In molte situazioni e ambiti, personale, organizzativo, politico, sociale, siamo straordinariamente bravi nella ‘normalizzazione’.
Definiamo innanzitutto la normalizzazione.
Facciamo riferimento alla definizione della Treccani:
Normalizzazione s. f. [der. di normalizzare]. – 1. L’atto, il fatto di normalizzare, di normalizzarsi, d’essere normalizzato; ritorno a una situazione considerata normale 2. Azione, svolta in genere da appositi enti autorizzati (enti nazionali o internazionali di n.), intesa a stabilire un certo numero di norme comuni, fondate sui risultati acquisiti dalla scienza, dalla tecnica, dall’esperienza, e pubblicate in forma di documento, per mettere ordine in determinati campi di attività produttiva (industriale, economica, agricola, culturale, ecc.) e a vari livelli (settoriale, aziendale, nazionale, internazionale), attraverso direttive generali riguardanti l’organizzazione del lavoro, i procedimenti produttivi, la qualità e la dimensione dei prodotti, ecc. (Treccani.it)
La ‘normalizzazione’ si manifesta operativamente nel ‘rendere normale’ avere un problema che deve essere accettato, dato per acquisito, ‘normale’ (che segue la norma, conforme alla norma: un comportamento normale; abituale, comune, consueto, nella norma, ordinario, regolare, solito, usuale – Treccani.it) e che deve ‘essere gestito’.
In altre parole la ‘devianza’, intesa come scostamento da una situazione ‘normale’, viene appunto ‘normalizzata’ a parte della quotidianità.
Il punto è che sebbene ci siano ‘devianze’ positive e auspicabili e che introducono un fattore di novità nel sistema, ci sono devianze negative che peggiorano lo stato del sistema.
Scriverò sulla devianza positiva in un successivo post, oggi vorrei occuparmi della ‘devianza negativa’ che viene, appunto, normalizzata.
Non solo siamo così bravi nel processo di normalizzazione che ci scriviamo sopra pure delle procedure ma ci abituiamo a convivere con problemi e criticità senza mai mettere in discussione i presupposti e le cause che le hanno originate.
Assistiamo così a un continuo ‘spegnere gli incendi’ che drena energie e risorse dirottando gli sforzi verso un mantenimento difettoso dello status quo.
Le evidenze raccontano che una buona parte dei problemi/criticità che affliggono certe organizzazioni sono cronici, sono sempre gli stessi, non vengono né affrontati né risolti ma appunto ‘gestiti’.
Chi apparentemente ‘risolve’ il problema viene tenuto in alta considerazione e ritenuto uomo della provvidenza da chiamare quando necessario.
Sappiamo del resto che il pompiere che salva il bimbo dalla casa in fiamme ha l’onore della celebrità e chi invece fa in modo che l’incendio non scoppi non appare mai. E’ quello che definisco il mito del supereroe; così un buon capo passa dal suo lavoro normale (Clark Kent) alla trasformazione in eroe (Superman) quando c’è un problema anche se nelle vicinanze non è disponibile nessuna cabina telefonica.
Il contrario di quello che diceva il famoso titolo di un film: Sotto il vestito niente. No, sotto il vestito, il costume di Superman…
Ma su queste ‘soluzioni’ potremmo discutere a lungo, non quadrano infatti con l’altra affermazione che si affrontano i problemi di sempre che quindi non vengono risolti ma solo ‘tamponati’.
Anziché intervenire per sistemare un sistema gestionale che non fornisce agli utenti le necessarie informazioni, si ‘gestisce la cosa’ tollerando il nascere di un sottobosco di file (excel, word, ecc) che consente di svolgere il lavoro richiesto e nasce cosi, parallelamente al sistema ufficiale, un sistema nascosto che vive di vita propria.
Una procedura difettosa di gestione dei resi non viene modificata rendendo più facile prendersela con il povero impiegato che deve utilizzare un processo inadeguato per gestire il problema.
L’analisi di problemi qualitativi si limita alla registrazione secondo le procedure senza risolvere le cause dei difetti.
Una manutenzione inefficiente viene ‘tamponata’ con continui interventi di riparazione che abbassano l’efficienza.
Una struttura organizzativa non più confacente alle nuove problematiche di un mercato in rapido cambiamento non viene ridisegnata per non alterare gli equilibri interni.
E ancora, mi sono sempre chiesto se negli ospedali esista un processo strutturato di analisi degli errori.
Oggi scopriamo che un monitoraggio efficiente dei ‘positivi’ ci aiuta a controllare meglio la pandemia (lo scrissi già ai primi di marzo…sig!).
E via di questo passo.
Freud diceva che ‘soffrire è meglio che agire’ e così soffriamo, lottiamo con sistemi difettosi e modelli mentali che pensano sia meglio ‘gestire’ i problemi invece di risolverli.
Ma poiché è nella logica delle cose e del mondo di oggi che i problemi tenderanno ad aumentare, vuol dire che ogni giorno dobbiamo risolvere i problemi che non abbiamo risolto ieri più quelli nuovi in arrivo. L’errata convinzione che ne deriva è ‘che non abbiamo tempo’ e quindi siamo presi in un loop di inesorabile disperazione.
Non troviamo tempo per fare le cose bene la prima volta, ma poi troviamo il tempo per rifarle una seconda, una terza e magari una quarta volta…
La ‘devianza negativa’ non va normalizzata ma eliminata, rimuovendo le cause che la creano. Vuol dire affrontare i problemi e cambiare quello che va cambiato.
L’aereo oggi è un mezzo molto più sicuro di altri e questo grazie all’analisi continua e sistematica dei vari incidenti (minori e maggiori); sui velivoli vi è un sistema di registrazione, la scatola nera, che consente di analizzare e studiare quello che è successo per comprenderne le cause.
Ogni organizzazione dovrebbe sviluppare una propria ‘scatola nera’ dove registrare e studiare i vari problemi in modo che le soluzioni diventino parte del know-how aziendale.
Tra le altre cose, vuol dire creare un clima dove l’errore possa essere discusso:
Esiste un modo veloce per capire se la vostra azienda pensa all’insuccesso come a un fattore negativo. Chiedetevi cosa accade quando si scopre che è stato commesso un errore. Le persone si chiudono in se stesse invece di provare a decifrare insieme le cause dei problemi per poi superarli e proseguire? Vi domandate di chi è la colpa? Se è così allora il vostro è un ambiente che condanna il fallimento. Che è di per se già abbastanza difficile da gestire anche senza aggiungere la complicazione della ricerca di un capro espiatorio. (Ed Catmull)
Ogni organizzazione e ogni persona dovrebbero possedere competenze di problem-solving strutturato.
Spesso vediamo imprenditori e top manager prendere decisioni senza nessuna analisi approfondita ma solo di pancia, seguendo la storia o l’intuito, fondamentali certo ma a cui si dovrebbe affiancare anche un modo di pensare più sistemico.
Lo sviluppo di un nuovo prodotto o la definizione di una strategia aziendale sono problem-solving di alto livello che andrebbero approcciati con strumenti scientifici a cui affiancare creatività e immaginazione.
Vediamo purtroppo il ripetersi delle soluzioni di sempre, delle ricette dei guru, in un perenne riciclaggio del solito, dell’ovvio e di soluzioni (che non risolvono nulla) copia e incolla.
Bisognerebbe ‘normalizzare’ l’analisi scientifica, lo studio dei problemi, la ricerca e la verifica di soluzioni vere, lo spirito di migliorare sempre, l’apertura , la discussione libera e, soprattutto, trovare il tempo per farlo.
Ma anche quella del ‘tempo che non c’è’ è un’altra storia curiosa che ci piace raccontarci per razionalizzare così il non-fare, la conformità allo status quo, un modo solo leggermente più sofisticato con quale si manifesta la resistenza al cambiamento, molto forte soprattutto ai piani alti dell’organizzazione. Eh si, perché affrontare certe situazioni e certi problemi vuol dire accettare il rischio che emerga che il problema stia proprio li… e allora ‘gestiamo’ che è meglio di ‘cambiamo’…
A te caro amico/lettore che hai avuto la pazienza di seguirmi fino a qui, riflettere se così è sostenibile, se ‘normalizzare la devianza’ è una soluzione o la parte impegnativa del problema che bisogna affrontare.
Buona settimana
Design a better world
Massimo