazioni a questa continua pressione, al di là di qualche caso eccezionale e di tutto il chiacchiericcio intorno a parole quali ‘innovazione’ e ‘Industry 4.0’, solo per citarne un paio, è in realtà molto ancorata ai modelli tradizionali di gestione aziendale antichi e obsoleti.
E così molte organizzazioni scambiano tattiche e ‘tecniche di sopravvivenza’ per strategia.

Con l’obiettivo di riportare al centro dell’attenzione la Strategia, con Bob Emiliani abbiamo progettato un workshop proprio su questo tema:
RE-THINKING STRATEGY
Flip your mind, design your business to build a winning path.
Due giorni per lavorare e riflettere, con imprenditori e manager, sui temi centrali della strategia di business, cercando di portare un contributo originale e l’esperienza di chi, da anni oramai, lavora con le aziende anche su queste tematiche.

E’ importante la strategia? Direi decisamente di sì!
Esiste ancora uno spazio importante sia per una ‘visione’ del business (mercato, ambiente, azienda e stakeholder), sia per una ‘strategia’ degna di tale nome, intesa come un insieme di azioni che hanno una direzione, degli obiettivi e un percorso da progettare e costruire.
Così ‘business design’, ‘design organizzativo’, ‘design dei processi’, trovano un terreno comune e agiscono per supportare una visione, degli obiettivi. 
Non più un miscuglio di azioni e/o tentativi senza capo né coda, ma un filo conduttore (o più fili) che porti (portino) a spingere in una direzione, caratterizzato da adattabilità (capacità di cambiare) e nuovi modelli organizzativi nel rispetto di alcuni valori di base non sacrificabili per successi sul breve termine.

Definire il successo non è mai stato facile, ma la natura finita e limitata dei mezzi ha facilitato il compito. Infatti, sebbene la soddisfazione sia, in ultima analisi, uno stato mentale, per ottenerla occorre un impegno reale, E’ proprio per questo che è sempre sorta la necessità di allineamento, e quindi di strategia.
(John Davis Gaddis – Lezioni di strategia)

Io e Bob vi aspettiamo per una ‘due giorni’ sulla strategia, quella con la ’S’ maiuscola.

Massimo
Buona settimana
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