Perché il successo non giustifica tutto…
Ho letto una citazione attribuita a Napoleone: La storia mi avea insegnato assai, che nelle grandi imprese il successo giustifica tutto.
E’ davvero così?
Il risultato – il “cosa” – è davvero così fondamentale da superare l’attenzione al “come” ci si arriva?
Pare proprio che l’enfasi sia sul risultato, sul fine, i mezzi poi seguono …
Schiere di manager si lanciano nella ricerca spasmodica, a tutti i costi, del brillante successo con tanta determinazione da non esitare a fare mosse azzardate pur di poter mostrare un numero “eccitante”!
Il manager che produce un risultato a due cifre può così sentirsi orgoglioso e dimostrare tutto il proprio valore, la capacità di decisione e le proprie qualità volitive.
“L’azienda è cresciuta del xx%…wow!”
Figlio del mito della crescita – del fatturato, del profitto, del numero di pezzi venduti – la ricerca del risultato stressa sistemi, persone e processi, ma, Napoleone docet, il successo giustifica tutto!
Dubito che l’affermazione di cui sopra sia sempre vera e che la crescita sia davvero l’unico indicatore del valore di un’azienda e, più importante, che sia giusto essere disposti a tutto pur di ottenere il risultato.
Una delle ragioni della crisi del 2008 e di molti altri scandali finanziari che hanno coinvolto anche aziende importanti, è stata l’eccessiva enfasi sulla ricerca del risultato a tutti i costi, consentendo comportamenti sempre più disinibiti da parte di personaggi che venivano spinti, in maniera ossessiva, alla ricerca di business sempre più grandi con il miraggio di bonus rilevanti.
I risultati sono quelli che conosciamo.
Quando emergono sono evidenti a tutti i comportamenti illeciti che ricevono grande enfasi da parte della stampa, soprattutto se a essere coinvolte sono aziende famose.
Se l’azione commessa è illegale e viene scoperta, viene sanzionata dal sistema di leggi vigente.
Il termine illecito, in diritto, indica un comportamento umano contrario all’ordinamento giuridico, in quanto costituisce violazione di un dovere o di un obbligo posto da una norma giuridica, al quale un’altra norma ricollega una sanzione.
Il comportamento che costituisce l’illecito può essere commissivo (ossia un’azione), quando viola un obbligo o dovere negativo (di non fare), oppure omissivo (ossia un’omissione), quando invece viola un obbligo o dovere positivo (di fare o di dare). (Wikipedia)
In alcuni casi il problema è più sottile e più complesso.
Si può osservare un comportamento legalmente corretto ma moralmente discutibile, ossia tutti quei comportamenti che pur non infrangendo nessuna legge appaiono, se analizzati con obiettività, eticamente scorretti.
Riporto la definizione di etica della Treccani: ètica, nel linguaggio filosofico, ogni dottrina o riflessione speculativa intorno al comportamento pratico dell’uomo, soprattutto in quanto intenda indicare quale sia il vero bene e quali i mezzi atti a conseguirlo, quali siano i doveri morali verso sé stessi e verso gli altri, e quali i criterî per giudicare sulla moralità delle azioni umane.
Se si concorda con la definizione data, si dovrebbe ragionare proprio sui criteri per giudicare sulla moralità delle azioni umane, cioè ci sono azioni corrette (eticamente), buone e azioni scorrette, sbagliate.
In sintesi, non è vero che il successo giustifica tutto…
Ci sono cose giuste e cose sbagliate e si dovrebbe comprendere e analizzare la differenza.
Il famoso scandalo delle emissioni truccate di Volkswagen è un illecito:
Sette anni di carcere e una multa di 400mila dollari. È la sentenza inflitta a un ex manager di Volkswagen, accusato di avere partecipato al cosiddetto dieselgate, la frode legata allo scandalo emissioni che nel settembre 2015 travolse il gruppo tedesco. Si tratta di Oliver Schmidt, cittadino tedesco 48enne che dal 2014 all’inizio del 2015 aveva lavorato da Ann Arbor (Michigan) come capo dell’ufficio per l’ingegneria e l’ambiente di Volkswagen in America. Era stato arrestato a inizio 2017 dall’Fbi e da allora si trova in un carcere del Michigan. All’inizio dello scorso agosto Schmidt si è dichiarato colpevole per avere contribuito a frodare funzionari Usa e clienti con veicoli a motore diesel su cui era stato montato un software illegale; l’obiettivo era superare i test del governo Usa sulle emissioni. La sentenza è stata pronunciata in un tribunale di Detroit (Michigan) dal giudice Sean Cox, secondo cui la frode rappresenta un “crimine molto serio e preoccupante a danno del nostro sistema economico”.
(ilsole24ore, 7 dicembre 2017, Dieselgate: ex manager Volkswagen condannato in Usa a 7 anni di carcere)
Ancora più interessante il prosieguo dell’articolo:
(…) Schmidt ha fuorviato “consapevolmente” gli inquirenti e ha «partecipato attivamente” nella distruzione di documenti e prove. “Ha visto come un’opportunità di avanzamento della sua carriera il tentativo da parte di VW di coprire questa frode immensa negli Stati Uniti”, ha detto il giudice rivolgendosi a Schmidt. Quest’ultimo sostiene di avere seguito gli ordini dei suoi superiori nel fuorviare i regolatori ma allo stesso tempo ha mostrato pentimento. “Accetto la responsabilità delle cose sbagliate che ho commesso”, ha dichiarato commosso.
(ilsole24ore, articolo citato)
Altri comportamenti non illegali si dimostrano deboli per non dire eticamente scorretti se analizzati dal punto di vista dei doveri morali verso sé stessi e verso gli altri.
L’azienda che ricorre alla cassa integrazione (o alla mobilità o alla solidarietà) e che tuttavia riconosce i bonus ai suoi manager mette in atto una distribuzione dei sacrifici che, per usare un eufemismo, appare quantomeno iniqua e, appunto, moralmente discutibile.
Così nell’ambito del lavoro ritroviamo tutta una serie di comportamenti corretti legalmente ma francamente difficilmente sostenibili da un punto di vista etico: il protrarsi di contratti di lavoro temporaneo per anni, persone pagate ben al di sotto di un salario minimo e così via. Tutti fenomeni ben conosciuti e tollerati dal sistema, sindacati inclusi.
Da questo punto di vista la recente crisi iniziata nel 2008 ha visto tutta una serie di comportamenti da parte delle aziende che in alcuni casi hanno assorbito la crisi senza ricadute sulla forza lavoro ad altre che non hanno esitato a scaricare a terra (sulla fascia più debole della popolazione aziendale) i fulmini della recessione. Se ne deduce che alcune imprese hanno avuto una gestione delle difficoltà con attenzione alla loro risorsa più importante, le loro persone, mente altre guidate dalla folle ricerca del contenimento dei costi … a tutti i costi, non si sono fatti troppi problemi nel tagliare il personale, con buona pace delle varie mission aziendali che mettono i dipendenti al primo posto.
Il basso livello di fiducia e lo sconcerto che provano molti dipendenti derivano proprio da tutta una serie di comportamenti border line che hanno drasticamente ridotto e incrinato la credibilità di un management che appare molte volte più attento alla propria carriera e al proprio bonus che all’interesse più generale dell’azienda, delle sue persone, alla loro crescita e sviluppo e al contributo alla comunità.
Una delle cause del calo di credibilità di alcune organizzazioni è da ricercarsi in quei comportamenti “moralmente discutibili” di cui più sopra e cioè nel venire meno di alcuni presupposti che governano la vita di una collettività (l’azienda) e cioè la fiducia, il senso di appartenenza e di protezione che sono prerogative di qualunque gruppo degno di tale nome e che rappresentano il cemento dei legami e rapporti tra i suoi membri; il tutto in un contesto dove l’integrità (coerenza tra il dire, il fare e il pensare) è soggetta all’andamento degli indici trimestrali e, quindi, invece di essere data per certa è variabile e incerta.
L’evoluzione del mercato richiede sempre di più la ricerca di un nuovo livello di collaborazione e di interazione all’interno dell’azienda, relegando certe azioni, comportamenti e modelli di pensiero nonché stili di management al passato tayolorista e fordista, oramai superato dalla storia, dalla velocità del business e dalle opportunità offerte dalle nuove tecnologie.
Coinvolgimento, motivazione, integrità, collaborazione, allineamento, saranno le nuove parole d’ordine delle aziende di successo – non quello a tutti i costi ma quello costruito giorno per giorno con le persone – del prossimo futuro.
Il modello del manager di successo sarà, per fortuna, destinato a cambiare, ed è facile presumere che anche la dimensione etica assumerà sempre più una valenza importante, perché tutta questa tecnologia, questa velocità, farà emergere in maniera forte proprio il ruolo centrale della persona e allora dovremo ripensare all’idea di successo… che non giustifica sempre tutto.
Design a better world
Buona settimana
Massimo