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Ricette per catastrofi. GCM – Galaxy Class Manufacturing!

By 29 Marzo 2015 Marzo 29th, 2018 2 Comments

Ricette per catastrofi. GCM – Galaxy Class Manufacturing!catastrofi(…) Questo gioco si fonda sull’ostinata fedeltà nei confronti di adattamenti e soluzioni che in un imprecisabile passato si rivelarono sufficienti, efficaci o forse perfino gli unici possibili. Per ciò che riguarda ogni siffatto adattamento a situazioni determinate, il problema è che queste ultime mutano col passare del tempo. Ed è proprio qui che interviene questo gioco. Da un lato è chiaro che nessun essere vivente può rapportarsi al mondo circostante privo di un qualsiasi progetto (vale a dire: oggi così, domani in altro modo). La vitale necessità dell’adattamento conduce inevitabilmente alla formazione di precisi modelli di comportamento, il cui scopo ideale sarebbe una sopravvivenza quanto più possibile efficiente e priva di sofferenze. Per delle cause non ancora chiarite dagli studiosi del comportamento, tanto gli animali quanto gli uomini tendono d’altro lato a considerare questi adattamenti, che si rivelarono all’occasione i migliori possibili, come gli unici eternamente praticabili. Questo fatto porta a una duplice cecità: in primo luogo, appunto, l’adattamento in questione con il passare del tempo non è più il migliore possibile; in secondo luogo, accanto a esso esiste sempre tutta una serie di altre soluzioni, o almeno esiste ora. A sua volta questa doppia cecità ha due conseguenze: da un lato, non si utilizza la soluzione giusta e si complica la situazione; dall’altro, sotto la crescente pressione del disagio si giunge all’unica conclusione apparentemente logica, cioè di non essersi dati sufficientemente da fare. Si continua a utilizzare la stessa “soluzione”, col solo risultato di incrementare il disagio.
(Paul Watzlawick – Istruzioni per rendersi infelici)

Una lunga citazione di Watzlawick per parlare di cambiamento e come, senza la pretesa di essere originale, questo sia un tema centrale per molte organizzazioni e come sia molto spesso disatteso perché si tende sempre ad applicare la “stessa soluzione”.

Una soluzione spesso impiegata da imprenditori e manager è quella di ricorrere alle “mode” del momento in tema di gestione aziendale, definite anche “best practice”, termine che fa il paio con “benchmarking”, entrambi ormai entrati nell’immaginario collettivo.

In un articolo sulla Harvard Business Review di qualche anno fa, Danny Miller e John Hartwick hanno ben illustrato l’attrattività delle “mode”, che spesso falliscono nel realizzare le alettanti promesse implicite nei loro nomi altisonanti.
Per Miller e Hartwick (Spotting Management Fads HBR), le “mode” hanno otto qualità che le caratterizzano:

Sono SEMPLICI: facili da capire e comunicare; sono identificate con etichette, parole a effetto, liste e acronimi. “Normalmente alcuni punti chiave trasmettono un messaggio fondamentale”. Abbiamo così: lean, six sigma, TPM (Total Productive Maintenance), World Class Manufacturing (affascinante no? chi non vorrebbe essere di classe mondiale? Oppure GCM – Galaxy Class Manufacturing, perché limitarsi?), lean six sigma (avvertiamo già la potenza derivante dall’unione di forti metodologie, appaga la nostra ricerca di certezze combinando due principi che devono per forza dare risultati!). L’utilizzo dei soliti tempietti con colonne allegate, le rende anche facilmente trasmissibili e assimilabili e se per caso vai a sbattere sulla colonna sbagliata, beh non è un problema ci sarà sempre qualche “champion” pronto ad aiutarti!

Sono PRESCRITTIVE: “ti dicono cosa fare, indicano specifiche azioni che i manager possono intraprendere per risolvere problemi o migliorare le loro aziende. (…) La necessità di essere semplici ma prescrittive rende le loro azioni facilmente mal interpretabili e facili di impropria applicazione”. Le mode sono prescrittive come ricette che noi amiamo perché forniscono soluzioni chiare che ci dicano cosa fare: segui la prescrizione del medico e sicuramente guarirai (leggi, diventerai un’azienda di successo).

Sono FALSAMENTE INCORAGGIANTI: promettono risultati di grande fascino e interesse. Ma per citare Miller e Hartwick: “Tutti i tipi di mode sanno fare meglio nell’aumentare speranze che nel produrre risultati.”

Sono SOLUZIONI ADATTE A TUTTI (One-sizes-fits-all): quale sia la tua organizzazione, il tuo settore, il tuo mercato, sono valide e danno risultati (così dicono!). Possono però creare anche disastrosi effetti collaterali se non si tiene conto della specifica situazione di business e di cultura dell’organizzazione.

Sono FACILI DA COPIARE E INCOLLARE: essendo semplici e facili da applicare si possono sempre creare applicazioni parziali. Magari si applicano di più in alcune aree lasciando la struttura e la cultura aziendale inalterate. E’ quello che comunemente succede con la “lean” vista come cosa di produzione e non invece come sistema di management, creando, di fatto, così aziende con una doppia cultura o a due velocità (sempre che anche in produzione si riesca ad applicarla correttamente).

Sono in SINTONIA CON LA “VISIONE DEL MONDO” DEL MOMENTO: tutti le citano, le principali aziende le applicano, i guru continuano a parlarne. C’è un ambiente che è ricettivo alle mode del momento.

Sono NUOVE MA NON RADICALI: “attirano l’attenzione per la loro apparente novità. Ma la loro freschezza è solo superficiale” e non compromettono le prassi manageriali esistenti in azienda o non intaccano i poteri costituiti, ossia non sono minacciose.

Sono LEGITTIMATE DA GURU E DISCEPOLI: “molte mode guadagnano credibilità dallo status e prestigio dei loro proponenti o seguaci, piuttosto che da prove empiriche.” Six Sigma fu resa popolare da Jack Welch durante i suoi anni alla GE, oggi ha perso un po’ di smalto e lo ritrova in combinazione con la lean (lean six sigma). Vi è una corposa letteratura sui cosiddetti “guru” e molti esprimono anche ammirazione per certi manager diventati famosi grazie ai media; ci si dovrebbe forse chiedere se questi cosiddetti “grandi” hanno di fatto creato aziende migliori, se hanno creato nuovi posti di lavoro (ma non in Cina o nei Paesi dell’Est) e se all’interno delle loro aziende hanno saputo creare ambienti motivanti, innovativi e dove le persone hanno un ruolo importante. Insomma dovremmo guardare ai valori, alla sostanza e non all’apparenza.

Non credere a niente perché ne hanno parlato e chiacchierato in molti. Non credere semplicemente perché vengono mostrate le dichiarazioni scritte di qualche vecchio saggio. Non credere alle congetture. Non credere come una verità ciò a cui ti sei legato per abitudine. Non credere semplicemente all’autorità dei tuoi maestri e degli anziani. Dopo l’osservazione e l’analisi, quando concorda con la ragione e conduce al bene e al beneficio di tutti e di ciascuno, solo allora accettalo, e vivi secondo i suoi principi. (Budda)

E’ sicuramente più facile copiare che creare, applicare una ricetta pronta per tutte le stagioni piuttosto che faticare per trovare una propria strada. L’esperienza e l’evidenza dimostrano come tutte queste mode falliscono poi nel realizzare le proprie promesse. Esse cambiano poi con l’avvicendarsi di nuovi manager che portano con sè le proprie teorie e le proprie convinzioni senza curarsi dell’ambiente nel quale le vanno a trapiantare. Il risultato è spesso una cinica rassegnazione da parte delle persone sulle quali poi ricadono gli effetti nefasti di acronimi, prassi e metodi che in realtà, alla fine, sono vecchi nel momento in cui vengono copiati e incollati.

Ci sono catastrofi che non si possono evitare ma di cui si può solo tentare di mitigarne gli effetti: terremoti, tsunami, cambiamenti radicali nel mercato o nella tecnologia, stravolgimenti geopolitici. Poi ci sono catastrofi autoindotte, create da chi in cerca di soluzioni a effetto e rapide crede che una ricetta possa cambiare un’intera organizzazione o le persone che ci lavorano. Non esistono sostituti a un lavoro serio e continuo, fatto con e per le persone, per l’azienda e per i suoi clienti, per la comunità. E la prima catastrofe da evitare è quella della convinzione di avere la ricetta giusta.

Se non vi è il desiderio di voler capire, la curiosità di indagare e di cercare, l’umiltà di voler continuare ad apprendere e il coraggio di cambiare il proprio comportamento o atteggiamento, di modificare metodi, sistemi e organizzazioni, non vi potrà essere vera originalità, innovazione, ma solo la “ripetizione dell’ancora lo stesso”.
Non si possono risolvere i problemi con lo stesso modo di pensare che li ha generati, diceva Einstein, quindi è necessario cambiare modo di pensare: non ci sono né best practice, né guru, né benchmarking, che tengano.

Viviamo oggi un serio problema culturale, vogliamo soluzioni facili, rapide, che non implichino un cambio profondo delle nostre abitudini, anche mentali. La stupidità deriva dall’avere una risposta per ogni cosa. La saggezza deriva dall’avere per ogni cosa una domanda. (M.Kundera)
Possiamo evitare le catastrofi di “soluzioni dell’ancora lo stesso”, proprio cominciando a farci le domande giuste.

Buona settimana
Massimo

 

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