Ospitiamo con piacere una riflessione di Silvia sui ‘ruoli’ che ciascuno di noi ricopre nella vita. Alla fine un mio breve commento.
Buona lettura
Massimo
Prendiamo Don Chisciotte e Steve Jobs agli esordi. Poniamoci di fronte a loro senza pregiudizi, fingendo di non sapere come andrà. Oltre al contesto e ai motivi che li muovono (non poi così differenti) cosa vediamo?
Due sognatori che immaginano di cambiare il mondo in meglio. Semplifichiamo così. Guardiamoli col senno di poi: un visionario che ha rivoluzionato i mezzi di comunicazione e il cinema, miliardario; e un matto sognatore ricordato per “lottare contro i mulini a vento”.
Simile punto di partenza, risultati opposti.
Il primo punto di riflessione che un buon ragionatore può evidenziare è quello che dice: certo, uno ha pianificato il sogno e la visione, l’altro ha deragliato verso il vaneggiamento.
Benissimo. Ma la domanda è: perché?
Ci sono sicuramente molte lenti attraverso cui leggere la realtà e diversi punti di vista.
Una delle lenti di cui parliamo oggi è quella di cui si legge nel titolo: il RUOLO.
In sociologia il ruolo è un concetto che definisce l’insieme dei modelli di comportamento attesi, degli obblighi e delle aspettative che convergono su un individuo che ricopre una data posizione sociale. A seconda dei ruoli ci sono obblighi e benefici.
Possiamo quindi parlare dei famosi archetipi cavallo di battaglia di Jung, ossia modelli di comportamento. La somma dei modelli di comportamento crea una mappa mentale.
Noi agiamo e reagiamo a seconda dei “programmi installati” nel nostro hard disk. La macchina che contiene l’hard disk però non è tuttofare: non possiamo azionare la reazione “scappa volando!” che aziona un airone cinerino. Possiamo solo reagire con la funzione “scappa a gambe levate” (che poi si declina in diversi modi a seconda delle società e dei mezzi di trasporto).
Siamo abituati a ruoli in azienda, in famiglia, tra amici, e siamo abituati a leggerli e ad agirli da un punto di vista regolamentato da azioni da compiere.
Rientrare in un ruolo ha un che di rassicurante, di certo, ci dà l’impressione che basti svolgere il nostro compito con le regole annesse per poter ricevere il consenso altrui.
Nella rappresentazione di storie (commedie, tragedie, drammi, in tv, cinema, teatro) chi fa l’attore interpreta un ruolo. L’interpretazione di altro da sé. Ma poi… è davvero altro da sé? Pacino e De Niro ci sembrano – nonostante la loro capacità di interpretare ruoli diversi – altro da loro stessi o semplicemente tanti diversi modi di essere loro stessi?
Nella drammaterapia di Landy uno dei processi principe del processo è la nozione di ruolo e le tecniche di role playing, impersonificazione e di assunzione di ruoli.
Ma torniamo al concetto di archetipo come mappa mentale e uniamolo alla persona, quindi al ruolo che questa assume agendo l’archetipo, il modello. Semplifichiamo all’essenza.
L’ARCHETIPO GENITORE: è il dominante, prende decisioni ed è responsabile di ciò che fa, c’è totale indipendenza. Secondo lui/lei ogni problema ha la sua causa e la sua soluzione. L’ARCHETIPO FIGLIO: il dominante è l’altro, non prende decisioni e né ha responsabilità. Dipende dall’altro, ogni problema è colpa del genitore che però deve possedere la soluzione.
Ora fermiamoci e proviamo a riflettere alla luce di queste semplicissime suggestioni tagliate con l’accetta. Passiamo velocemente in testa le persone con cui lavoriamo: rientrano in questi schemi comportamentali?
Di solito corrispondono molti aspetti. Se vogliamo possiamo aggiungere che il figlio: si ribella, si lamenta, cerca il conflitto per emanciparsi, cerca conferme, cerca un riconoscimento di valore, ecc. ecc.
Per quanto riguarda il genitore possiamo anche approfondire dividendo poi tra genitori normativi, assertivi, affettuosi, protettivi… e se ripensate alle persone di cui sopra possibile si possano aggiungere alcuni di questi comportamenti o aggettivi ad ognuno di loro.
Ovviamente poi si possono aggiungere ruoli di nonni, zii, fratelli e sorelle, ognuno di loro con le loro caratteristiche di modello comportamentale.
C’è un imprinting che noi registriamo in famiglia quando cresciamo che è ciò su cui si basa la nostra formazione, e a volte passiamo la vita a cercare di correggere i difetti che può avere avuto questo imprinting. Nasciamo con un ruolo, ovvio e di diritto.
La domanda è: siamo capaci ad uscire da quel ruolo con i suoi modelli di comportamento per ricoprirne altri, il maggior numero possibili in modo da saperci adattare alle necessità?
Siamo in grado di non commettere l’errore di giudicare migliore o peggiore un ruolo o un altro? Che so… il genitore è più evoluto del figlio. Da un certo punto di vista può essere corretto, però il figlio mantiene la capacità di mettersi in discussione, di essere curioso, si permette di sbagliare (per esempio). Allora forse chi agisce il genitore può concedersi modelli comportamentali da figlio senza sentire di mettere in discussione il suo ruolo principale?
Per tornare ai nostri protagonisti iniziali, Jobs e Don Chisciotte: al di là della visione e della sua successiva progettazione (già elementi difficilmente presenti uno alla volta, molto raramente entrambi) riusciamo a entrare in quel ruolo?
Qual è quel ruolo? Quel modello comportamentale?
Questa è la vera sfida.
Abbiamo molti uomini e donne che hanno fatto scoperte rivoluzionarie, hanno apportato enormi salti in avanti nella conoscenza dell’umana stirpe; persone che a volte (nella storia un pò più antica) hanno pagato con la vita per concetti e scoperte che anche solo cent’anni dopo sarebbero stati informazione nota a tutti.
Uomini e donne considerati dai loro contemporanei molto spessi “folli” o “blasfemi”.
Questi uomini e donne rivoluzionari che tipo di ruolo hanno ricoperto? Quali caratteristiche ha questo ruolo? Come si declina?
La suggestione che quindi mi piace rimandare a voi è: cerchiamo le risposte, pensiamo a noi stessi e vediamo quali di queste caratteristiche risuona in noi.
Proviamo a costruire quelle che ci mancano e…
Design a Better world
Silvia Elena Montagnini
Erasmo da Rotterdam scrisse: “Tutta la vita umana non è che una commedia, in cui ognuno recita con una maschera diversa, e continua nella parte, finchè il gran direttore di scena lo invita ad abbandonare il palcoscenico”.
Maschere, ruoli?
Secondo un proverbio giapponese ciascuno di noi ha tre facce: la prima quella che mostra al mondo, la seconda quella che mostra agli amici intimi e alla famiglia, la terza che non mostriamo a nessuno e che è il vero riflesso di quello che siamo.
Ruoli, facce e maschere.
Ci dovrebbero essere tre fili che collegano ruoli e maschere in un tutto coerente, equilibrato: il primo filo è un’umanità di fondo che dovrebbe sempre informare qualunque ruolo decidiamo di ‘recitare’ (il comportamento che agiamo); il secondo filo sono i valori importanti che non dovrebbero mai essere messi da parte per stare nel ruolo (a meno che il ruolo non sia una finzione); il terzo filo dovrebbe essere quell’essenza, quel ‘certo non so che’ che ci caratterizza come persona, cioè il nostro tratto distintivo.
Se i tre fili non tessono una trama, magari colorata, ricca di movimento e di disegni, ma distinguibile sarebbe come guardarsi in uno specchio rotto: tante immagini di noi stessi indistinguibili, frammentate, scomposte.
Il grande psicologo e filosofo William James sosteneva che la più grande scoperta della mia generazione è che gli esseri umani possono modificare la propria vita modificando il proprio atteggiamento mentale.
Quindi se a volte non possiamo scegliere il ruolo che ricopriamo perché ci viene imposto dalle circostanze, possiamo sempre scegliere come e con cosa riempirlo.
Questa è la scelta, solo nostra: la decisione, che nessuno ci può togliere, di come ricoprire quel ruolo. E fa tutta la differenza.
Buona settimana
Massimo
Foto crediti: i crediti del disegno che accompagna il post li dò a me stesso. Il disegno è mio quando sono nel ‘ruolo’ di ‘pasticciatore seriale’…