THE INNOVATOR’S CORNER – In tema di corsa all’oro, raccoglitori e “contrarian”.Questa settimana abbiamo il piacere e l’onore di pubblicare un “pezzo” scritto da Jaap Suermondt, Vice Presidente della Hewlett Packard Enterprise Software di Palo Alto.
Grazie Jaap per il tuo contributo.
E voi, amici/lettori, buona lettura.
In tema di corsa all’oro, raccoglitori e “contrarian” .
di Jaap Suermondt, PhD,
Vice Presidente, Labs, Hewlett Packard Enterprise Software, Palo Alto, California
Una delle sfide a cui, ogni aspirante imprenditore, responsabile di prodotto o R&S, ricercatore, innovatore, dottorando o professore si trova ad affrontare, a un certo punto, è se focalizzarsi su ciò che fa tendenza, aspettare fino a quando nuovi metodi e tecnologie sono più testate e consolidate, o andare in direzione diversa rispetto a quella in cui si dirigono tutti gli altri.
Perfino qui, nella californiana Silicon Valley in cui vivo, si assiste a una discreta mole di comportamento da gregge di pecore. Vi è chi si butta sulla prossima corsa all’oro nella percepita sicurezza imprenditoriale della compagnia di altri che pensano che la velocità sia essenziale e ipotizzando che se è diventata popolare e di richiamo ci sarà del vero. Fondamentalmente costoro alimentano la fonte della propria ispirazione, e si allacciano a quello che viene correntemente ritenuta l’ultima grande scoperta, come un ulteriore ondata inevitabile. Nella ricerca e sviluppo tende a essere più facile raccogliere fondi, capitali e fare venture capital per le tecnologie emergenti affermate (un po’ un ossimoro, ma penso che si capisca cosa intendo). Gli analisti e le pubblicazioni tecniche ne dibattono ampiamente. Si organizzano conferenze sul tema. Le agenzie governative preparano bandi di gara e assegnano fondi, e i clienti, (e i vari consigli di amministrazione, al tale riguardo) chiedono che cosa state facendo in proposito, anche se non è del tutto chiaro cosa significano davvero questi sviluppi in termini di rendimento degli investimenti per le aziende. L’effetto corsa all’oro viene esacerbato dal fatto che tutti hanno timore di perdere la prossima grande occasione (internet / mobility / big data / IOT), e il risultato è una valanga di investimenti. E spuntano i vincitori, a volte sono gli inventori o chi ha osato per primo, a volte altri che non sono coloro che per primi hanno ideato il concetto ma che sono stati semplicemente più veloci, o hanno messo sul piatto una user experience migliore , un ecosistema più completo, o semplicemente un canale migliore o un miglior accesso al mercato. O che hanno semplicemente avuto fortuna.
Ma a volte i vincitori sono fra coloro che non hanno interesse a gettarsi nel mezzo del gregge e seguirne la direzione. Fra questi troviamo due fronti, i contrarian e i raccoglitori. Entrambe le tipologie mirano, così come il nibbio di Chaucer nel Racconto del Cavaliere, “a baar awey the boon bitwixe hem bothe” (si calò in mezzo a loro e si portò via l’osso).
Ai raccoglitori non importa che il gregge abbia torto o ragione, vogliono semplicemente andare nella stessa direzione del gregge, e cercare e individuare il vero valore di ciò che ora non è più di primario interesse per chi dà la caccia all’oro. Sono disposti ad aspettare il momento opportuno, e a lasciare che l’assalto si smorzi senza esserne travolti. Un fenomeno che una delle primarie società di analisi del settore definisce come la curva dell’illuminazione che porta all’altopiano della produttività. E anche così si possono fare delle scoperte. Un amico che lavora nel settore della bioinformatica mi ha parlato di alcune scoperte molto interessanti in campo medico che sono state realizzate esattamente in questo modo, e cioè non da coloro che avevano lavorato duramente nella raccolta dati (“i cercatori d’oro“) nell’ambito di studi di ricerca finanziati, ma da altri che più tardi avevano “raccolto” e analizzato i vari insiemi di dati dopo la loro pubblicazione. I beneficiari originari dei sussidi alla ricerca avevano pubblicato i dati attentamente raccolti nell’ambito dei primi risultati ottenuti da tali studi, ma, dato che erano in corsa verso un ulteriore filone d’oro, avevano lasciato in parte inesplorati quei dati, e al tempo della pubblicazione vi erano numerosissimi nuovi fenomeni significativi e ancora in parte da scoprire, ora maturi per essere scoperti da altri.
Ai “contrarian”, invece, importa – ma si chiedono: E se il gregge avesse torto? E quindi perseguono un’innovazione o una strategia di R&S che scava una propria nicchia che (se di successo) ha il vantaggio di una ridottissima concorrenza o perlomeno di un vantaggio temporale. Chiaramente tutto ciò è rischioso, tanto dal punto di vista finanziario (è possibile ottenere e mantenere finanziamenti per qualcosa che si basa sul fatto che chiunque altro stia andando nella direzione sbagliata?) e in termini di energia, quando si è pronti ad ammettere che dopotutto forse il gregge era nel giusto? O se il gregge decide che voi avevate ragione e si dirige nella vostra direzione, siete poi in grado di tenergli testa e mantenere il vantaggio guadagnato? Ma i “contrarian” di successo diventano i primi leader della prossima corsa all’oro. Ed essere un “contrarian” può rivelarsi al contempo stimolante e divertente.
E fin qui tutto bene. Ma indipendentemente dal fatto che si intenda prendere parte alla corsa all’oro o banalmente vendere pale e biglietti del treno a quelli che si dirigono verso la montagna, è importante essere in grado di riconoscere uno di questi fenomeni quando se ne vede uno (e magari anche prevederne uno). E ne ho proprio qui uno per voi.
È la legge di Moore, e più specificamente, la sua fine.
La legge di Moore è una delle forze motrici della Silicon Valley e del settore delle tecnologie. Così come formulata originariamente, caratterizza la crescita esponenziale del numero di transistor in un circuito integrato. Ma viene solitamente imbastardita con numerosi corollari che fondamentalmente annunciano che tutto, in campo tecnologico, raddoppia in termini di potenza e/o si dimezza per costo e dimensioni ogni 18 mesi. E per cinquant’anni è stato fondamentalmente così.
Per la maggior parte di questi cinquant’anni i pessimisti hanno sostenuto che la legge di Moore era fisicamente impossibile da sostenere e che ne avremmo pertanto visto presto la fine (con diverse sfumature di “presto”), qualora non fosse già avvenuta. E a tal proposito portano ad esempio la fisica (non può diventare piccolo più di tanto per dimensioni o gli elettroni iniziano a impazzire), o la storia e l’economia (la crescita economica esponenziale è sempre arrivata a vedere la propria fine). E devo ammettere che i pessimisti questa volta hanno colpito nel segno nel dire che abbiamo un problema. Recenti evidenze dimostrano che alcune curve iniziano ad appiattirsi (e alcune curve di costo o energia che effettivamente vanno nella direzione sbagliata), e alcuni cicli di sviluppo iniziano a rallentare. La ricerca della “fine della Legge di Moore” restituisce 1.4 milioni di risultati, compreso quelli di fonti rispettabili, che vanno dal MIT Technology Review all’Economist. La fisica alla fin fine si mette in mezzo (come in genere tende a fare quando si violano le sue leggi), e sembra che i transistor (e le caratteristiche dei microprocessori e dei circuiti integrati) si stiano davvero avvicinando a essere quanto più piccoli potranno mai essere.
Ma gli ottimisti hanno affermato che potrebbe accadere un altro miracolo (e anche “presto”), che potrebbe continuare per un altro ciclo o due, o per i super ottimisti, per sempre, o che è già così, è già successo. E chiamano in causa la biologia (guardate il numero di caratteristiche del cervello, abbiamo ancora molta strada da fare in materia), e anche la fisica (stiamo utilizzando solo le caratteristiche meccaniche che conosciamo, e stiamo utilizzando troppi elettroni e non abbastanza fotoni ), o persino la geometria (finora stiamo utilizzando solo due dimensioni, anche solo passando a tre ci darebbe un forte vantaggio). E ancora c’è la storia – negli ultimi cinquant’anni gli ingegneri hanno dimostrato che gli ottimisti hanno avuto ragione.
E potreste chiedervi: E allora? Chi si preoccupa dell’hardware? Spostate i carichi di lavoro sul cloud, o acquistatelo come servizio, e smettete di preoccuparvi delle dimensioni del chip o del server o del rack o del centro dati in cui girano. Il vostro cloud service provider legherà insieme sempre più processori e DIMM con il filo di rame per creare rack e cluster, con architettura orizzontale, e quindi costruisce più dighe per alimentare i cluster…
Penso che si senta il sospiro tanto dell’ottimista quanto del pessimista. I dati aumentano in modo esponenziale, indipendentemente dal fatto che si creda o meno che lo stesso valga per la nostra capacità di immagazzinare ed elaborare tutti i dati. E pagare per costruire e alimentare quei cluster di capacità a crescita lineare in cui stoccare e processare i dati a crescita esponenziale ci porterà, ebbene sì, a costi a crescita esponenziale.
Pertanto è questo il tema esistenziale che ci troviamo di fronte, quello per cui la gallina che fa l’uovo d’oro è nei pasticci, una gallina che è stata la forza motrice della nostra economia per decenni, e che ha avuto un impatto straordinario su tutti i dispositivi tecnologici che oggi usiamo, e in generale su come viviamo, lavoriamo, raccogliamo ed elaboriamo tutte le informazioni, interagiamo con i nostri amici, consumiamo notizie e altre informazioni, e operiamo in campo economico.
Le ultime corse all’oro in questa valle hanno ignorato questo dilemma: oggi l’attenzione è tutta sulle auto a guida autonoma; ieri era rivolta alla realtà virtuale e alla realtà aumentata, oltre che alla disgregazione del settore alberghiero e dei taxi; il giorno prima era sull’emergenza dei social network e gli smart phone; e appena prima sulla ricerca e la disgregazione dell’industria musicale e cinematografica.
E nel frattempo, la Legge di Moore ha continuato a marcare il tempo. Fino ad ora.
Sembra che una nuova corsa all’oro sia inevitabile.
Forse farò io il “contrarian” in questo caso.
Oppure aspetto fino a quando i tecnici trovano una soluzione. Lo hanno sempre fatto.
Jaap Suermondt, PhD,
Vice Presidente, Labs, Hewlett Packard Enterprise Software, Palo Alto, California
(Le opinioni espresse in questo post sono le mie personali opinioni, non quella della Hewlett Packard Enterprise)
Se Innovare è far nuovo; alterare l’ordine delle cose costituite (per fare cose nuove), trovo molta affinità con l’idea di Jaap e la felice metafora del “contrarian”, cioè di una persona che si oppone o rifiuta l’opinione popolare. Molti “cercatori d’oro”, che seguono, spesso, le mode o i trend più in voga (anche nella tecnologia) finiscono con l’essere meteore che spariscono nello spazio. Ho tuttavia simpatia per i “raccoglitori”, per la loro costanza e acutezza intellettuale.
I “contrarian” sono un pò folli e a loro dedico queste righe in chiusura:
Dedicato ai folli, agli anticonformisti, ai ribelli, ai piantagrane, a quelli che non si arrendono davanti all’evidenza, a quelli che vedono le cose in modo diverso. Costoro non amano le regole, e non hanno alcun rispetto per lo status quo.
Potete citarli, essere in disaccordo con loro, glorificarli o denigrarli, ma l’unica cosa che non potrete mai fare è ignorarli, perché loro cambiano le cose, loro fanno progredire l’umanità. E mentre qualcuno potrebbe definirli folli, noi ne vediamo il genio. Perché solo quelli che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo, lo cambiano davvero.
(Steve Jobs – Think Different)
Steve Jobs, anche lui un “contrarian” …
Design a better world and…
design a better (different) thinking!
Buona settimana
Massimo
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