Far accadere il futuro.
Esplorazioni per Pirati #2. Nell’esplorazione di questa settimana vorrei riflettere su un tema non facile ma importante e mentre sto scrivendo queste righe mi chiedo se riuscirò ad esprimere con chiarezza quello che ho in mente, ma, anche se difficile, è un tema sul quale ognuno di noi, in certi momenti, si pone molte domande.
Ho parecchi calendari che usavo prima di utilizzare il digitale. Ogni tanto ne apro uno del 1991 e guardo tutti i nomi e gli appuntamenti e le cose che, al tempo, sembravano così importanti. Riunioni di cui ero veramente preoccupato, cose per cui ricevevo chiamate quattro volte al giorno, e mi chiedo, “Dove sono finite? Dove sono adesso?” E’ così strano, tutto è scomparso. (Michael Bierut)
Ogni tanto, mettere le cose in prospettiva ci aiuta a focalizzare le vere priorità. Aprire vecchie agende o calendari e riguardare agli impegni che avevano richiesto il nostro tempo e la nostra attenzione qualche anno fa, è un utile esercizio per riflettere su quelle che erano i nostri obiettivi, la strada che abbiamo percorso e la direzione che vogliamo prendere.
Quello che appariva così importante qualche tempo fa, oppure ci preoccupava, visto a distanza di tempo, assume un aspetto diverso e ci strappa magari qualche sorriso al pensiero della preoccupazione che avevamo provato o per la soddisfazione che ricordiamo per aver risolto brillantemente la situazione. In qualche caso ci sarà anche un po’ di amarezza per un’occasione o per un’opportunità perduta. E’ anche un’occasione per ritrovare alcuni temi o obiettivi ricorrenti e verificarne la validità.
Alcuni uomini d’affari, manager e imprenditori, anche a causa di un allungamento della vita lavorativa, stanno iniziando a guardare alle cose da un punto di vista diverso, ricercando non più solo il benessere economico o una posizione di prestigio ma interrogandosi anche in merito al significato di quello che stanno facendo. La ricerca di un significato ci porta a dover rispondere ai “perché” della nostra vita.
Un professore di storia naturale spiegava un giorno in classe che la vita di ogni organismo, e quindi anche dell’uomo, “non è in fin dei conti che un processo di ossidazione e di combustione”. D’improvviso un giovane si alzò e gli fece un’obiezione appassionata: “Ma, allora, qual è il senso della vita?” Giustamente quel ragazzo aveva compreso che l’uomo esiste in modo diverso da una candela che brucia sino alla fine. Solo il modo di essere della candela può venir ridotto ad un processo di combustione: il nostro modo è essenzialmente diverso. (Viktor Frankl)
Il “perché” è importante e si riferisce non solo agli scopi che cerchiamo di realizzare ma anche al significato che gli diamo e che diamo agli eventi che ci capitano.
Le sequenze passate sono ormai fissate, ma le future sono ancora aperte alla felicità dell’interprete, affidate alla sua responsabilità.
Che cos’è dunque la responsabilità umana? E’ ciò verso cui si è “attratti” e cui ci si “sottrae”.
(…) Nella responsabilità c’è veramente qualcosa di “abissale”, di “fondamentale”. E quanto più a lungo e più profondamente riflettiamo su ciò, quanto più noi ci sforziamo di cogliere cosa sia la responsabilità umana, tanto maggiormente ci rendiamo conto che essa è contemporaneamente qualcosa di terribile e di meraviglioso. Terribile: il sapere che, in ogni istante, ho la responsabilità del momento futuro, che ogni decisione, sia la piccola che la grande, è una decisione “per tutta l’eternità”, che in ogni istante realizzo una possibilità e non un’altra. Ogni attimo infatti racchiude in se migliaia di possibilità, ma io non posso sceglierne che una sola se voglio realizzarla, mentre condanno tutte le altre, anch’esse “per tutta l’eternità”. Meraviglioso: il sapere che il futuro, il mio proprio futuro e con esso quello delle cose e delle persone che mi circondano, è in un certo senso dipendente, per quanto in misura minima, dalla mia decisione di ogni momento. (…)
(…) L’uomo non ha nulla da chiedere: è piuttosto lui stesso l’interrogato, colui che deve rispondere alla vita, di cui è responsabile.(…)
(Viktor Frankl)
Siamo, così, “interrogati” e chiamati ad esercitare le nostre responsabilità in tutti gli ambiti della nostra vita e ovviamente anche nell’ambito della nostra vita professionale. A queste domande, ognuno di noi risponde con comportamenti, atteggiamenti e azioni che gli sono propri. Dare un senso a quello che facciamo, esprimere i valori in cui crediamo, realizzare gli obiettivi che ci prefiggiamo sono tutte cose tipicamente umane e ci portano a una riflessione sulla motivazione intesa come forza che “ci muove”. Da questo passaggio ritorniamo al mondo delle aziende.
Un tema ricorrente è quello di una crescita economica che sia sostenibile, non solo da un punto di vista ambientale, ma anche da un punto di vista umano. Molto spesso, purtroppo, alcune aziende, si sono dimenticate che esistono non solo per generare profitti, ma anche e forse, soprattutto, per migliorare la vita dei dipendenti, dei clienti e della società. Già Adriano Olivetti, da grande innovatore, con molto anticipo sui tempi, in un discorso del 1955, si poneva una domanda: Può l’industria darsi dei fini? Si trovano questi semplicemente nell’indice dei profitti? Non vi è al di là del ritmo apparente qualcosa di più affascinante, una destinazione, una vocazione anche nella vita di una fabbrica?
A completamento del nostro ragionamento dobbiamo anche rilevare la mancanza di motivazione e di impegno che si riscontra in molte aziende, sintomi di un malessere che ha radici lontane, ma che oggi è diventato un serio problema dal momento che, proprio quando le aziende dovrebbero poter far leva sulle proprie energie e risorse migliori (le loro persone), per competere in un ambiente sempre più veloce, complesso ed esigente, proprio queste sono al loro minimo storico in termini di capacità, competenze e spirito di iniziativa. Questa riduzione della competitività aziendale è anche il risultato di un abbassamento nei livelli di performance e professionalità dovuto a una serie infinita di errori di gestione, a processi e procedure difettose, a mancanza di visione e a un’ossessione quasi patologica per il risultato di breve termine (il mese o il trimestre), senza dimenticare, in alcuni casi, i tagli indiscriminati di personale che hanno seriamente eliminato interi gruppi di competenze, dall’organizzazione aziendale.
I valori si misurano in base agli altri valori che devono essere sacrificati per ottenerli (Zygmunt Bauman). Se il valore base che governa tutte le azioni è solo il profitto o la cieca riduzione dei costi fine a se stessa, quello che rimane è un’azienda che deciderà in funzione dell’ottenimento di risultati di breve termine – “fare i numeri” – e la cui strategia avrà un profilo basso e una visione corta. Se il valore che guida le azioni è solo l’interesse personale o una mal espressa ambizione, quello che costruiremo sarà un’organizzazione in cui invece di collaborazione, condivisione e partecipazione, otterremo resistenza, demotivazione e disimpegno.
Affrontare con profondità e serietà la ricerca di un significato, di valori, per cui valga davvero la pena di impegnarsi e di impegnare l’organizzazione e che dovrà essere comunicato anche all’esterno, sarà una delle sfide che manager e imprenditori dovranno affrontare per creare aziende che siano davvero in grado di fare la differenza e dire qualcosa di nuovo. Esso dovrà tradursi sia in prodotti e servizi innovativi per il mercato, ma anche in modi di lavorare interni che riescano a far emergere il potenziale e la crescita delle persone che sentiranno così di essere parte importante nella costruzione di qualcosa che sia più della somma di procedure, macchine, sistemi e strutture gerarchiche.
Quando si arriva al futuro, il nostro compito non è di prevederlo, ma piuttosto di consentire che accada. (Antoine de Saint-Exupery)
Potrebbe essere la costruzione di un futuro come quello sopra descritto, la missione di un leader? Egli dovrebbe essere determinato e capace di arginare la devastante attenzione solo al risultato di breve termine. Dovrebbe avere una visione, un obiettivo da raggiungere e verso il quale mobilitare tutte le energie dell’organizzazione. Le sue persone si sentirebbero parte di un progetto, un gruppo coeso che può davvero fare la differenza con impegno e passione.
Perché esiste la tua azienda? Rende il mondo un posto migliore? Quello che fa è allineato ai valori che predica? Crea ricchezza, benessere, solidità e crescita per tutti? E tu come entri in questo processo? Qual è il tuo “perché”?
Mi piace finire con un’altra breve frase del famoso autore de Il piccolo principe: Il senso delle cose … non è mai da trovare, ma da creare.
Buona settimana
Massimo