Toyota Setsuna: design, immaginazione e visioni del futuro.
Alla Milano Design Week, Toyota ha presentato la nuova concept car, ” setsuna “.
ECO ROADSTER – Si chiama Setsuna (che in giapponese significa “momento”, visto che è realizzata in materiale destinato a cambiare) ed è una eco-roadster a trazione elettrica costruita quasi esclusivamente in legno che per certi versi richiama i motoscafi anni ’60. Il prototipo vuole enfatizzare la graduale trasformazione delle auto del futuro che ”con lo scorrere del tempo assorbiranno le aspirazioni e i ricordi delle persone e delle famiglie che le utilizzeranno”. La scelta del nome, ribadisce una nota dell’azienda, vuole ricordare ”i momenti speciali e fugaci che le persone vivono con il loro veicolo, periodi di tempo che fanno in modo che l’auto sia insostituibile per i loro proprietari”.
LEGNO A INCASTRO – Per esprimere questo concetto, Toyota ha selezionato diversi tipi di legno per le varie parti del veicolo, compresi i pannelli esterni, il pavimento e gli stessi sedili. Il legno – sottolinea la nota – ha caratteristiche e un fascino unici che non si trovano nei materiali convenzionali. ‘Può durare molte generazioni se curato bene e cambia colore e consistenza in risposta all’ambiente, in particolare temperatura, umidità e condizioni di utilizzo, assumendo un carattere unico e una sua profondità”. Setsuna è stata assemblata nelle parti in legno con una speciale tecnica che sfrutta gli incastri per non far ricorso a viti o chiodi, con una particolare attenzione alle dimensioni (è lunga solo 3 metri ed è larga 1,5 metri) e all’allestimento dell’abitacolo che è per due sole persone. ”Abbiamo valutato diversi modi per esprimere il concetto – ha dichiarato Kenji Tsuji, l’ingegnere di Toyota che ha supervisionato lo sviluppo di Setsuna – selezionando legni differenti per applicazioni specifiche, come il cedro giapponese per i pannelli esterni e la betulla giapponese per i listoni del telaio”. Di “serie” pochi accessori, tra cui un orologio con calendario programmato per scandire lo scorrere di 100 anni.
(tuttosport.com – Toyota Setusuna, prototipo di elettrica in legno. – 16 marzo 2016)
Setsuna è una “concept car”, ovvero una macchina non destinata alla produzione, ma un prototipo che serve ad esprimere un concetto, un’idea.
L’auto, costruita con 86 pannelli di legno fatti a mano, ognuno dei pannelli cambierà con il passare del tempo. Quando sarà necessario effettuare delle riparazioni, i pannelli singoli potranno essere sostituiti. Guardando ai pannelli così riparati, si potranno trovare i segni del lavoro fatto a mano e percepire le memorie del tempo passato.
Il designer Kenji Tsuji ha applicato l’antica tecnica dei maestri carpentieri giapponesi, okuriari e kusabi, i pannelli cioè sono stati montati senza chiodi, viti o colle, ma con incastri di vario tipo, secondo l’antica tecnica giapponese utilizzata per costruire i tempi buddisti realizzati in legno.
Un altro elemento molto particolare è l’orologio con tre livelli di conteggio del tempo: ore, giorni e anni, arrivando fino a 100 anni.
Non mi dilungo nelle descrizioni perché se ne possono trovare di eccellenti in internet digitando il nome della concept car.
Toyota Setsuna mi riporta alla mente un’altra famosa concept car: la BMW Gina, progettata da Chris Bangle, designer della BMW che ho avuto il piacere e l’onore di conoscere.
La concept car era stata concepita come un prototipo per sperimentare idee nuove e originali:
BMW GINA è caratterizzata da una carrozzeria costituita da uno speciale tessuto elasticizzato e rivestito da una pelle idrorepellente resistente al caldo e al freddo su una struttura mobile azionata da servomeccanismi azionati automaticamente. Tale soluzione consente alla vettura di cambiare forma adattando l’aerodinamica alle condizioni di guida. Tale materiale è resistente anche all’umidità. Derivata dal design della BMW Z4, la GINA è costituita da una struttura di telaio univoca, sia a livello strutturale che a livello di design. La carrozzeria esterna è costituita da solo quattro elementi. (…) I proiettori della luce sono integrati nella carrozzeria per non ledere al design generale. Quando entrano in funzione, la loro illuminazione filtra attraverso uno strato di pellicola traslucida.
Il suo nome è un acronimo di Geometry and function In “N” Adaptations che significa «geometria e funzioni in “n” adattamenti» in inglese, dove “n” è un simbolo matematico che rappresenta un generico numero naturale: come a dire che il numero di adattamenti è indefinito.
(Wikipedia)
Ricordo di aver sentito Chris Bangle raccontare che aveva messo in crisi i progettisti che hanno dovuto “sfidare i principi esistenti e i processi convenzionali”.
Si parla molto del Sistema di Produzione Toyota (TPS, Toyota Production System) in questo momento, anche creando grande confusione (si veda il mio post del 6 marzo 2016, Lean + something), molti parlano di lean (a volte a proposito, a volte a sproposito), di eccellenza operativa, ecc, ecc. Poca o nessuna attenzione è invece dedicata all’aspetto di innovazione che caratterizza Toyota (e non è ovviamente la sola, si veda appunto l’esempio di BMW) e la grande attenzione che la casa automobilistica dedica proprio al design di cui Setsuna è una concreta e pratica dimostrazione. Esempio molto spesso dimenticato di come oltre all’efficienza, un’azienda dovrebbe perseguire anche l’innovazione nei suoi vari livelli.
Design e innovazione sono e saranno così le sfide – attuali e future – e territori, nei quali le aziende dovranno spingersi superando la ricerca di facili ricette assolutamente inutili.
Pensando alla lentezza con cui molte aziende stanno realizzando quanto il mondo sta cambiando, mi vengono in mente le parole di Stanislaw Jerzy Lec: Gli uomini hanno riflessi lenti; in genere capiscono solo nella generazioni successive (chiedo scusa ai signori imprenditori e ai signori manager per la piccola provocazione, ma è anche un invito a imparare e allenare riflessi veloci nelle vostre organizzazioni, si può, però dovete darvi da fare!).
Se una cosa dimostra proprio la settimana milanese del design (se mai fosse necessaria una nuova conferma), è che il mondo sta evolvendo a una velocità incredibile in nuove e affascinanti direzioni.
La macchina stessa più si perfeziona più si cela dietro il suo compito. Sembra quasi che ogni sforzo industriale dell’uomo, tutti quei calcoli, quelle notti insonni su disegni e tracciati, non abbiano altro scopo oltre un’estrema semplificazione, come se occorresse l’esperienza di intere generazioni per liberare a poco a poco la curva di una colonna, di una carena, o della fusoliera di un aeroplano, e raggiungere la purezza elementare della curva di una spalla, o di un seno. Sembra che il lavoro degli ingegneri, dei disegnatori, dei tecnici, si riduca a un incessante levigare e cancellare per alleggerire quell’ala, equilibrare quel raccordo, fino a perderne il senso, finché non sarà più un’ala attaccata a una fusoliera ma una semplice forma perfettamente modellata, liberata dal suo involucro, un assemblaggio spontaneo misteriosamente legato, fatto dalla natura stessa di un poema. La perfezione può dirsi raggiunta non quando non c’è più nulla da aggiungere, ma quando non c’è più nulla da togliere. Al culmine della sua evoluzione, la macchina si dissimula.
(Antoine de Saint-Exupery , Vento, sabbia e stelle)
La perfezione dell’essenziale che caratterizza il grande design da Toyota Setsuna, alla Gina di BMW, a Steve Jobs, a Dieter Rams (Less but better), agli antichi maestri carpentieri giapponesi. Carpentieri che si prendono cura dei tempi costruiti 1000 anni fa in legno, smontandoli e riparandoli a mano (alcuni templi hanno una “manutenzione programmata” ogni 100 anni), seguendo i precetti di un’arte antichissima.
Okuriari e kusabi, incastri e giunti eseguiti con perizia incredibile creando giunzioni resistenti all’usura del tempo e in Giappone anche alla furia dei terremoti, creati da abili mani, da maestri che progettano e programmano il lavoro come designer.
Perfezione come eliminazione: cioè, quando non c’è più nulla da togliere.
Semplificare vuol dire cercare di risolvere il problema eliminando tutto ciò che non serve alla realizzazione delle funzioni. Semplificare vuol dire ridurre i costi, diminuire i tempi di lavorazione, di montaggio, di finitura. Vuol dire risolvere due problemi assieme in una unica soluzione. Semplificare è un lavoro difficile ed esige molta creatività.
Complicare è molto più facile.
(Bruno Munari – Da cosa nasce cosa)
Perché invece spesso facciamo il contrario? Complichiamo?
Progettiamo prodotti e servizi complicati; creiamo organizzazioni che invece di aiutare, ostacolano; inventiamo processi che non funzionano e non ci preoccupiamo di chi, quei prodotti/servizi/processi/organizzazioni, li deve usare per vivere e lavorare?
Pieni di chiodi e viti e colle?
Dovremmo superare i limiti invece di conviverci e pensare che non possiamo andare oltre.
Avvicinatevi al limite, disse loro.
Abbiamo paura, risposero.
Avvicinatevi al limite, disse loro.
Si avvicinarono.
Egli li spinse.
E loro volarono.
(Apollinaire)
Avvicinatevi al limite, e … design a better world.
Buona settimana
Massimo
Foto del post: Massimo Torinesi
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