È un affare rischioso uscire dalla porta di casa. (J.R. Tolkien)
La leadership e il desiderio di apprendere sono indispensabili una all’altro.
J.F. Kennedy
Il mondo ha bisogno di leader con una visione invece che di leader in televisione.
Lech Walesa
Abbiamo appena finito un workshop intenso dedicato alla Lean Leadership, con Bob Emiliani; manager e imprenditori hanno riflettuto sulle competenze che i leader devono sviluppare in contesti e mercati difficili e complessi come gli attuali.
Bob è un pensatore originale e innovativo, che da molti anni parla di Lean e ne parla in un modo che si avvicina molto anche alla nostra visione, cioè, coniugando il miglioramento continuo con il rispetto per le persone, approccio che egli chiama “Real Lean” contrapposto alla “Fake Lean” che guarda solo al miglioramento (strumenti), omettendo le persone e che alla fine si traduce o in cosmesi o in licenziamenti.
L’attenzione alle persone è diventata da qualche tempo popolare, quando altre società di consulenza, si sono accorte che mancava qualcosa nella loro applicazione parziale della lean e così hanno, in qualche modo, aggiunto questo elemento al loro repertorio. Adesso che abbiamo parlato di leadership, sono certo che anche quest’altro elemento fondamentale troverà una qualche sistemazione. Quale sia poi il contenuto o il senso che questi “esperti” vorranno e sapranno dare, è tutta un’altra questione.
Bob è stato uno dei primi, se non il primo, a parlare di Lean Leadership molti anni fa e al suo lavoro molti hanno attinto senza citarne né la fonte, né l’origine, né il carattere originale del suo contributo.
I casi di successo di una “trasformazione lean” sono davvero molto pochi, di solito si tratta di implementazioni parziali, ristrette all’ambito manifatturiero e nei casi più evoluti, allargati allo sviluppo prodotto, ma rari sono i casi di utilizzo della Lean come sistema di management; la vulgata popolare la interpreta come un’attività di produzione e lì rimane confinata da chi non ha colto né lo spirito, né le potenzialità.
E’ un interessante esempio di “bias di conferma”: Il bias di conferma (Confirmation Bias) è un fenomeno cognitivo al quale l’uomo è soggetto. È un processo mentale che consiste nel ricercare, selezionare e interpretare informazioni in modo da porre maggiore attenzione, e quindi attribuire maggiore credibilità, a quelle che confermano le proprie convinzioni o ipotesi, e viceversa, ignorare o sminuire informazioni che le contraddicono. Il fenomeno è più marcato nel contesto di argomenti che suscitano forti emozioni o che vanno a toccare credenze profondamente radicate. (Wikipedia)
Cambiare uno stile di gestione aziendale è uno sforzo troppo faticoso: è più facile leggere la lean come cosa di produzione in tal modo evitando cambi troppo profondi nelle pratiche di management.
Le ragioni per questa resistenza tipica dell’imprenditore o del manager sono diverse, ne possiamo listare qualcuna:
- Incapacità di mettere in discussione il proprio stile di management. Qui il manager fallisce proprio nel primo obiettivo: quello di cambiare e di migliorare prima di tutto a livello personale.
- Non conoscenza della filosofia del miglioramento continuo (kaizen).
- Ragioni di politica interna o di carriera.
- Mancanza di conoscenza pratica ed esecutiva: il leader in un’azienda votata alla filosofia del miglioramento continuo dovrebbe essere il primo ad applicarlo, conoscerlo e praticarlo, per poterlo poi trasmettere ai propri collaboratori. Spesso le attività di miglioramento sono viste come azioni operative di basso livello che svilirebbero il ruolo e l’importanza del manager, il quale ne ha quindi solo una conoscenza vagamente intellettuale.
- Difficoltà nel superare le barriere tra funzioni: sempre più, nelle aziende, purtroppo, si opera a silos con un’incapacità di collaborare trasversalmente, risultato di mancanza di metodi e tecniche condivise, obiettivi conflittuali, mancanza di una leadership forte centrale, di una visione, etc.
- Mancata comprensione della filosofia kaizen o lean come “sistema” che funziona ed esprime tutte le sue potenzialità, quando, è trattato appunto come “sistema” (umano, tecnologico, organizzativo, mentale, manageriale, dalla progettazione alle vendite) e non come un insieme di parti o di tecniche.
- Incompetenza di chi è chiamato ad applicare la lean all’interno dell’organizzazione. Spesso i cosiddetti esperti hanno colto solo l’aspetto tecnico-strumentale e non l’aspetto umano e organizzativo, per cui applicano le ricette e gli schemi trovati nei libri o imparati in corsi teorici.
Il risultato di quanto sopra è appunto un’immagine di facciata (Fake Lean) che produce disaffezione e demotivazione, riducendo il tutto al seguire procedure di cui si è perso il senso, non parliamone poi se come risultato degli sforzi di chi fa le attività, il tutto si riduce a licenziare persone, chiudere stabilimenti, etc.
Recentemente ho saputo che in qualche area sono anche iniziati degli audit per determinare il livello di applicazione della lean all’interno delle aziende, se non ci fosse da piangere la cosa sarebbe abbastanza comica: la lean come le procedure ISO, la storia si ripete!
Con Bob Emiliani condividiamo l’idea che il sistema di management sottostante alla lean sia qualcosa di più fondamentale e profondo che non il semplice impiego di una cassetta di attrezzi o l’utilizzo di immagini (neanche tanto suggestive) con un numero variabile di colonne.
Personalmente ritengo che una certa visione della “lean” sia oramai obsoleta e che mai, così come viene proposta, possa funzionare davvero e toccare un’intera organizzazione. Credo che cercare di copiare Toyota, le sue tecniche e le sue procedure, sia un errore e non funziona, così com’è sbagliato qualunque sistema che guarda alle “best practice” e non alle “next practice”.
L’obiettivo dovrebbe essere quello di sviluppare un proprio sistema, una propria organizzazione partendo dall’esperienza e dalle tecniche conosciute per farle evolvere adattandole alla specifica realtà aziendale.
Con Bob condividiamo la ricerca continua di nuovi modelli e sistemi e l’applicazione del miglioramento continuo a se stesso, portandolo verso nuovi livelli di pensiero e di azione.
Un cambiamento profondo deriva dalla conoscenza dei punti di forza e di debolezza che l’organizzazione ha e dalla creazione di una visione profonda verso la quale indirizzare gli sforzi di tutti.
In Italia, soffriamo, tra le altre cose, di un serio problema culturale: vedere le aziende con un’ottica antica e obsoleta.
Ancora oggi, nel 2015, il training delle proprie persone è visto come premio da elargire se si sono comportate bene e non come competenza strategica che serve prima di tutto all’azienda stessa, creando le condizioni per uno sviluppo sostenibile di idee, prodotti e servizi che sempre di più dovranno essere innovativi. Rimborsi spese ai manager, viaggi, auto aziendali, acquisti di macchine spesso sotto utilizzate, software costosissimi, meeting, rappresentano spesso voci molto più corpose dei budget della formazione.
Processi mal strutturati o nati per problemi oramai scomparsi o creati da chi non conosce come funzionano le cose davvero, bloccano l’operatività costringendo le persone a lungaggini e inefficienze che drenano energie e tempo.
Una leadership spesso autoreferenziale e paurosa blocca i cambiamenti che sarebbero necessari nell’interesse stesso dell’azienda.
Ecco quello che bisogna profondamente cambiare:
- arricchire e continuamente migliorare le competenze delle persone;
- cambiare la cultura, ovvero il modo di fare le cose;
- costruire un nuovo modello di leadership più moderno, che voglia costruire il business nel lungo periodo, attento alle persone e alla collettività, innovativo, che crei nuovi presupposti di sviluppo e che esca dai vecchi paradigmi.
E’ un invito, un messaggio, un’impellente e non più procrastinabile necessità.
Se vogliamo trovare uno sviluppo duraturo, dobbiamo cercare nuovi modelli e nuovi punti di partenza. Se vogliamo trovare successo, dobbiamo cercare nuovi modelli di leadership. Se vogliamo trovare la nostra visione e la nostra missione dobbiamo cercare di pensare e agire diverso.
A volte è rischioso uscire dalla porta di casa ma è un rischio che vale la pena di correre se vogliamo andare avanti come leader e vogliamo far andar avanti le nostre persone e la nostra organizzazione.
Buona settimana
Massimo