Un tipo nuovo di leader. Lifelong Learning.La leadership e l’apprendimento sono indispensabili l’una all’altro.
J.F. Kennedy
Abbiamo da poco terminato un bellissimo training, Leading People, che ho condotto con Roberto Grandis, avendo come partecipanti un gruppo di persone eccezionali con le quali abbiamo passato tre giorni pieni di umanità, ricchi d’idee, emozioni e scambi su leadership e gestione delle persone. Un’esperienza che ha lasciato molto anche a noi.
Grazie!
Ci rinfranca scoprire che esistono, ancora, alcune organizzazioni che investono sulle loro persone, che credono nello sviluppo delle competenze e delle capacità, che preparano l’azienda per il domani, per il mondo liquido.
A loro e a te, amico-lettore, che condividi l’idea che ci sia sempre la possibilità di fare meglio e di diventare migliori, dedico le riflessioni del post di oggi.
“Vita liquida” e “modernità liquida” sono profondamente connesse tra loro. “Liquido” è il tipo di vita che si tende a vivere nella società liquido-moderna. Una società può essere definita “liquido-moderna” se le situazioni in cui agiscono gli uomini si modificano prima che i loro modi di agire riescano a consolidarsi in abitudini e procedure. Il carattere liquido della vita e quello della società si alimentano e si rafforzano a vicenda. La vita liquida, come la società liquido-moderna, non è in grado di conservare la propria forma o di tenersi in rotta a lungo.
In una società liquido-moderna gli individui non possono concretizzare i propri risultati in beni duraturi: in un attimo, infatti, le attività si traducono in passività e le capacità in incapacità. Le condizioni in cui si opera e le strategie formulate in risposta a tali condizioni invecchiano rapidamente e diventano obsolete prima che gli attori abbiano avuto una qualche possibilità di apprenderle correttamente. E’ incauto dunque trarre lezioni dall’esperienza e fare affidamento sulle strategie e le tattiche utilizzate con successo in passato: anche se qualcosa ha funzionato, le circostanze cambiano in fretta e in modo imprevisto (e, forse, imprevedibile). Provare a capire come andrà in futuro sulla base di esperienze pregresse diventa sempre più azzardato e sin troppo fuorviante. Fare ipotesi attendibili diventa via via più difficile, e le previsioni infallibili ormai sono fuori dal mondo: le variabili dell’equazione sono tutte, o quasi, incognite e non esistono stime delle loro tendenze future che si possano considerare completamente e realmente affidabili.
La vita liquida è, insomma, una vita precaria, vissuta in condizioni di continua incertezza. Le preoccupazioni più acute e ostinate che l’affliggono nascono dal timore di esser colti alla sprovvista, di non riuscire a tenere il passo di avvenimenti che si muovono velocemente, di rimanere indietro, di non accorgersi delle “date di scadenza”, di appesantirsi con il possesso di qualcosa che non è più desiderabile, di perdere il momento in cui occorre voltare pagina prima di superare il punto di non ritorno. La vita liquida è una successione di nuovi inizi: ma è proprio perciò che le fini rapide e indolori, senza cui nuovi inizi sarebbero impensabili, tendono a rappresentare i momenti di massima contestazione e procurare i mal di testa più insopportabili. Tra le arti del vivere liquido-moderno e le abilità che esse richiedono, sapersi sbarazzare delle cose diventa più importante che non acquisirle.
(Zygmunt Baumann – Vita liquida)
Sbarazzarsi delle cose e delle idee vecchie, antiche, dovrebbe essere la prima cosa da fare, per fare spazio a concetti nuovi, che possano sostituire in alcuni casi, o integrare, in altri, convinzioni, credenze e conoscenze.
Una lotta contro l’ottusità…
Le persone poco ricettive si possono suddividere all’incirca in due categorie: quelle che confinano le loro idee a ciò che hanno imparato a scuola, e quelle che si limitano alle esperienze personali. Entrambe le tipologie di persone sono ugualmente ottuse, nel senso che vogliono, a tutti i costi, far rientrare ogni cosa nella cornice generale delle loro conoscenze e del loro modo di pensare.
(…) Sono moltissime le persone la cui conoscenza del mondo si basa sull’esperienza diretta che ne hanno avuto. Si tratta di persone che pensano per formule prestabilite: “questo è così”, “quello è cosà”. Un tale modo di pensare può risultare utile finché ci troviamo all’interno dei confini del nostro paesino, ma non ci sarà di alcuna utilità per muoverci in una realtà più ampia. I confini del nostro mondo possono corrispondere a quelli del quartiere o della zona in cui viviamo o, ancora, all’azienda o al settore in cui lavoriamo.
(Haruhiko Shiratori – Per una mente libera)
Quando il “paesino” diventa il mondo, l’ottusità diventa pericolosa o nei casi migliori, inefficace.
Shiratori scrive della necessità di ampliare il sapere per rinnovarsi.
Chi sa leggere la musica è in grado di ascoltarla seguendo gli spartiti. Per chi non è in grado di leggere la musica e si limita ad ascoltarla, uno spartito è solo un disegno complicato.
Il mondo è come uno spartito musicale: assume un significato a seconda delle conoscenze e del punto di vista di chi lo osserva. In altre parole, più cose impariamo e più il mondo ci apparirà pieno di nuovi significati.
Quando avremo trovato nuovi significati, è naturale che si generino anche nuove idee. Questo modo di vivere ci rigenera ogni giorno.
La conoscenza, in fondo, ha questo scopo: donare una nuova vita alle persone.
(H.Shiratori – Opera citata)
Quando ampliamo le nostre conoscenze e competenze acquisiamo davvero una nuova vita, più consapevole, più efficace e più piena.
E per dirla con Bauman, impariamo a camminare sulle sabbie mobili, cioè generare nuove risposte, migliori possibilità e nuove soluzioni in un mondo in trasformazione (liquido) come quello di oggi.
Ricordiamo un antico proverbio cinese, formulato due millenni prima dell’avvento della modernità ma citato ancora, agli albori del terzo millennio, dalla Commissione delle Comunità Europee a sostegno del suo programma a favore del ‘Lifelong Learning’:
“Quando fai piani per un anno, semina grano. Se fai piani per un decennio, pianta alberi. Se fai piani per la vita, forma e educa le persone”.
(Zygmunt Baumann – Vita liquida)
Se i piani sono quelli dei risultati del trimestre, o delle necessità di brevissimo termine, allora si semina il grano: tecnologie, software, robot.
Se i piani sono a lungo termine si investe, invece, sulle persone.
(…) Nell’ambiente liquido-moderno la formazione e l’apprendimento, perché siano utili, devono essere continui, anzi permanenti, cioè protrarsi per tutta la vita. Non è più concepibile un altro tipo di formazione e/o apprendimento: la ‘costituzione’ dei sé o delle personalità è impensabile in qualsiasi altro modo che non sia quello di una riformazione costante e perennemente incompiuta.
(Zygmunt Baumann – Vita liquida)
La “vita-liquida” richiede tutta una serie di nuove competenze e abilità, di nuovi processi e schemi mentali: la crescita impetuosa delle nuove conoscenze e il non meno rapido invecchiamento del sapere preesistente agiscono congiuntamente nel produrre ignoranza umana su vasta scala, rigenerandone costantemente le riserve, o addirittura accrescendole. (Z.Bauman)
Ma attenzione!
Il mercato è dominato dall’offerta, visto che i clienti potenziali, per definizione, non sono in grado di giudicare la qualità dei prodotti offerti, e se anche arrischiassero un giudizio non hanno la possibilità di fare i difficili. E’ facile vendere conoscenze di cattiva qualità o inutili, non di rado superate o addirittura fuorvianti, e quante più se ne vendono, tanto meno è probabile che i clienti ingannati vedano il bluff dei fornitori. (Z.Bauman)
E certamente è così per l’industria della leadership (vedi il Leader griffato. The Reality Gap 2. – post del 4/6/17). Separare la sostanza dal bla-bla è sempre molto difficile.
L’esperienza, il linguaggio, lavorare insieme, condividere emozioni, riflettere, fare, sono attività che rappresentano un percorso, un viaggio che s’intraprende verso l’acquisizione di nuove competenze che necessitano poi di molto esercizio per diventare abilità.
Un viaggio che qualsiasi leader dovrebbe voler intraprendere per evitare il pericolo dell’ottusità.
Dovremmo chiederci quale tipo di organizzazione vogliamo costruire da qui ai prossimi cinque o dieci anni e quali competenze dobbiamo costruire.
Dovremmo interrogarci sulle nostre capacità professionali e umane e capire come svilupparle, aggiornarle e modificare quello serve, eliminando la zavorra del “superato”.
La domanda chiave non è: “Che cosa stimola la creatività?”. Ma “Perché diavolo non tutti sono creativi? Dove è andato perduto il potenziale umano? In che modo è stato bloccato?”. Sono dunque convinto che sia bene domandarsi non perché le persone creano, ma perché non creano e non trovano nuovi modi di fare le cose. Dobbiamo abbandonare il senso di meraviglia di fronte alla creatività, come se il fatto che qualcuno abbia creato qualcosa fosse un miracolo. (Abraham Maslow)
La domanda di Maslow, psicologo conosciuto per la famosa “piramide” dei bisogni, è assolutamente rilevante.
Dovremmo chiederci cosa blocca, nelle organizzazioni, la creatività, l’impegno e l’iniziativa e lavorare per eliminare gli ostacoli.
Potremmo iniziare aggiornando il set di competenze sulle quali i leader sono carenti, essendo stati finora misurati (con risultati non sempre particolarmente felici come dimostrano i disastri della crisi del 2008) solo su prodotti fisici e/o finanziari e mai sul tipo di collaboratori che sono capaci di far crescere, sul tipo di ambiente che hanno creato, sull’efficienza/efficacia dei processi e più in generale secondo criteri che misurino il ben-essere dell’organizzazione e delle persone che dirigono. Temi, questi che diventeranno strategici, se già non lo sono, molto presto.
E’ arrivato il momento che sapersi sbarazzare delle cose diventa più importante che non acquisirle.
Pensateci…”più tardi potrebbe essere troppo tardi”!
Design a better world …
Buona settimana
Massimo