A volte le recessioni possono avere cause scatenanti non economiche ma “mentali”. L’effetto indubbio è un rallentamento dell’economia.
Effetto a cui si pensa quando si usa il termine ‘recessione’.
Recessione: Termine (dall’ingl. recession) introdotto nel linguaggio economico ital. per indicare una flessione nello sviluppo o addirittura un regresso nell’attività economica che, se di breve durata, può considerarsi un’oscillazione occasionale del movimento d’ascesa, oppure può preludere a una vera e propria crisi, cioè alla depressione come fase discendente finale del ciclo economico.
(Treccani.it)
Da fonte autorevole:
Che la recessione sia recessione e basta lo capiranno presto le imprese. Anzi, lo sanno già: perché se c’è una dote che accomuna gli imprenditori italiani è il fiuto. E il vento soffia freddo da tempo, nelle loro narici. In fondo, è andata così. La globalizzazione non va bene. La globalizzazione è piena di difetti. Vero. Ma la globalizzazione, impostasi a partire dai primi anni Novanta è il set economico e sociale in cui le aziende italiane – nella componente minoritaria del 20% a cui si deve l’80% dell’export italiano e l’80% del valore aggiunto industriale – hanno potuto negli ultimi venticinque anni prosperare. Prosperare e, alla fine, non affrontare nemmeno i loro limiti strutturali. Diciamocelo. Le piccole sono rimaste piccole. Poche sono cresciute. Le medie sono rimaste medie. Poche sono diventate grandi. Le grandi hanno in non pochi casi cambiato azionisti, con gli imprenditori italiani che hanno lestamente ceduto il controllo e hanno prontamente monetizzato.
Soprattutto, quel 20% di imprese virtuose non è riuscito ad assumere la leadership del sistema industriale italiano, sospingendo verso l’alto le aziende che – incapaci di rimanere nel circuito della tanto vituperata globalizzazione – sono rimaste insabbiate nel mercato interno, sempre più debole e asfittico, sempre più segnato nelle sue variabili economiche da deficit strutturali quali la giustizia civile e le infrastrutture, la scarsezza della formazione tecnica e il formalismo burocratico della pubblica amministrazione: argomenti molto spesi nei convegni e assai poco praticati negli atti reali delle riforme, per tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi venticinque anni.
(ilsole24ore – Paolo Bricco – 1/2/19 – La recessione tecnica non esiste. In Italia è recessione e basta.)
Il drammatico crollo del ponte di Genova dell’agosto del 2018 tristemente simboleggia la devastazione di un paese colpito da vincoli strutturali, burocratici, ideologici, oppresso fiscalmente, con costi del lavoro altissimi.
Come il ponte, il sistema Italia ha difetti di costruzione, mancanza di manutenzione, trascuratezza, colpevole negligenza, disinteresse.
Il tutto nel vuoto di una politica sempre più lontana e di un’Europa lontana, vessatoria e autoreferenziale.
Per affrontare subito un argomento scottante, sono personalmente convinto che sarebbe antistorico pensare di affrontare le sfide globali uscendo dall’Europa e che anzi sia necessario intensificare la collaborazione con gli altri paesi, unica possibilità per operare con successo in un mondo che va verso polarizzazioni a blocchi: Americhe, Asia ecc.
Quello che ci serve è un’Europa profondamente diversa.
La politica, sia nazionale che europea e forse mondiale, sta subendo una regressione di una patetica e preoccupante tristezza.
Quei signori sono, da anni, incapaci di generare serie risposte ai problemi globali.
In Italia invece di occuparci di affrontare le sfide strutturali, le risposte sono quelle di sempre e non troviamo di meglio che inventarci la fattura elettronica, ennesima cretineria tutta italiana.
Non voglio affrontare la riflessione da un punto di vista politico, potrebbe forse essere interessante ma, stante il panorama desolante che offrono sia la politica nazionale che quella internazionale, preferisco lasciarlo ad altri e non c’è alcun dubbio che per risolvere certi problemi strutturali sia necessaria un’azione politica precisa e strategica, con una visione di medio, lungo-periodo che oggi è totalmente assente.
Per professione e passione ho scelto l’arena delle imprese ed è da lì che voglio partire.
Che i nostri problemi vengono da lontano è dimostrato da due grafici che riporto.
Il primo proviene dall’articolo citato in apertura (La recessione tecnica non esiste. In Italia è recessione e basta); dal grafico appare chiaro come la crescita, quando c’è, è asfittica da anni, sintomo di una debolezza strutturale economica.
Il secondo è tratto da un articolo molto interessante per l’analisi della situazione italiana, del novembre 2018 del Financial Times dal titolo: Why Italy’s economy is stagnating.
Il grafico mostra come la crescita del PIL sia al palo da anni e come, numeri alla mano, siamo indietro rispetto ad altri paesi e non abbiamo ancora recuperato la situazione precedente alla crisi del 2008 (Why Italy’s economy is stagnating).
Nell’articolo si parla di debolezza strutturale e merita di essere riportata per esteso l’opinione espressa da un economista della Goldman Sachs, Silvia Ardagna: “In the 1970s and early 1980s, the Italian business model of small and medium-sized enterprises drove growth” ma aggiunge“many of those companies did not invest in R&D and lacked management capabilities and human capital to allow them to compete on a global scale”.
Secondo l’economista, tre sono i principali problemi: mancati investimenti in R&D, carenze nella gestione aziendale e nel capitale umano che impediscono di competere su scala globale.
E se devo pensare a molte organizzazioni, sebbene non solo di piccole e medie dimensioni, non posso che essere d’accordo con l’analisi che trova riscontro nell’evidenza sul campo.
E pensare che fino a qualche mese fa esperti, consulenti e associazioni di imprenditori ci raccontavano che investimenti in Industry 4.0, robot, macchine, software e tecnologie avrebbero creato successo e crescita durature… mah!
Scrivevo nel novembre del 2017:
La distorsione cognitiva (post-verità?) causata dal termine Industry 4.0 diventa così un elemento con il quale fare i conti, anche se, nell’attuale sbornia di acquisti da super-ammortamento, molte organizzazioni sembrano ignorarlo.
Telegiornali e politici gioiscono della crescita del PIL che non avveniva da anni ma, a mio parere non riflettendo su quello che potrebbe essere una crescita drogata da “super-ammortamenti” e che in ogni caso lascia invariate molte se non tutte le criticità del tessuto economico italiano, non ultime la cronica carenza di infrastrutture, l’elevatissimo livello di tassazione e il preoccupante abbassamento dei livelli di professionalità a tutti i livelli, vere questioni centrali da risolvere per costruire una crescita sostenibile e duratura.
E soprattutto non affronta il tema rilevante per molte organizzazioni: sistemi di gestione e di management da età della pietra.
(Yabba-Dabba-Doo! Da Bedrock a Industry 4.0…)
Esiste un altro tipo di recessione, pericolosa, mortale: il recedere, l’abbandono, la rinuncia. E’ un tipo di recessione ‘mentale’, cognitiva, l’unica verso la quale non c’è rimedio se non un’azione decisa, un guizzo verso un modo completamente nuovo di fare impresa.
Ed è da qui che dovrebbero partire associazioni industriali, esperti e consulenti, segnalando, spiegando, urlando a gran voce, che noi non abbiamo mai avuto un problema tecnologico ma abbiamo un gigantesco, pesante, ingombrante e bloccante problema culturale: abbiamo un modo di fare impresa vecchio e superato.
Ecco la recessione davvero pericolosa: quella di rinunciare ad affrontare i veri problemi…la recessione mentale!
Quelli che non sanno cambiare la propria mente non possono cambiare nient’altro(G,Bernard Shaw), neanche la recessione…
Design a better world!
Buona settimana
Massimo
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