Ospitiamo con piacere un bel contributo di Silvia che ‘racconta’ una storia che merita attenzione: una storia di uomini e donne che in questo momento stanno lavorando con passione, sacrificio e abnegazione per tutti noi.
Buona lettura
Massimo
“Narrare non è soltanto inventare mondi immaginari ma anche descrivere, interpretare, trasmettere mondi reali”
La narrazione prevede la personalizzazione. Ognuno di noi racconterà diversamente ciò che vede e sente, e ciò viene filtrato attraverso le nostre esperienze, la nostra cultura, e spesso attraverso il nostro stato emotivo del momento.
In questa grave emergenza e di conseguente informazione pressante sul Coronavirus Covid-19, ognuno di noi si sente di dare la propria lettura – e quindi la propria narrazione – di ciò che sta succedendo. È un interessante esperimento sociale ciò che sta accadendo sui social, per le strade, nei bar (ahimè).
Al di là di chi crede di conoscere la Verità dopo aver letto quattro articoli senza aver valutato le fonti, la domanda interessante può essere: perché scelgo di credere proprio a quell’articolo, a quell’intervista, e non a chi dice diversamente? Di solito si sceglie il contenuto, la narrazione che conferma il nostro sentire, è importante capire perché si sceglie di credere in un contenuto.
Abbiamo paura? Han detto che se mi viene l’appendicite non potrò essere curato.
Siamo arrabbiati? Ecco. Vedi? Adesso l’economia si ferma e sarà un disastro (versus: perché non hanno fermato tutto subito?).
Rimuoviamo il problema? Tutti all’aperitivo, tanto è solo un’influenza!
E via così.
Ognuno di noi personalizza e rende assolute alcune verità, per poter avere la certezza che ciò che sentiamo sia la cosa giusta.
La domanda interessante è: perché abbiamo paura/siamo arrabbiati/rimuoviamo e via dicendo?
È interessante la reazione umana alle emergenze, osservare da fuori come l’umana stirpe di cultura italiana si comporti (perché le altre nazioni si comportano diversamente da noi, hanno un altro modo di agire e reagire derivante dalla loro storia, dalla loro cultura).
Cosa scegliamo?
Data la premessa vi racconto una storia.
Nelle storie ci sono sempre degli eroi, le storie belle sono quelle in cui gli eroi sono imperfetti, perché li rendono più simili a noi. Quindi questa storia è perfetta.
Dal 2009 ci sono stati tagli alla Sanità e molti sprechi, negli ultimi tre anni un leggero reintegro a fronte di una richiesta sempre maggiore. Manca personale sanitario di ogni grado e le persone (al cui servizio il SSN dovrebbe essere) sono scontente: lamentano attese, imprecisioni, eccetera.
E chi ci lavora come sta? Qualcuno fa il furbo, qualcuno approfitta per lavorare molto privatamente, qualcuno scalda le sedie. Qualcuno ci prova, cerca di ricordarsi perché è lì ma a volte il senso del lavoro si perde tra scartoffie e fatica non ripagata.
Poi succede il Virus.
Come ci insegnano Pearl Harbor e le Torri Gemelle: quando arriva un nemico all’interno del sistema le forze per combatterlo si riuniscono. Si ricomincia a sentire il senso di appartenenza ad una Nazione, è come se tutto ricominciasse a fluire in una sola direzione perché riacquista un senso.
Quel che sta succedendo in questo momento negli ospedali è emblematico.
Ci sono scaldasedie che hanno dato disponibilità a fare turni volontari nei week end.
Ci sono anatomopatologi (i nerd della medicina – con ironico rispetto) pronti a cambiare postazione nel caso in cui ce ne fosse bisogno, anche se non sono formati per farlo, e dicono vabbè casomai sposto le barelle, ma almeno dò una mano.
Ci sono operatori che stanno andando in pensione (un’infermiera amica proprio questa domenica) che chiedono di poter continuare come volontari.
C’è una gruppo su facebook a cui solo se sei medico puoi accedere in cui si danno consigli, chi ha tempo riassume le direttive agli altri, chi ne sa di legale spiega, chi ne sa di tutti quegli aspetti complessi da capire ma utili agli altri cerca di essere a disposizione per chiarimenti, chi traduce le linee guida cinesi sulla gestione del virus. Lì si aggiornano, con rispetto, senza quella che da noi piemontesi si chiama presumìn (presunzione)
Lì gli psicologi si danno disponibili per consulenze a chi sta affrontando in questo momento uno stato di emergenza assoluta.
E chissà quanti altri esempi ci potrebbero essere da fare che io non so.
Molte di queste persone sono persone che già lavoravano oltremodo (cito un radiologo amico che in assenza di colleghi in malattia qualche tempo fa ha fatto 36 ore di lavoro consecutive – fuori contratto? Certo, anche fuori legge, ma cosa fai? Lasci il piccolo ospedale in cui lavori scoperto?). Ecco dicevo chi già lavorava molto non si è tirato indietro, e molti di quelli demotivati hanno sentito di voler contribuire e si sono alzati dalle sedie.
Qualcuno di loro potrebbe dire: ho un figlio a casa che non mi vede, lavoro senza sosta, rischio la salute, ho dei genitori che si potrebbero ammalare se mi ammalo io essendo in mezzo a persone contagiate. Ma non si levano di sotto.
Cos’è successo?
Si è ristabilito un senso di utilità, di gruppo, di aiuto, di collaborazione, il senso del proprio lavoro e della propria funzione sociale. Un senso di appartenenza ad un gruppo di persone che ha scelto un lavoro specifico, occuparsi della salute delle altre persone. Poi perché per alcuni sia cambiato o sia scemato questo principio è altra storia.
Poi c’è un altro interessante aspetto di questi eroi umani: che un po’ quella cosa lì la siamo anche noi. In quanti ho sentito dire a un medico amico: vorrei essere al posto tuo, poter fare qualcosa.
Allora proviamo a stare in silenzio e ascoltare cosa ci sta raccontando questa storia. Ascoltiamo con che tipo di atteggiamento ci stiamo ponendo di fronte ad essa. Ascoltiamo cosa di questa storia ci può fare migliorare.
Aumenta le difese immunitarie!
Silvia Elena Montagnini
Design a better world
Buona settimana
Massimo