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Galleggiamento

By 11 Novembre 2019 Novembre 13th, 2019 No Comments

Galleggiamento.

Il post precedente – L’inquinamento sociale e la dimensione dimenticata (2/11/19) – ha toccato qualche nervo scoperto.

Un amico-lettore mi ha scritto:

La mia riflessione riguarda i 30 enni che galleggiano. A parer mio le organizzazioni di oggi invece che valutare e valorizzare talenti interni che hanno, ma che si sono trasformati in cinici ed incattiviti (pur non essendo vicini alla pensione), prediligono la ricerca delle competenze necessarie nei talenti al di fuori o in consulenti. Questo però innesca un circolo vizioso di sfiducia nelle persone che si sentono poco valorizzate visto lo scarso investimento che si fa nel formarle per paura che poi l’investimento non crei un ritorno all’azienda perchè ci si espone al potenziale rischio che la persona si licenzi.

Un pensiero che merita attenzione perché esprime un sentimento comune e un problema reale.

“30 enni che galleggiano”, persone nella fascia di età tra i 30-38 anni, oggetto della mia affermazione nel post sopracitato, che ha attivato qualche riflessione.

Riporto qui sotto una frase del post:

Si incontrano così persone di trent’anni che ogni due/tre anni hanno cambiato azienda, di fatto senza avere una reale competenza se non quella di aver imparato a “galleggiare” in un sistema che, cinicamente, premia l’arte di sopravvivere.

Il galleggiamento (stare a galla) descrive molto bene la situazione attuale.

Dove si galleggia?

In acqua naturalmente, e nel linguaggio corrente ci si riferisce all’acqua allo stato liquido.

E la parola “liquido” mi suggerisce un’idea di “liquidità” proposta dal sociologo Zygmunt Bauman:

“Vita liquida” e “modernità liquida” sono profondamente connesse tra loro. “Liquido” è il tipo di vita che si tende a vivere nella società liquido-moderna. Una società può essere definita “liquido-moderna” se le situazioni in cui agiscono gli uomini si modificano prima che i loro modi di agire riescano a consolidarsi in abitudini e procedure. Il carattere liquido della vita e quello della società si alimentano e si rafforzano a vicenda. La vita liquida, come la società liquido-moderna, non è in grado di conservare la propria forma o di tenersi in rotta a lungo.

In una società liquido-moderna gli individui non possono concretizzare i propri risultati in beni duraturi: in un attimo, infatti, le attività si traducono in passività e le capacità in incapacità. Le condizioni in cui si opera e le strategie formulate in risposta a tali condizioni invecchiano rapidamente e diventano obsolete prima che gli attori abbiano avuto una qualche possibilità di apprenderle correttamente. E’ incauto dunque trarre lezioni dall’esperienza e fare affidamento sulle strategie e tattiche utilizzate con successo in passato: anche se qualcosa ha funzionato, le circostanze cambiano in fretta e in modo imprevisto (e forse imprevedibile).

(…) La vita liquida è, insomma, una vita precaria, vissuta in condizioni di continua incertezza. Le preoccupazioni più acute e ostinate che l’affliggono nascono dal timore di esser colti alla sprovvista, di non riuscire a tenere il passo di avvenimenti che si muovono velocemente, di rimanere indietro, di non accorgersi delle “date di scadenza”, di appesantirsi con il possesso di qualcosa che non è più desiderabile, di perdere il momento in cui occorre voltare pagina prima di superare il punto di non ritorno.

(Zygmunt Bauman – Vita liquida)

Quello che affligge un’intera generazione è proprio questa “vita liquida”, di “continua incertezza”.

Cosa si fa in acqua?
Si galleggia, appunto!
Così molti galleggiano cercando di farsi trasportare dalla corrente con la tecnica del “fare il morto”, cioè non muovendosi, oppure, per i più attivi, agitando braccia e gambe.

Ho scritto molte volte su alcune modalità discutibili di comportamento aziendale e sulla necessita che le aziende aggiornino modelli di leadership oramai stanchi, vecchi e decrepiti, che abbandonino certe pratiche prive di senso (tra le altre proprio la ricerca dei “talenti”, sig!) e che tornino a concentrarsi su quello che conta davvero.

Al di là delle aziende, vi sono anche considerazioni che riguardano proprio le persone che ci lavorano o che sono alla ricerca di un’organizzazione cui dedicare il proprio lavoro.

Già, perché galleggiare non è precisamente nuotare.

E se non si vuole continuare a galleggiare è necessario imparare a nuotare.

Nuotare richiede sforzo, energia, impegno e magari una direzione.

Fuor di metafora, vuol dire abbandonare l’idea di cercarsi un posto di lavoro ogni 2/3 anni (ovviamente stante alcune premesse di stabilità e serietà dell’azienda per la quale si lavora), nell’illusione di trovare un posto perfetto o di fare una carriera lampo e di decidere, invece, di investire energie, risorse, capacità, tempo e impegno, proprio li, dove si è appena arrivati, cercando di cogliere e magari creare opportunità di crescita, dando il proprio contributo senza riserve.

Molte aziende, serie, scontano una mancanza di lealtà a volte incomprensibile da parte proprio delle persone appena assunte.

Queste persone sono pronte a cambiare o ricercano sistematicamente nuove posizioni, in modo opportunistico non appena una nuova proposta appare all’orizzonte, preoccupandosi di una continua ricerca in qualcosa che sfugge sempre e che trova evidente manifestazione in quei famosi curricula di cui parlavo, pieni di cambi di lavoro a intervalli appunto di 2/3 anni a cui si associa una insoddisfazione di fondo, un senso di incompletezza, sfiducia e cinismo, una ricerca per un’azienda ideale che non esiste.

Così come certe modalità negative affiggono alcune aziende è altrettanto vero che atteggiamenti di galleggiamento, discutibili oltreché inefficaci, si ritrovano tra alcune persone alla ricerca della scorciatoia verso posizioni o retribuzioni di livello e che vogliono evitare accuratamente l’impegno e la fatica necessarie per ottenerle.

Figli di “X Factor” e di una cultura del disimpegno e dell’apparire, credono che il successo sia lì, pronto, facile e disponibile.

Non galleggiate! Nuotate!
Cercate una direzione, agite con impegno e responsabilità.

Cercate un’azienda o un’organizzazione che abbia potenzialità, che sia attenta alle sue persone e che non sia ossessionata dall’idea dei “talenti”.

Identificate modelli positivi che siano di ispirazione.
E metteteci passione!

Lavorate per sviluppare il vostro potenziale, dare un contributo e lasciare il segno.

Quell’esperienza sarà comunque preziosa e se proprio vi sarete accorti che quell’azienda non fa per voi avrete sviluppato capacità e competenze preziose.

Non esiste un sostituto all’impegno, al lavoro serio e alla competenza, anche se siamo indotti a credere il contrario.

E se l’azienda non investe sulla vostra formazione, fatelo voi.

Mantenetevi efficaci e competenti.
Investite su voi stessi!
E’ il miglior investimento che possiate mai fare.
Come ben diceva Seneca, il successo è quando l’opportunità incontra la preparazione.

Prepariamoci e l’opportunità arriverà…

Massimo
Buona settimana
Design a better world!

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