Il leone e il vitello giaceranno insieme. Ma il vitello non dormirà molto.Leoni e vitelli, scene di vita quotidiana catturati in una frase ad effetto, secondo Woody Allen. Perché una frase di un famoso attore, regista, autore?
Perché, oggi, facciamo una piccola incursione nel mondo del cinema.
Il regista è il responsabile artistico e tecnico di un’opera audiovisiva che può essere cinematografica, televisiva o di un videoclip musicale, di un corporate video (film industriale) o di un documentario. Dirige gli attori e coordina il set, controllando il lavoro dei collaboratori e imposta e dirige le riprese e inquadrature: è sovente considerato il vero e proprio autore di un film (Wikipedia).
Un imprenditore o un manager sono responsabili della parte “tecnica” e di quella “artistica”. Il risultato del loro lavoro è un prodotto o un servizio.
Lavorano con un “cast” per creare una storia … che, si spera, piaccia al pubblico.
Alcuni registi fanno film soltanto per il pubblico. Altri, come Steven Spielberg o Alfred Hitchcock, fanno film sia per il pubblico che per se stessi. Hitchcock era impareggiabile in questo, sapeva esattamente come sedurre e manipolare il pubblico. Si potrebbe dire che, però, realizzava soltanto film di suspense, e in un certo senso è così, ma dietro ci sono una filosofia e una psicologia così personali da fare di lui un grandissimo regista.
(…) Per quanto mi riguarda, io faccio film per me stesso. Penso e so che là fuori ci sarà un pubblico, ovvio, ma quanto sarà grande non lo so. Qualcuno vedrà il film, qualcuno lo apprezzerà, qualcuno tornerà persino a rivederlo, ma certamente non tutti. Perciò credo che il modo migliore di lavorare, per me, sia fare il film come se fossi io il pubblico.
(Martin Scorzese – da L’occhio del regista a cura di Laurent Tirard)
Chi crea un’azienda lo fa certamente per portare qualcosa al suo pubblico – il mercato – ma lo fa anche per se stesso, per realizzare qualcosa in cui crede e in cui si vuole impegnare.
E, come nel caso di Hitchcock, dietro il tipo di organizzazione che si costruisce, ci sono la filosofia e la psicologia dell’imprenditore o del gruppo dirigente, cioè le premesse sulla cui base sono costruiti i sistemi, le modalità operative, i processi e i comportamenti.
L’organizzazione aziendale riflette le strutture tecniche e operative necessarie alla conduzione del business, ma poiché ogni azienda è un sistema socio-tecnico (persone e tecnologie) essa è in qualche misura l’effetto pratico di tutta una serie di convinzioni, più o meno vere e più o meno funzionanti, riguardanti le interazioni tra persone, sistemi e tecnologie.
Una buona domanda, quindi, è chiedersi: per cosa e per chi fai il regista?
Un paio di volte ho incontrato degli studenti, soprattutto nelle università americane, e ho risposto alle loro domande sui miei film. Mi ha colpito notare che evidentemente il mio cinema non assomigliava affatto a ciò che i docenti gli avevano insegnato. Si vedeva benissimo che erano persi e disorientati, non perché le mie risposte fossero complesse, ma al contrario perché erano semplici. Credevano che gli avrei rivelato tutta una serie di regole precise e a lungo ponderate, ma in realtà o ci sono troppe regole o ce ne sono troppo poche. E potrei citare centinaia di esempi per dimostrare che è possibile fare un buon film trasgredendo tutte le regole. Mi ricordo che girando il primo, per una serie di grossi problemi sono stato costretto a fare diverse inquadrature della stessa scena nell’arco di un intero anno. Come conseguenza all’inizio della scena l’attrice ha i capelli corti, nell’inquadratura successiva sono di media lunghezza, e nella terza sono lunghissimi. Quando me ne sono accorto durante il montaggio del film, ho pensato che il pubblico avrebbe protestato vivamente, perché questo andava contro la più elementare delle regole, quella della coerenza. Ma nessuno si è accorto di niente. Mai. E questa per me è stata una grande lezione: mi ha dimostrato che alla fine a nessuno importa niente degli errori tecnici se il film racconta una storia interessante e da un punto di vista originale. Ecco perché il mio consiglio per chiunque desideri fare film è di farli, anche se non sanno come. Impareranno facendoli, nel modo più intenso e organico possibile.
(…) Secondo me, infatti, la tecnica è un’illusione. Per quanto mi riguarda, mi rendo conto che più imparo meno desidero utilizzare ciò che ho imparato, è quasi un impedimento, e io miro sempre di più alla semplicità.
(Pedro Almodovar – opera citata)
Il miglior modo di guidare un’organizzazione è di farlo…
Imparare e migliorare, apprendere e correggersi.
Altro che MBA, tecniche, ricette facili e manuali da consulenti.
Cuore e mente e tanta fatica, motivazione e voglia di fare.
Andare oltre le tecniche, con passione e dedizione.
Penso sia importante per un regista abbandonare l’illusione di potere – o, anche peggio, di dovere – controllare tutto del proprio film. Di fatto, per realizzare un film occorre una troupe composta di esseri umani, e gli esseri umani non possono essere controllati al cento per cento. Si può scegliere un’inquadratura, ma quando viene il momento di girarla, tutto è nelle mani dell’operatore. Si possono passare ore e ore a discutere dell’illuminazione che si desidera, ma alla fine sarà soltanto il tecnico delle luci a decidere. Non ha nessuna importanza. In primo luogo perché la battaglia che si combatte contro i limiti del proprio controllo è, in se stessa, estremamente creativa; e in secondo luogo perché ci sono aspetti sui quali il controllo rimane completo e su cui ci si deve concentrare.
Questi aspetti sono tre: il testo, la recitazione degli attori e la scelta del colore principale (quello che determinerà il set, i costumi e il tono generale del film). E’ in questi tre elementi che riesco ad esprimere me stesso, e cerco di approfittarne il più possibile. Ma il concetto di controllo è davvero piuttosto relativo su un set, a qualunque livello.
(…) Durante le riprese ogni decisione che prendo è dominata dall’istinto: agisco come se sapessi esattamente dove sto andando, ma in effetti non lo so. Non conosco il percorso o, piuttosto lo riconosco quando lo vedo. In ogni caso non conosco la destinazione.
Il cinema perciò è soprattutto sperimentazione.
(Pedro Almodovar – opera citata)
Quanti imprenditori e manager non riescono a liberarsi dell’illusione del controllo? Si potrebbe parlare di ossessione – dietro la quale vi è la paura o l’insicurezza – per definire e controllare tutto nei minimi particolari. Il risultato è una cronica mancanza di fiducia.
I tre aspetti sui quali il controllo non deve mancare sono: il testo – i valori che l’organizzazione esprime; la recitazione degli attori – i comportamenti corretti e adeguati; il colore principale – la cultura aziendale, cioè il modo di fare le cose. Così valori, comportamenti e cultura si sostengono e si integrano gli uni con gli altri.
Come si potrebbe del resto controllare nel minimo dettaglio il comportamento di un venditore, o di un addetto al servizio clienti o all’assistenza tecnica? Ma se essi hanno fatto proprio il testo, la recitazione e il colore, svilupperanno una trama che è in linea con la sceneggiatura del film.
E come fare film, secondo Almodovar, è sperimentazione, così anche in un’azienda ci dovrebbe essere la possibilità di sperimentare. Zone libera dall’errore per provare cose nuove, dove è possibile sbagliare per costruire innovazione.
E’ molto importante non fare della regia un procedimento troppo intellettuale, soprattutto non mentre si sta girando.
Posso riflettere molto a lungo su un film prima di farlo, e certamente dopo, ma cerco di non pensare troppo quando sono sul set. Il mio modo di lavorare consiste nel determinare il prima possibile quale sia il tema del film, quale si l’idea centrale espressa dalla storia. Una volta compreso questo, una volta concepito un principio unificatore, ogni altra decisione presa sul set ne deriva naturalmente e sarà influenzata da questo. E secondo me il successo di un film dipende da quanto le scelte operate dal regista sul set sono o non sono fedeli all’idea originale.
(Sydney Pollack – opera citata)
In molte organizzazioni, troppe, non è per nulla chiaro, quale sia il tema del film, e a volte di temi ce ne sono troppi, generando una trama incoerente e spezzettata.
Per usare un termine spesso usato, non c’è allineamento tra i top manager rispetto alle strategie, ai comportamenti e ai valori. Il regista decide di non scegliere oppure nei fatti opera scelte in contrasto con il tema del film.
Spesso mi domandano quale sia il segreto per dirigere gli attori, e tutti credono che io stia scherzando quando rispondo che l’unica cosa dafare è ingaggiare professionisti di talento e poi lasciare che facciano il loro lavoro. Ma è vero. Molti registi tendono a dirigere eccessivamente i loro attori, e gli attori li lasciano fare perché, bè, adorano essere diretti eccessivamente. A loro piace discutere all’infinito della parte, razionalizzare l’intero processo di costruzione di un personaggio, ma spesso è proprio così che si confondono le idee e perdono la spontaneità o il loro talento naturale. Penso di sapere da dove deriva questo: credo che gli attori – e forse anche i registi – si sentano in colpa se fanno qualcosa che riesce loro così facile e naturale, e così cercano di complicarlo per giustificare il fatto che vengono pagati. Io sono ben lontano da questa logica.
Certo, se un attore ha un paio di domande, rispondo come meglio posso, ma comunque ingaggio professionisti di talento e lascio che facciano ciò che sanno fare. Non li costringo mai, mi fido ciecamente del loro istinto recitativo, e di rado vengo deluso.
(…) Quando esce uno dei miei film tutti si stupiscono di quanto sia brillante la recitazione, gli attori stessi ne sono colpiti, e mi trattano come un eroe. Ma in realtà sono loro che hanno fatto tutto il lavoro.
(Woody Allen – opera citata)
Qualche amico/lettore si starà chiedendo come mai ho scelto un brano dove Woody Allen parla di ingaggiare professionisti di talento, bè, in realtà penso che a differenza del mondo del cinema, in azienda i talenti vadano creati facendo leva sulla capacità di imparare che hanno le persone. Il mito del talento o la ricerca del principe azzurro sono appunto leggende e scorciatoie spesso seguite per ovviare alla difficoltà o alla incapacità di far crescere le persone condannandole a invecchiare mentalmente e a diventare così obsolete.
Un’organizzazione, diciamo di cento persone, ha cento talenti potenziali e di questo si dovrebbe parlare e lasciare il mito del talento a X-factor e a programmi similari.
Woody Allen dice poi di lasciare che facciano ciò che sanno fare, un principio forte che apre tutta una serie di considerazioni e riflessioni.
Se si sono scelti bene gli attori, il novanta per cento del lavoro del regista sulla recitazione è già fatto. Ma naturalmente il restante dieci percento è più complesso, perché ogni attore è diverso dall’altro, ognuno ha il proprio modo di lavorare, di comunicare. E non è possibile prevedere che cosa succederà.
(…) Ho capito quanto sia importante ascoltare gli attori. Bisogna dirigerli, certo, ma questo in realtà significa semplicemente mostrargli quale sia l’obiettivo da raggiungere, dopodiché tocca soltanto a loro decidere come arrivarci.
(Tim Burton – opera citata)
E infine un’ultima riflessione con Jean-Luc Godard: credo che un regista abbia molti doveri, e questo sia nel senso professionale sia morale del termine. (L’aspetto morale spesso dimenticato, non solo il “cosa”, ma anche il “perché” e la distinzione tra cose sbagliate e cose giuste.)
Il primo è quello di esplorare, di essere in costante stato di ricerca. Un altro è di lasciarsi stupire una volta ogni tanto.
(…) Quanto al terzo dovere di un regista, credo sia, molto semplicemente, riflettere sul perché fa ciascun film, e non accontentarsi della prima risposta.
Nella risposta a quel “perché” sta tutta la differenza tra un grande regista e uno mediocre, la scelta tra essere un leone o un vitello …
Design a better world …
Buona settimana
Massimo