Le leggi di Newton, la complessità e le organizzazioni.Gli uomini costruiscono troppi muri e mai abbastanza ponti.
(Isaac Newton)
Recentemente ho proposto, nel nostro blog, qualche riflessione sul “VUCA world”: Volatility (volatilità), Uncertainty (incertezza), Complexity (complessità) e Ambiguity (ambiguità); queste quattro proprietà che caratterizzano oggi, e per i prossimi anni, l’ambiente nel quale aziende, organizzazioni e persone si trovano a operare e di come sia necessario sviluppare nuove competenze e “progettare” organizzazioni che possano operare con successo in un ambiente così particolare e così … nuovo.
Le risposte del passato rischiano di non essere più adeguate e svilupparne nuove richiede uno sforzo che molte organizzazioni non vogliono o non riescono a fare.
La prima legge di Newton dice che un corpo mantiene il proprio stato di quiete o di moto rettilineo uniforme, finché una forza non agisce su di esso.
Questo principio si applica a molte organizzazioni che proseguono nel loro “moto rettilineo uniforme” o rimangono nel loro “stato di quiete”, incuranti dei cambiamenti che avvengono nell’ambiente esterno, ben protette da un business ricco e fiorente, da buoni profitti; tutto questo fino a quando, però, il contesto competitivo non cambia drasticamente e quell’inerzia (proprietà che determina la resistenza alle variazioni dello stato di moto) diventa una resistenza insostenibile che trascina l’azienda nel baratro.
La modifica dello stato di quiete (o di moto rettilineo) avviene quando si applica una forza.
La seconda legge di Newton recita che l’accelerazione di un corpo è direttamente proporzionale e nella stessa direzione della forza netta agente su di esso, è invece inversamente proporzionale alla sua massa. In formule: F=ma.
Più l’organizzazione è grande (m=massa) maggiore è la forza che si deve applicare per modificarne lo stato. Relativamente piccolo lo sforzo se si vuole cambiare il proprio comportamento, più grande l’impegno se si deve cambiare il comportamento di un gruppo di persone.
Va da se che la forza da applicare è azione di una leadership che intende imprimere una diversa accelerazione (a=accelerazione) alla sua organizzazione.
Naturalmente la forza cui mi riferisco, non è quella brutale dell’imposizione, ma quella più gentile della persuasione, del coinvolgimento e dell’allineamento verso obiettivi di lungo-termine.
Così molte aziende permangono nel loro stato (di moto rettilineo o di quiete) senza che alcuna forza (leadership) agisca su di esse per imprimere una diversa traiettoria e/o accelerazione (variazione di velocità nell’unità di tempo). Appiano congelate nel tempo e sono auto-centrate e auto-referenti.
La resistenza al cambiamento diventa poi disastrosa in un ambiente definito da una complessità crescente. I sistemi complessi funzionano, in un modo che non è dato semplicemente dalla somma delle componenti che lo costituiscono.
Si immagini di condurre uno studio di una popolazione di animali per modellare con un’equazione l’andamento nel tempo della popolazione in funzione della disponibilità di cibo. Se esistono predatori per quel tipo di animale, il modello lineare si rivela semplicistico e inadeguato: infatti, la popolazione degli animali predati diventa anche una funzione della popolazione dei predatori; ma, a sua volta, l’espansione o la contrazione della popolazione dei predatori dipenderà anche dalla presenza di prede. Il sistema prede – predatori – cibo, dunque, è intrinsecamente non lineare perché nessuno dei suoi componenti può essere studiato separatamente dagli altri.
Tali modelli, e modelli di complessità anche molto maggiore, sono oggi diffusi in elettronica, in avionica, in chimica, in biologia, in ecologia, in economia e in altri settori. Essi sono il risultato della modellizzazione che effettuiamo quando smettiamo di “fingere” che i sistemi siano lineari e li studiamo invece nella loro complessità.
(Wikipedia)
Dobbiamo smettere di fingere che i sistemi siano lineari: il futuro non sarà un’estensione lineare del passato ma seguirà un andamento “complesso”.
Ambiente esterno: compressione del tempo e dello spazio, dinamiche di mercato, sviluppo tecnologico, nuovi modi di comunicare e interagire, ecc., creano un ambiente complesso che richiede risposte evolutive e non-lineari.
Ambiente interno: un’azienda, con le varie funzioni e processi che la costituiscono, le gamme di prodotti in continua espansione, i rapporti con clienti e fornitori, gli andamenti economici che ne impattano il business, i regolamenti, le leggi nazionali e internazionali, costituisce un sistema complesso.
Dalla non-linearità di interazione tra le componenti di un sistema scaturisce l’attitudine di questo a esibire proprietà inspiegabili sulla base delle leggi che governano le singole componenti stesse:
“Il comportamento emergente di un sistema è dovuto alla non-linearità. Le proprietà di un sistema lineare sono infatti additive: l’effetto di un insieme di elementi è la somma degli effetti considerati separatamente, e nell’insieme non appaiono nuove proprietà che non siano già presenti nei singoli elementi. Ma se vi sono termini/elementi combinati, che dipendono gli uni dagli altri, allora il complesso è diverso dalla somma delle parti e compaiono effetti nuovi.”
(Wikipedia)
L’ambiente nel quale operiamo è diventato, quindi, molto complesso e molte aziende sono mal equipaggiate a gestire la complessità.
Tra gli altri, un famoso esperto, Don Norman, ha scritto sulla complessità e qui vorrei riportare qualche suo pensiero che possa stimolare qualche riflessione. (Don Norman – Design della complessità – a cura di Maria Grazia Mattei)
Non possiamo negare il problema, il mondo è complesso:
La mia tesi è che abbiamo bisogno della complessità. Ne abbiamo bisogno perché il mondo è complesso, e gli strumenti che usiamo devono essere in linea con il mondo. (Don Norman, op.cit.)
Complesso e complicato sono due concetti molto diversi:
Bisogna sottolineare la distinzione tra due parole: complesso vs complicato. La complessità è positiva; sono le cose complicate a essere negative. “Complicato” equivale a “fonte di confusione”. Non vogliamo alcuna confusione; e quando capiamo le cose complesse, pensiamo che siano semplici. (Don Norman, op.cit.)
Se pensiamo ad alcuni processi aziendali, oppure, da un punto di vista più ampio, a intere organizzazioni, osserviamo che esse sono complicate – non complesse – e la confusione è la condizione normale di funzionamento.
Esiste un’altra regola riguardo alla complessità: per cavarcela nei posti in cui non sappiamo come orientarci, spesso prendiamo gli altri come punti di riferimento. (Don Norman, op.cit.) Quali sono i punti di riferimento delle organizzazioni? Dovrebbero essere i leader e i colleghi, ma se si comportano in modo “difettoso” (non adeguato), questi diventano, di fatto, la norma e la modalità standard di operare.
Negli Stati Uniti si verificò un incidente legato all’energia nucleare. Nella storia ci sono stati nel mondo tre gravi episodi di questo tipo e il primo, nel 1979, ebbe luogo a Three Mile Island. L’isola, situata a tre miglia di distanza dalla costa della Pennsylvania, ospitava una centrale nucleare che fu teatro di un incidente tanto grave da costringere a chiudere l’intera struttura.
La causa fu nell’errata diagnosi del problema da parte degli operatori.
Dopo l’incidente, dunque, diversi esperti furono convocati per cercare di capire perché fossero stati commessi quegli errori. Facevo parte di quel team. Esaminammo la centrale, esaminammo il comportamento degli operatori e la nostra valutazione fu che si trattava di persone molto intelligenti e che avevano proceduto correttamente in ogni momento. Era il design della centrale a essere scadente. Centrali di quel tipo contano quattromila dispositivi fra manopole, controlli, indicatori ma l’organizzazione tra le parti appare del tutto arbitraria. Non è facile comprenderne la struttura. Se qualcuno avesse voluto realizzare il design di una centrale fatta apposta per causare incidenti, non avrebbe potuto svolgere un lavoro migliore.
(Don Norman, op.cit.)
(…)Una percentuale compresa fra il 60 e l’80 per cento degli incidenti aerei viene imputata a errori umani. Io non ci credo. Quasi sempre quello che viene classificato come errore umano non è tale. E’ un errore di design. E’ una cosa progettata così male che le persone la usano nel modo sbagliato. Ma alla fine la colpa viene data alle persone. Questa è la conclusione a cui arrivano quasi sempre le perizie sugli incidenti. (Don Norman, op.cit.)
Molti processi aziendali e anche molte organizzazioni sono proprio così, progettate male e con processi e procedure scadenti.
Per citare un esempio tra tanti, assistiamo ancora oggi alla moda (tutta americana) delle organizzazioni a matrice, e nonostante l’operatività di queste strutture sia lenta e complicata, con innumerevoli livelli decisionali e centri di potere, in molte aziende si ricorre ancora a questi modelli che non sempre sono la scelta migliore per un ambiente globale e dinamico come l’attuale.
L’organizzazione di un’azienda, che solitamente si esprime con l’organigramma, non è data per sempre e così come cambiano le necessità di mercato e quindi del business, anche l’organizzazione dovrebbe evolversi e cambiare.
(…) Così diremo che si è trattato di un errore umano, invece di chiederci: perché la persona in questione ha agito in quel modo? Quali sono le cose che hanno condotto a quell’errore umano?
E’ davvero interessante notare come ci fermiamo all’errore umano, perché l’obiettivo delle aziende è trovare qualcuno a cui dare la colpa e, una volta trovato, sentono di avere la coscienza a posto. Il loro motto è “incolpa e punisci”. Questo però non elimina il problema; lo stesso problema si verificherà di nuovo. Il design di qualità cerca di cogliere il punto fondamentale da cui è sorto il problema, per poi cambiarlo. (Don Norman, op.cit.)
Quante volte si ripete questo rito nefasto? E’ sempre colpa di qualcuno. E’ più facile trovare un colpevole che affrontare seriamente il problema e rimuoverne le cause. Così, poiché le cause di molti problemi sono strutturali (di processo, di organizzazione, di metodo) e non vengono rimosse, ci si muove da “colpevole” a “colpevole”, senza in realtà risolvere nulla. E si affrontano i problemi di sempre che si ripetono con ritmo regolare.
Spesso mi riferisco a un possibile percorso di soluzione dei problemi sopra citati, parlando di “business design”, di progettazione dell’organizzazione, dei suoi processi, delle sue procedure, con un approccio che sia più moderno, più funzionale, che veda i vari attori parte attiva e coinvolta nel disegnare strutture adeguate ad operare in un mondo che sarà sempre più complesso. Un percorso che fornisca anche le nuove e necessarie competenze a chi lo deve poi guidare e far ulteriormente evolvere.
Un compito e un percorso impegnativo che, richiedono coraggio, voglia di fare, motivazione, condivisione di obiettivi e di metodi e la capacità di costruire ponti e non solo muri.
Molte aziende sono ferme a un passato che non esiste più e a processi obsoleti e non ce la faranno a modificare il proprio stato di “moto” o di “quiete” e saranno purtroppo destinate a sparire, spendendo sempre più energie per gestire sistemi complicati, nell’illusione che più regole, più procedure, più livelli, più software, siano la soluzione a un problema che invece è la loro incapacità di cambiare e di progettare sistemi adattativi e adattabili, che possano evolvere.
Altre l’hanno capito molto tempo fa e sono ormai imprendibili, dimostrando che è possibile operare con successo nella complessità.
Non è necessario cambiare. La sopravvivenza non è obbligatoria. (Edwards Deming)
Possiamo decidere di estinguerci oppure cambiare, sopravvivere e prosperare.
Buona settimana
Massimo