Dimensioni… “Non tutto ciò che può essere contato conta e non tutto ciò che conta può essere contato.”(A. Einstein)– Esplorazioni per Pirati #3. Le dimensioni contano? Certamente, ma non tutte le dimensioni importanti si possono contare. Rifletteremo oggi su due dimensioni: la GRANDEZZA e la PICCOLEZZA. Lo faremo ma con un taglio un po’ particolare: ci riferiremo alla posizione in un’organizzazione (responsabilità, autorità e spazio delle decisioni) e alle qualità personali che la persona in una certa posizione esprime.
Questa riflessione è un proseguimento di quella della settimana scorsa (Far accadere il futuro) e anche un tentativo di risposta a una domanda che un amico mi ha posto. Mi chiedeva, infatti, da dove un manager di medio livello, dotato solo della sua buona volontà, potrebbe iniziare a “far accadere il futuro”.
Tranquillizzo subito il top manager o l’imprenditore che dovesse trovarsi a leggere queste piccole note, forse c’è qualcosa di interessante anche per lei; a tal riguardo mi permetto di ricordarle una frase di Elias Canetti: Gli uomini più tremendi: quelli che sanno tutto e ci credono.
La prima dimensione (verticale: per fare contenti gli amanti della “posizione”) è l’ampiezza di responsabilità. Per esempio un imprenditore o un direttore generale hanno, ovviamente, una grande responsabilità, una grande autonomia decisionale, intese come capacità di influenzare e dirigere gli sforzi di un’intera organizzazione e di dover poi “rispondere” dei risultati. Essi hanno risorse (economiche e materiali), mezzi, persone e informazioni a loro disposizione per realizzare gli obiettivi aziendali. Dovrebbero, in linea generale, farne l’uso più EFFICACE ed EFFICIENTE. In questo caso la dimensione della responsabilità e del potere (inteso come capacità di decidere in merito all’uso delle risorse) è GRANDE. Potremmo quindi costruire l’asse della responsabilità con due estremi: responsabilità GRANDE e responsabilità PICCOLA. In alto, vicino all’estremo della grandezza troveremo così l’imprenditore, poi il direttore generale e così via, in basso, vicino all’estremo della piccolezza troveremo l’operatore, l’impiegato e salendo, il caporeparto, etc., come indicato nella seguente figura (diagramma 1) :
Possiamo ora costruire l’altra dimensione, quella della qualità umana che fa grande una persona e/o un leader, sono tutte le competenze dell’intelligenza emotiva (capacità di riconoscere, utilizzare, comprendere e gestire in modo consapevole le proprie e altrui emozioni – emozione /cuore). Anche qui abbiamo i due estremi della grandezza e della piccolezza (diagramma 2).
Si parla di grandezza in senso figurato (Treccani), parlando di cose concrete o astratte che siano considerevoli, grandi per qualità o quantità. Ho scelto di definire l’aspetto qualitativo: la qualità umana. Sempre il dizionario prosegue dicendo che il delirio di grandezza è, in psichiatria, un disordine mentale, quindi nel nostro asse andrebbe riportato nella piccolezza, mentre se riflettiamo in senso morale, elevatezza, magnanimità, andrebbero riportate sull’asse della grandezza. La piccolezza, invece, con riferimento a qualità morali e intellettuali, esprime in genere un giudizio di meschinità, limitatezza, insufficienza(Treccani).
A questo diagramma ne possiamo affiancare un altro, quello dell’expertise, incrociandolo con la responsabilità. L’expertise consiste in una combinazione fra il buon senso e le conoscenze e le capacità specialistiche che andiamo raccogliendo nel fare qualsiasi lavoro. L’expertise è frutto dell’apprendimento in trincea. E’ la consapevolezza dei trucchi del mestiere – quell’autentica conoscenza sul come fare il lavoro che deriva solo dall’esperienza. (Daniel Goleman)
Così una grande expertise corrisponde al manager o imprenditore esperto, o all’operatore capace di svolgere il proprio lavoro con maestria e competenza; una bassa expertise è invece tipica del manager o imprenditore che non sa bene come condurre la propria azienda, o l’operatore non addestrato e inesperto. Le competenze richieste variano naturalmente con il tipo di lavoro che si deve svolgere (diagramma 3).
La sovrapposizione dei due diagrammi indica l’area del successo, della motivazione, dei risultati e del significato (Diagramma 4). Come sostiene Goleman: Quell’expertise è solo un requisito-soglia: anche in campi eminentemente tecnici, i supervisori eccellenti non si distinguono per le loro abilità tecniche, ma per le capacità di trattare con le persone (intelligenza emotiva).
Vediamo di dedurne qualche conclusione:
- Chi ha una “grandezza” di responsabilità, ma è “piccolo” nell’ambito della gestione delle emozioni (trattare le persone) dovrebbe apprendere e sviluppare l’intelligenza emotiva. Egli si convinca che una cattiva gestione delle persone, aldilà di altre pur importanti considerazioni, costa moltissimo all’azienda.
- Chi ha una “piccolezza” di responsabilità dovrebbe apprendere a lavorare in team, a collaborare e a trattare con le varie figure aziendali. La conoscenza di alcune competenze soft di base non può che facilitare la gestione delle relazioni.
- Expertise: alle componenti specifiche del lavoro, andrebbero affiancate una serie di competenze nuove, sia a livello di leader (problem solving, capacità di insegnare, capacità di migliorare, strategia, abilità per comunicare efficacemente, etc) sia a livello più basso (problem solving, tecniche per il miglioramento, etc).
Esistono cioè tutta una gamma di nuove competenze che le dinamiche del business impongono rispetto a una situazione in molte organizzazioni, nelle quali vi è un continuo depauperamento di competenze professionali e umane.
Ritornando alle nostre “dimensioni”, per chi ha grande responsabilità, vi è una “piccolezza nella grandezza” positiva: umiltà di voler continuamente apprendere, quello che nello zen si chiama la mente del principiante nella quale vi sono molte possibilità, mentre in quella dell’esperto, poche.
La piccolezza di chi anche se in posizione di grande responsabilità rimane aperto e disponibile agli altri, comprende e sa quando tacere e ascoltare. La scelta di farsi piccolo per far crescere, sviluppare e emergere la grandezza dei suoi collaboratori. Ecco, prima di essere grandi dobbiamo imparare a essere piccoli: Nessuno può toccare la grandezza di cui è pur capace, se prima non ha la forza di vedere la sua piccolezza. (Bertrand Russell)
Vi è anche una “piccolezza nella grandezza” negativa: la meschinità, la lotta di potere, la presunzione, che può gonfiare un uomo, ma non lo farà mai volare (John Ruskin), il trattar male le persone, il non voler affrontare i problemi e il nascondersi dietro a manuali e procedure. Essere “piccoli” in tutte quelle manifestazioni umane in cui invece il leader dovrebbe dar prova di grandezza.
Sulla “grandezza nella grandezza” potremmo dire molto, questo è proprio l’ambito del vero leader, dove egli riesce a fare la differenza. Se pensiamo a Kennedy, Churchill, Gandhi, Martin Luther King, Ferrari, Olivetti e tanti altri, essi avevano grandi responsabilità alle quali hanno affiancato una grandezza tutta umana, fatta di intelligenza, di cognizione e emozione, di mente e cuore.
Vi è, infine, una “grandezza nella piccolezza”. Quella grandezza di chi fa ogni giorno il proprio dovere con pazienza, impegno e sacrificio, perché sa che è giusto così. Chi, a prescindere dal posto che occupa nell’organizzazione, non smette di continuare a imparare e a migliorare, perché questo dà significato al suo lavoro e a se stesso come persona che, pensa, sente, immagina e vuole applicare la sua intelligenza e la sua creatività a migliorare se stesso e magari anche il suo lavoro.
Perché, infine, per quanto “piccolo” sia il nostro spazio, il nostro ambito di responsabilità, esso non è mai nullo e noi possiamo scegliere di fare la differenza, per noi e per gli altri. Questo è quello che possiamo iniziare a fare per “far accadere il futuro”.
Ciò che rende bello il deserto è che da qualche parte vi è nascosto un pozzo. (Antoine De Saint-Exupery). Ecco caro amico, cosa possiamo cominciare a fare: cercare il nostro pozzo.
Buona settimana
Massimo