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Perche’ la vera sfida non e’ sulla “smart factory” ma sullo “smart management”.

By 5 Giugno 2018 Luglio 9th, 2019 No Comments

Secondo il nostro recente rapporto State of the Global Workplace, l’85% dei dipendenti non sono impegnati o sono attivamente disimpegnati al lavoro. Le conseguenze economiche di questa “regola” globale sono circa 7 trilioni di dollari in perdita di produttività. Il diciotto percento è attivamente disimpegnato nel proprio lavoro e sul posto di lavoro, mentre il 67% è “non impegnato”. Quest’ultimo gruppo costituisce la maggioranza della forza lavoro – non sono i peggiori performer, ma sono indifferenti alla vostra organizzazione. Vi danno il loro tempo, ma non il loro miglior sforzo, né le loro migliori idee. Probabilmente vengono al lavoro con il desiderio di fare la differenza, ma nessuno ha mai chiesto loro di usare i loro punti di forza per migliorare l’organizzazione.
 
(…) In poche parole, questo modello di coinvolgimento globale fornisce la prova che come le performance sono gestite e, specificatamente, come vengono sviluppate le persone, perde colpi.
(Dismal Employee Engagement is a sign of Global Mismanagement – Jim Harter – 20 dicembre 2017 – news.gallup.com)

Il report della nota azienda americana Gallup non lascia dubbi sul fatto che il vero problema non sia la digitalizzazione della fabbrica o l’installazione dei robot, ma ricostruire un rapporto oramai logoro con una forza lavoro, molte volte, stanca e demotivata.

Altro che Industry 4.0!

Chi opera all’interno delle organizzazioni sa che, purtroppo, il rapporto della Gallup fotografa una situazione comune a molte realtà.

La vera prossima grande sfida non sarà sulla tecnologia, il cui cammino è inarrestabile, o sulla “smart factory” tanto celebrata, ma sullo sviluppo di uno smart management, cioè la prossima questione centrale per le aziende non sarà tecnologica, ma culturale, di processi, di competenze e di valori.
Argomento impegnativo e lasciato a margine di tanti convegni e non trattato da molti esperti e consulenti che non ritengono saggio avventurarsi in un terreno così impegnativo e impopolare.
Anche all’interno delle aziende il tema non gode di grande fortuna.
Non parliamo poi dei tanti responsabili delle risorse umane rimaste al mito della “ricerca dei talenti”, al loro sviluppo e alla indifferenza verso tutti quelli che non rientrano nella classificazione di “talento” o alle ‘annual review’  di vecchia memoria.

Il sopra citato rapporto prosegue:
La maggior parte delle aziende moderne fa affidamento sulle annual review per fornire feedback e valutare le prestazioni. Eppure la nuova forza lavoro è alla ricerca di cose come scopo, opportunità di sviluppo, conversazioni continue, un coach piuttosto che un capo, e un manager che fa leva sui loro punti di forza anziché enfatizzare le loro debolezze. Vedono il lavoro e la vita come interconnessi e vogliono che il loro lavoro faccia parte della loro identità.
(Jim Harter – articolo citato)

L’autore, Jim Harter, propone tre step che le organizzazioni dovrebbero intraprendere per aumentare il coinvolgimento: valutare l’attuale performance management system;addestrare i manager ad avere conversazioni efficaci sullo sviluppo delle prestazioni; costruire un sistema scientifico per prendere le giuste decisioni su chi promuovere come manager.
Per quanto in parte condivisibili le affermazioni di Harter, non colgono il cuore della faccenda e cioè che il vero problema è la costruzione di un nuovo modello di management che sia adeguato alle sfide che il mondo di oggi pone alle aziende e che sappia liberare e canalizzare le energie delle persone, impiegando processi ben strutturati, con un focus preciso sui valori e sui comportamenti.

162 tavoli di crisi aziendale aperti al ministero dello Sviluppo, in gioco il lavoro per 180mila persone: i dati 2017 sono i più alti degli ultimi sei anni, con un aumento dei posti di lavoro a rischio che dal 2012 è del +37% sia pur in un quadro che, come indica il ministero, è di “sostanziale stabilità quantitativa”. Oggi su Embraco, come sull’Aferpi di Piombino, i fari mediatici si accendono di volta in volta su vertenze diverse, ma c’è uno scenario di fondo pesante. Nel 2012 i tavoli aperti erano 119, i posti di lavoro a rischio 118mila. La media 2012-2017 – sono i dati del Mise – è di 146 tavoli aperti per 143mila dipendenti interessati. Dal 2016 al 2017 i lavoratori coinvolti sono 25mila in più, dal 2012 +62mila: un aumento che, indica il ministero, “deriva dall’ingresso di alcune grandi imprese”, come AlitaliaAlmaviva, o l’Ilva “che in precedenza pur essendo interessate da difficoltà non marginali non avevano ritenuto di attivare un tavolo di confronto al Mise”;  ma anche dal potenziamento delle strutture del ministero che “consente la gestione di più vertenze”.
(Ansa Economia – Al Mise 162 vertenze aziendali, 180mila posti di lavoro a rischio – Ansa.it– 25 febbraio 2018)

Grandi aziende colossi, risultato di anni di cattiva gestione o di errori che si sono accumulati e i cui manager sono, dopo aver fatto distruzioni, passati ad altri ben remunerati incarichi e mancano ancora i casi di Fedex e di Tim la cui agonia seguiamo quotidianamente sui telegiornali.
Mancano altre situazioni e altre aziende che ancora oggi scelgono di investire all’est seguendo i consigli dei soliti esperti, curioso comportamento di chi, invece che risolvere le carenze strutturali, preferisce ignorare il problema spostandolo all’estero con una strategia che non brilla certamente né per originalità né per novità invece di rafforzare la supply chain o progettare prodotti davvero innovativi.
“Oggi niente di nuovo”  annotava Luigi XVI nel suo diario il 14 luglio 1789, giorno della Presa della Bastiglia e inizio della Rivoluzione Francese e così come il re francese molti manager entrano nel futuro guardando indietro…

Di molti che discettano sulle “smart factory” e sulla digitalizzazione selvaggia si potrebbe dire, parafrasando Oscar Wilde, che amano molto parlare di niente. E’ l’unico argomento di cui sanno tutto.
E allora … digitalizziamo tutto ma ricordando che nessun sistema può essere più intelligente di chi lo ha progettato e le persone, il loro coinvolgimento, le loro idee, la ricerca di un significato per fare quello che fanno e che fa la differenza tra una prestazione anonima e una eccellente, rimarranno lì e, anno dopo anno, il rapporto di Gallup continuerà a fotografare una situazione che in realtà è l’evidenza di qualcosa di fondo che ha smesso di funzionare e che i grandi decisori preferiscono ignorare, trincerandosi dietro l’ultima diavoleria tecnologica pur di non affrontare o cambiare quello che va affrontato e cambiato.
 
Un bel proverbio giapponese recita:
Se tenti, forse riuscirai.
Se non tenti, non riuscirai mai.
Questo vale per tutte le cose.
Non riuscire è il risultato del non tentare.
E con tutto quello che c’è in ballo val davvero la pena di tentare.

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Buona settimana
Massimo

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