Homo Faber: uomini, lavoratori e artisti. Esistono ancora delle realtà, dove la passione del fare, produce manufatti di pregio notevole, dove l’uomo è impegnato nel suo lavoro e orgoglioso di quello che costruisce.
Osservo ammirato la fluidità dei movimenti, la cura per il dettaglio e l’occhio attento che creano, quasi per magia, l’oggetto che, da insieme scomposto di parti, diventa prodotto da usare e che qualcuno da qualche parte deciderà di comprare.
Mi trovo a pensare che, forse dopotutto, l’etica del lavoro non è ancora scomparsa, e che la sua difesa sta proprio in quell’attento muoversi che ne trasmette il significato e lo scopo.
La persona è totalmente concentrata nel suo compito, e con sicurezza, consapevolezza e intenzionalità, svolge una serie di operazioni e di movimenti complessi che mostrano una grande dimestichezza e abilità, frutto di tanto tempo passato a imparare un mestiere.
Gli atteggiamenti, l’attenzione e i movimenti dimostrano come vi sia partecipazione e orgoglio nel produrre un oggetto ben fatto, di ottima fattura e qualità, l’intima soddisfazione nel guardare quel pezzo e di sapere che è frutto di un sapere e di un’abilità che trova nel costruire la sua piena realizzazione.
Esistono ancora persone così e ancora aziende fatte di persone così!
C’è un qualcosa di veramente particolare nel modo in cui una persona che “sente” il proprio lavoro, lo svolge. L’ho visto accadere molte volte, anche con oggetti totalmente diversi: da componenti in metallo, pezzi di impianti più complessi, prodotti su macchine automatiche, a manufatti dei materiali più vari, costruiti interamente a mano.
L’operatore scruta l’oggetto per controllarne la qualità, il funzionamento e il risultato e sembra quasi accarezzarlo mentre ne tasta la superficie.
Sono esempi eccellenti di Homo Faber, cioè l’uomo come artefice, capace di creare, costruire, trasformare l’ambiente e la realtà in cui vive, adattandoli ai suoi bisogni.
(…) Non occorre dire che con homo faber – termine per altro di origine non scientifica ma letteraria – non intendiamo certo indicare una particolare specie – del genere homo è rimasta solo quella sapiens sapiens -, ma piuttosto un aspetto del comportamento umano, un modo costruttivo di affrontare i problemi, “facendo”. E’ l’atteggiamento antitetico al rassegnarsi, proprio invece del fatalismo, o allo sperare in aiuto dall’alto, motivazione della preghiera: anche gli homo faber talvolta pregano, ma dopo aver fatto tutto ciò che era possibile fare!
(…) La schiera degli homo faber che ci hanno preceduto è sconfinata. I più hanno svolto per millenni mansioni umili, defatiganti e ritenute, anche se non sempre a ragione, poco o nulla creative. Erano contadini, pescatori, pastori, minatori, scalpellini, muratori e manovali, La pesantezza del lavoro quotidiano, insieme a un tenore di vita ai limiti della sussistenza, non hanno mai concesso a questa larghissima fascia sociale possibilità e occasioni per acculturarsi e affermarsi nella loro comunità. Non sono certo stati questi anonimi faber a imprimere le grandi svolte, ma qualunque forma del fare merita rispetto, poiché anche assestare una picconata o spalare una badilata di terra richiede una competenza, una costante verifica dell’effetto prodotto, la ricerca di rendere il gesto meno pesante o l’atto più efficace. Senza di loro, non saremmo qui a parlarne, poiché il treno del progresso ha bisogno di rotaie, di carbone e di macchinisti, non solo di capistazione!
(…) Mentre costoro consentivano nei secoli all’umanità di crescere e moltiplicarsi, alcuni homo faber, per la quasi totalità altrettanto ignoti, l’hanno fatta progredire. In passato, furono architetti, esploratori, navigatori, naturalisti, medici e alchimisti; anche molti artigiani e artisti. Nella società industriale, sono tecnici, ingegneri, imprenditori e, soprattutto, ricercatori e scienziati, che ne costituiscono la punta di diamante e la forza traente! A differenza dei loro predecessori, non sempre questi ultimi lavorano con le mani, ma piuttosto con carta e matita: oggi con i computer! Li consideriamo tuttavia a pieno diritto degli homo faber, poiché il loro operato deve soddisfare due fondamentali requisiti: perseguire obiettivi concreti e sottoporsi alla verifica dei fatti; ciò basta e avanza!
(Homo Faber – Edoardo Boncinelli, Galeazzo Sciarretta)
Scrivevo, nell’ultimo post che ritrovare un nuovo significato per il lavoro sarà la grande avventura del nostro tempo, e cioè riconnettere l’uomo al suo lavoro.
Ritrovare la passione del fare e del costruire…
Sarà possibile immaginare un futuro senza lavoro? Un futuro nel quale gli uomini potranno dedicarsi ad altre attività?
Non saprei dire, certamente non avverrà nei prossimi due o tre decenni.
Il lavoro è, al momento, necessario e indispensabile per vivere.
Ho sempre pensato che sono le cose che scegliamo a renderci quello che siamo. Tra queste il lavoro rappresenta una parte preminente della nostra vita, considerando che passiamo circa la metà della nostra esistenza a lavorare (per coloro che un lavoro ce l’hanno naturalmente).
(…) Mio padre era forse un genitore tanto anomalo, rispetto a quelli che oggi preferiscono parcheggiare i propri figli all’università, invece di indirizzarli all’apprendimento di un mestiere? No di certo! E’ stato molto più che un ottimo padre, perché ha saputo trasmettere a me e ai miei fratelli la passione per un lavoro che è prima di tutto arte e stile di vita, e nel trasferire questa passione ha fatto in modo che nulla fosse dato per scontato.
Questo lavoro – diceva – è un mezzo per essere liberi, ti permetterà di guadagnare in modo onesto e ti farà divertire. Ti consentirà di apprezzare la storia dei nobili maestri che l’hanno portato fino a noi. Ti farà capire cosa voglia dire superare le difficoltà e uscirne vittorioso, perché ogni giorno imparerai cose nuove. Ti aiuterà a conoscere le persone e a rispettarne i desideri dandogli forma. Ti farà sentire sempre vivo e sarà una continua sfida, perché in questo nostro mondo fatto di materia la soddisfazione sta nel risolvere problemi inediti. Quindi non ti accadrà di annoiarti. Ma dovrai essere molto umile, nulla si conquista senza una benefica fatica.
Sono parole di Claudio Franchi (Non ci conoscete – Artigiani in rivolta) che si definisce “artigiano rivoluzionario e sovversivo con smanie curatoriali”, ma che tuttavia racchiudono delle verità sulle quali riflettere.
Si potrebbe obiettare che sono parole facili per un imprenditore o artigiano, ma che dire di chi svolge un lavoro su una macchina, in una fabbrica?
E quando si pensa a linee di montaggio non si può non pensare a Charlie Chaplin in Tempi Moderni:
(…) Appare chiaro che furono le tensioni economiche, le condizioni sociali e il clima intellettuale dei primi anni Trenta a suggerire a Chaplin un film in cui il rapporto tra il suo personaggio, Charlot, (con tutte le convenzioni comiche a lui legate) e le problematiche sociali dell’epoca fosse più diretto di quanto accaduto nelle sue opere precedenti. Tempi Moderni nasce indubbiamente dalle riflessioni di Chaplin sulla Depressione. Negli Stati Uniti l’economia precipitò in una spirale negativa dagli inizi del crollo della Borsa, nell’ottobre del 1929, fino ai primi mesi del 1933. Durante quel periodo, il PIL diminuì del 29%, il settore dell’edilizia accusò una flessione del 78% e gli investimenti precipitarono del 98%. Il tasso di disoccupazione in tutti settori, agricoltura a parte, balzò da poco più del 3% a quasi il 25% e il valore della maggior parte dei prodotti agricoli diminuì drasticamente. Come osservò Robert S. McElvaine, “gli Stati Uniti attraversarono la loro crisi peggiore dai tempi della Guerra Civile”. Fu allora che il candidato democratico Franklin D. Roosevelt riportò una vittoria schiacciante e molti americani attesero con ansia un intervento attivo del governo federale mirato a risollevare le sorti della nazione.
(…) Ovviamente il bersaglio della satira chapliniana in Tempi Moderni – la catena di montaggio – precede la Depressione. Introdotta da Henry Ford nel settore automobilistico negli anni Dieci e Venti, l’utilizzo della catena di montaggio fu anche associato al piano di ‘management scientifico’ promosso da Frederick W. Taylor. Chaplin rivelò che era stata la conversazione avuta con un cronista del “World” di New York a dargli lo spunto per la lunga sequenza iniziale: “mi parlò delle catene di montaggio adottate dalle fabbriche di Detroit: la storia angosciosa dei robusti giovanotti strappati alle fattorie con la prospettiva di più lauti guadagni, che dopo quattro o cinque anni di lavoro alle catene di montaggio diventavano rottami umani col sistema nervoso a pezzi”.
(La Depressione e il contesto culturale – Charles Maland – distribuzione/ilcinemaritrovato.it)
Come può un addetto a una linea di montaggio o su una macchina automatica trovare significato nel suo lavoro?
La tecnologia, oggi, permette di progettare linee di produzione più attente agli aspetti umani, ergonomici, di sicurezza e cognitivi.
Il coinvolgimento degli stessi operatori nelle attività di miglioramento delle linee, consente di migliorarne ulteriormente le condizioni di utilizzo e d’impiego dando il giusto valore all’aspetto umano molto spesso dimenticato da progettisti e ingegneri di produzione.
In quel coinvolgimento, nella possibilità di usare il proprio ingegno e la propria creatività per migliorare il lavoro, sta quel significato, quell’azione possibile per trovare un senso e uno scopo.
Nel momento in cui gli operatori si attivano per affrontare problemi, migliorare parti del processo, risolvere difetti nel prodotto o nella lavorazione, essi acquisiscono competenze, cioè crescono professionalmente e come persone.
Avviene una trasformazione fisica (miglioramento) dell’area o della macchina e un cambiamento anche personale derivante dall’attività di risoluzione di problemi, dalla condivisione di metodi e dal lavoro in team.
Naturalmente il coinvolgimento andrebbe esteso a tutti i livelli e funzioni aziendali, attivando così tutte le potenzialità delle persone.
Le esperienze fatte in tanti anni e in tanti settori e ambiti diversi, dimostrano che le persone attendono solo di essere coinvolte, aspettano che qualcuno dia loro la possibilità di partecipare e di dare il proprio contributo, ottenendo così un risultato impensabile: migliorare le performance aziendali e creare team motivati, impegnati e responsabili.
Lo spirito di questa modo di lavorare avvicina così professioni molto diverse: l’artigiano, l’operaio artigiano e l’operaio della catena di montaggio, ricostruendo un legame che molte volte si è interrotto: quello tra l’uomo, la sua continua ricerca per un significato e il suo lavoro.
Un uomo che lavora con le sue mani è un operaio;
un uomo che lavora con le sue mani e il suo cervello è un artigiano;
ma un uomo che lavora con le sue mani, il suo cervello e il suo cuore è un artista.
San Francesco d’Assisi
Uomini, lavoratori e artisti.
Design a better world …
Buona settimana
Massimo