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La forza della fiducia.

By 8 Novembre 2015 Marzo 29th, 2018 No Comments

La forza della fiducia.Blog 4215

Questo per isperienza è provato, che chi non si fida mai sarà ingannato.

(Leonardo da Vinci)

(…)Quando l’obiettivo finale diventa il controllo, questo può influire negativamente su altri aspetti della cultura aziendale.
(…)L’antidoto alla paura è la fiducia. In questo mondo pieno di incertezze, tutti speriamo di trovare qualcuno su cui fare affidamento. Paura e fiducia sono forze molto potenti e, per quanto non siano esattamente una l’opposto dell’altra, la fiducia è il migliore strumento per scacciare la paura. C’è sempre molto da temere, soprattutto quando si prova qualcosa di nuovo. Confidare negli altri non significa essere certi che non commetteranno errori, ma che se lo faranno (o sarete voi a commetterli) interverranno per contribuire a risolverli. La paura, al contrario della fiducia, nasce in breve tempo. I leader dovrebbero dimostrarsi sempre degni di fiducia e il modo migliore per riuscirci è reagire con risolutezza di fronte al fallimento.
(Ed Catmull – Verso la creatività e oltre)

La fiducia o la sua assenza, ha un carattere pervasivo, si propaga dall’interno dell’organizzazione all’esterno verso fornitori e clienti. Quanto la fiducia riconosciuta dal mercato abbia un impatto economico, lo si può facilmente osservare dalle fluttuazioni del mercato azionario o nell’impatto che ha sul consumatore finale la conoscenza di qualche evento problematico che caratterizza una certa azienda; a titolo d’esempio, pensiamo allo scandalo Volkswagen e all’effetto che ha avuto sul valore delle azioni dell’azienda tedesca, sulle multe che dovranno pagare e sull’opinione pubblica.
Quando si guarda all’esterno, la fiducia si chiama “valore del brand”, o “reputazione”, che pur rappresentando anche altri aspetti, incarna sicuramente anche il livello di affidabilità, ovvero la garanzia del rispetto di certi requisiti, che i clienti riconoscono a quel marchio.
La reputazione di un’azienda è il risultato di una serie di processi e attività creati all’interno dell’azienda stessa, portati con successo sul mercato: prodotti, immagine, servizio ai clienti, gestione del post-vendita, solidità finanziaria, capacità di generare reddito e così via.
La fiducia riconosciuta dall’ambiente esterno ha quindi un effetto economico vitale per il successo dell’azienda.

L’impatto esterno (effetto) così ottenuto, è però il risultato di una serie di azioni sviluppate con successo dalla struttura interna dell’azienda e dei suoi fornitori, che ne sono la causa.
E qui osserviamo alcune criticità.

Alcune organizzazioni e alcuni gruppi sono pervasi da una mancanza cronica di fiducia.
Gli atteggiamenti prevalenti sono la diffidenza e il sospetto.
Ricerche e rilevazioni fatte da autorevoli istituti di ricerca mostrano, purtroppo, livelli molto bassi di fiducia, che molto spesso si osservano all’interno delle strutture aziendali.
Il deficit di fiducia, cronicizzato in alcune organizzazioni, è sia orizzontale sia verticale: tra persone dello stesso ufficio, tra funzioni diverse e tra tutti e il top management.
Evidenti manifestazioni di una seria difficoltà a lavorare insieme, a fare squadra, nel condividere obiettivi e modi di operare, segni di un clima che invece di essere di collaborazione e fiducia, è fondamentalmente improntato alla diffidenza e alla necessità di creare tutta una serie di meccanismi e procedure predisposti con l’obiettivo di difendersi, nel caso – non tanto remoto ma assai frequente, dal momento che molti processi sono difettosi e creano di fatto problemi che hanno carattere strutturale e permanente – nasca un problema e, come al solito, parta la caccia al colpevole.
Effetti nefasti di questo stato di cose sono un disallineamento tra le funzioni aziendali (obiettivi diversi e a volte confliggenti); comunicazioni difettose, inesistenti o frammentarie (in un contesto nel quale avere informazioni fruibili e disponibili in modo veloce è vitale) gestite con vagonate di e-mail da scrivania a scrivania e da ufficio a ufficio (esempio tragicomico della catena di Sant’Antonio aziendale: mail che richiede una risposta, che genera una contro risposta e cosi via); riunioni continue che producono topolini (“riunionite”); sistemi premianti che stimolano comportamenti sbagliati e generano ulteriori conflitti; incapacità di lavorare in team.
Fenomeni che si traducono poi in tempi di risposta lunghi, risposte sbagliate; problemi che si ripetono come le stagioni o come i giorni della settimana; inefficienze varie; relazioni personali conflittuali (Non hai letto la mail? Eppure te l’avevo mandata, eri in copia…); frustrazione, ansia, demotivazione e un peggioramento del clima e nei risultati aziendali.

Gli stessi rapporti sindacali, da decenni in particolare in Italia, sono improntati al conflitto, con il risultato che si ripete un gioco a somma zero: ossia, perdono tutti e, tutti, imprenditori e dipendenti, sono scontenti. Le cause sono antiche e profonde e non è questa la sede per approfondirle, basti però pensare come il conflitto sia solo una delle possibili modalità, ne esiste anche un’altra più produttiva: la collaborazione.
Così, spesso si combattono le “guerre dei poveri” lasciando spazi ai concorrenti locali o internazionali, nella ripetizione di un gioco senza fine di guerra interna, perdendo di vista il fatto, che il nemico non è dentro casa, ma fuori.

Lo stesso modello, in molti casi è replicato con i fornitori, che ancora lontani dall’essere considerati dei partner, vengono “tirati per il collo” con contrattazioni estenuanti mirate solo a ottenere, in parvenza, il prezzo più basso, costringendo così il fornitore a cercare la reddittività eliminando parti o processi che potrebbero migliorare la qualità del prodotto e così consentire una riduzione vera del costo e non apparente. Il fine di questo approccio è dimostrare quanto l’ufficio acquisti sia bravo nello spremere il malcapitato; pazienza poi, se la bassa qualità della fornitura ricade sugli operativi o in alcuni casi, addirittura sul cliente.
L’ottimo locale vince sempre sull’ottimo di sistema!
Potremmo anche citare casi in cui, tipico di alcuni settori e malattia tipicamente italiana, non sono rispettati gli accordi contrattuali, ritardando in modo sistematico e voluto i pagamenti concordati, mettendo i fornitori, magari fortemente dipendenti dal cliente, in situazioni davvero insostenibili.

Il conflitto vince sulla collaborazione, sempre e comunque. Mors tua vita mea!

Molti di questi modelli preistorici, patologici e inefficaci vanno eliminati, sostituendoli con un modo di fare azienda, di lavorare con le persone, con processi, che siamo più moderni, efficaci ed efficienti.

La collaborazione, che è la vera sfida per le aziende oggi, richiede di ripensare tutta una serie di pratiche aziendali per rispondere in modo adeguato alle nuove sfide.
Sarà sempre più necessario creare ambienti nei quali la fiducia sia il sentimento dominante e non la paura o il sospetto. Ambienti in cui la condivisione degli obiettivi e dei valori tracci un percorso che unisca gli sforzi di tutti. Il futuro non è una destinazione ma una direzione (Ed Catmull-op.citata)

I vostri dipendenti sono persone brillanti; è per questo che li avete scelti. Perciò trattateli come meritano. Capiscono perfettamente se state trasmettendo informazioni incomplete o distorte. (Ed Catmull – op.citata)
Sarà sempre più importante sviluppare una comunicazione efficace, aperta e trasparente.
E’ singolare tutta l’attenzione alla “Corporate Social Responsibility”, così di moda in questo momento, quando all’interno delle organizzazioni anche le regole base di buona comunicazione e di gestione moderna dei collaboratori vengono così spesso disattese.
Di quale “responsibility” stiamo parlando? Di chi verso chi?

Poiché il cambiamento è inevitabile, la domanda che tutti dovremmo porci è: cerchiamo di ostacolarlo e di proteggerci dalle sue conseguenze o lo mettiamo a frutto, accogliendolo con un atteggiamento aperto? La mia opinione, come avrete indovinato, è che la creatività stia proprio nella capacità di lavorare con il cambiamento. (Ed Catmull –op.citata)
Apriamo le organizzazioni al mondo esterno. Troppe aziende sono chiuse in se stesse, misurando ancora la qualità del collaboratore da quanto tempo passa in azienda e non dando ai propri dipendenti la possibilità di apprendere e di formarsi, in un mondo in cui la conoscenza ha un tasso di obsolescenza elevatissimo.
Impariamo a diventare creativi, a generare nuove risposte e a creare nuove alternative, investiamo sulle tecnologie, ma soprattutto sulle persone.

E’ responsabilità del leader creare, ricostruire (se compromessa) e aumentare la fiducia. Ancora oggi ci sono ambienti chiusi, dove le persone temono di prendere qualsiasi iniziativa per paura delle reazioni. Leader “metereopatici” che, rimasti all’epoca feudale, credono di poter sfogare sui propri collaboratori le proprie frustrazioni e conflitti irrisolti. Collaboratori che non ricevendo feedback in modo strutturato, pensano di essere esenti ed esentati da qualsiasi critica e possibilità di migliorare, con il risultato che alla minima osservazione si offendono, personalizzando la critica. Fornitori (non partner!) che potrebbero dare un prezioso contributo al successo dell’azienda, ma che mai interpellati o solo spremuti, non lo fanno e mai lo faranno.

Quanto vecchiume… quanto spreco …
Quante possibilità per cambiare e costruire qualcosa di unico, di eccezionale e di originale!

Molti di questi comportamenti oramai inadeguati possono essere e devono essere, abbandonati, cambiati e migliorati. Per poterlo fare e per sperimentare, apprendere, migliorare e trovare un modo diverso di fare le cose, sono indispensabili alcuni elementi, tra loro correlati: visione, fiducia e leadership.

Visione in un futuro possibile e nella possibilità di creare un’azienda che sia davvero moderna.

Fiducia nelle proprie capacità di guidare il cambiamento e la convinzione che sia necessario costruire rapporti basati sulla fiducia e la collaborazione, che la sperimentazione del nuovo comporterà la possibilità di commettere degli errori dai quali si dovrà imparare e quindi la necessità di creare uno spazio di sperimentazione libero dal timore di sbagliare.

E leadership.
Per fare l’albero ci vuole il seme…” recitava una canzone popolare, per “fare un cambiamento ci vuole il leader”.

Senza una leadership appassionata, autentica e impegnata non avremo altro che organizzazioni lente, reattive (non proattive), impantanate in lotte interne di carriera e di potere, che improvvisamente si accorgeranno di essere state superate dal mercato e da concorrenti più “smart”.

Non credere nel potere della fiducia e della collaborazione porta all’inevitabile fallimento (debolezza). Creare e aumentare la fiducia al successo (forza).

La forza è confidente per natura.
Nessun più sicuro segno di debolezza che il diffidare istintivamente di tutto e di tutti.
(Arturo Graf)

Che, allora, la Forza sia con voi!

Buona settimana
Massimo

 

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