Be like water, my friend.Siamo costruiti per lavorare con modelli e schemi, per questo facciamo tanta fatica a liberarcene.
In realtà queste strutture sono molto utili fino a quando non diventano bloccanti.
Ne ho scritto a più riprese, con la convinzione che la capacità di modificare i nostri modelli di pensiero è una caratteristica molto umana e unica della nostra specie. E che dovremmo saper padroneggiare.
Quando ci presentiamo, come azienda, a qualche potenziale cliente, succede, che cerchi di incasellarci in questo o quell’altro modello, e questo nonostante diciamo che non ci riconosciamo in nessuno di essi.
La persona che ci incontra per la prima volta, non può non classificarci in qualche modo ed è meglio una sbagliata a nessuna categoria.
E’ un problema di chiarezza di comunicazione?
Potrebbe essere, ma c’è anche una causa più profonda:
Per lo più, le persone non accolgono di buon grado le nuove idee. Le nuove idee sono fattori di disturbo. Quando sembrano accettarle di solito le modificano per farle somigliare a quelle vecchie. Il cervello è costruito per avvicinare idee poco familiari a categorie che invece lo siano. (Theodore Zeldin – Ventotto domande per affrontare il futuro)
L’attribuzione della categoria o dello schema d’incasellamento può diventare limitante, perché definisce dei confini a priori, che escludono tutto quello che non includono e cioè rappresenta una visione parziale della realtà.
Insomma, la mappa non è il territorio.
E che dire poi se si crea una nuova categoria?
Possiamo cambiare e ampliare i nostri schemi?
Non è facile ma è possibile.
Possiamo modificare i nostri modelli mentali e ampliare le categorie attraverso l’apprendimento.
Nel suo bel libro, Ventotto domande per affrontare il futuro, Theodore Zeldin, si chiede “cosa vale la pena sapere?”:
Io vivo nell’era dell’informazione, dell’economia della conoscenza e dell’apprendimento permanente, e tuttavia credo di essere profondamente ignorante.
(…) Potrei dare la colpa della mia incapacità a imparare tutto ciò che dovrei sapere all’essere nato troppo tardi. Intorno al 1600 avrei potuto leggere quasi tutti i 400 libri che uscivano ogni anno in Inghilterra nel momento stesso della pubblicazione. Gli uomini del Rinascimento se la cavavano meglio di noi. Oggi, invece, mi trovo di fronte a 200.000 libri nuovi ogni anno oltre a tutti gli altri generi di pubblicazioni, riviste e audiovisivi.
Questa cifra esclude tutto ciò che viene prodotto al di fuori della mia piccola isola (l’Inghilterra). Ogni anno nel mondo si pubblicano mezzo milione di libri. L’umanità, dunque, sta entrando chiaramente in una nuova fase della storia dell’ignoranza.
(…) Internet è l’erede di questa lunga serie di antenati (le enciclopedie). Anche se rende disponibili informazioni di ogni genere a un pubblico molto più vasto, non ne estrae alcun significato.
(…) L’arrivo di eserciti di Chief Information Officer e Knowledge Manager impegnati a riorganizzare dati per dare un contributo al benessere della società e alla sopravvivenza dei governi lascia ancora senza risposta la domanda su ciò che valga la pena conoscere per le persone comuni che vogliono vivere una vita più interessante. Questi esperti dell’informazione si interessano ai processi con cui le informazioni possono essere immagazzinate e manipolate, non al loro contenuto e tanto meno al loro valore morale. Assaporare la poesia non fa parte del loro lavoro, e non sono né veggenti né saggi. Non sorprende, dunque, che oggi gli esseri umani non siano affatto più saggi dei loro antenati. A che servono le informazioni senza la saggezza? Nessuno dice, infatti, che questa è l’età della saggezza.
(…) Creare conoscenza è un’arte ed è qualcosa di molto diverso dal semplice assorbire informazioni o eliminare l’ignoranza.
Quell’arte di creare conoscenza sarà una competenza sempre più fondamentale in un mondo immerso in dati e informazioni che si riverseranno su persone e organizzazioni come uno tsunami. Analizzare i dati in modo strutturato, vedervi possibili modelli e trend, capirne le implicazioni, saranno skill che dovranno essere padroneggiate nell’immediato futuro, da aziende, manager e imprenditori.
Ogni volta che mi trovo davanti un oggetto, una persona o un’esperienza, non solo vedo com’è, ma anche in quale altro modo potrebbe essere. Mi chiedo sempre: come potrebbe essere altrimenti? Questa è la domanda che ha reso gli esseri umani ciò che sono oggi, perché senza vivremmo ancora sulla cima degli alberi. (Theodore Zeldin – opera citata)
Una domanda che punta al potenziale, all’intuizione, all’immaginazione, a risposte non ovvie.
La mia risposta alla domanda “cosa vale la pena sapere?” è questa: non importa quante cose conosco, ma cosa faccio con queste informazioni. Costruire qualcosa di utile e bello con quello che imparo non assomiglia a costruire una casa con dei mattoni che sono stati ordinati in anticipo. E’ più simile a dipingere un quadro che prende forma solo gradualmente. Mentre aggiungo e tolgo colori e contorni, ogni gesto apre delle possibilità che non potevo immaginare in anticipo e mi precipito ad approfondire la comprensione che ho di loro e alla ricerca di nuovi territori, che a loro volta aprono nuove prospettive e nuovi significati per i pensieri troppo ingenui o semplici dai quali ho iniziato. Di solito finisco per creare una cosa del tutto diversa da ciò che avevo previsto. E’ così che seleziono ciò che voglio sapere, un processo che è tanto più imprevedibile nel suo esito perché mi attira verso luoghi che prima non conoscevo. L’eccitazione arriva al culmine quando le persone o i luoghi o le idee che fino a quel momento sembravano scollegati tra loro o irrilevanti si uniscono per suggerirmi nuove intuizioni e sono in grado di fare lo stesso per altri. (Theodore Zeldin – opera citata)
Decidere cosa fare con quelle informazioni non è scontato e molti semplicemente non ci fanno nulla.
Zeldin cita Richard Feynman scienziato sul quale ho avuto modo di scrivere qualche pensiero:
“Quello che oggi chiamiamo conoscenza scientifica è un insieme di dichiarazioni con vari livelli di certezza… E’ di fondamentale importanza che riconosciamo questa ignoranza e questo dubbio” aggiunse Richard Feynman (1918-88). “Il primo principio della scienza è che non dobbiamo ingannare noi stessi… Io vivo da sempre senza sapere”.
In molti vivono ingannando se stessi, seguendo percorsi facili, ispirazioni di guru affabulatori, e modelli per tutte le stagioni.
Nello specifico il mondo delle aziende è pieno di modelli, schemi, comportamenti codificati, luoghi comuni e pensieri antichi.
Adesso sappiamo per certo che le due più grandi scoperte del XX secolo in genetica e in fisica quantistica sono state il frutto di lunghe conversazioni tra persone con diversi punti di vista. “La scienza si affida agli esperimenti; i suoi risultati vengono raggiunti attraverso i colloqui tra chi lavora a quegli esperimenti e discute sull’interpretazione dei loro risultati”. (Theodore Zeldin – opera citata)
Una nuova strategia, lo sviluppo di un prodotto nuovo, l’organizzazione di una campagna di marketing, potrebbero essere il risultato di conversazioni tra persone con diversi punti di vista e il risultato di esperimenti?
Niels Bohr sosteneva che: “gli esseri umani dipendono dalle parole. Il nostro compito è comunicare esperimenti e idee agli altri. Siamo sospesi nel linguaggio”.
E’ impossibile dunque, sapere in anticipo cosa valga la pena conoscere; solo quando un frammento di conoscenza ne incontra un altro essi scoprono se hanno qualcosa da dirsi, e il collegamento nasce dalla scintilla imprevedibile di un’immaginazione individuale.
(Theodore Zeldin – opera citata)
Basterebbe un piccolo collegamento tra queste idee di Zeldin e l’oscurantismo medievale di certe aziende per capire come queste organizzazioni siano rimaste cristallizzate nel tempo e saranno sempre in perenne rincorsa. Organizzazioni che operano secondo principi oramai superati, guidate da “Inquisitori” che temono l’eresia, non capendo che proprio quell’idea nuova può essere innovativa e fare la differenza.
Quelle idee sono fattori di disturbo: stravolgono lo status quo, alterano gli equilibri, rispondono a modelli diversi, non rientrano nelle logiche insegnate nelle business school, confliggono con tutta una serie di convinzioni e assunzioni – non scientifiche, ma comode – e soprattutto obbligano a modificare comportamenti e modi di pensare, per cui è più salutare ignorarle.
Ciò che davvero vale la pena di conoscere è la forma del modello che impongo ai dati che mi si riversano in testa, e la trama del setaccio che ne scarta così tanti.
Tutto ciò diventa visibile solo dopo il confronto con modelli e setacci di altre persone, motivo per cui ho bisogno che mi diciate cosa avete scoperto delle vostre predilezioni, cosa vedete e cosa no, anche se non lo saprete nemmeno voi finché non vi confronterete con molti altri. (Theodore Zeldin – opera citata)
Conoscere la forma del modello e la trama del setaccio è fondamentale per aumentare la propria efficacia, cioè l’abilità di vedere e immaginare soluzioni nuove sia in ambito personale, sia in quello professionale.
Non è facile riflettere sul modello e sul setaccio, soprattutto con chi è convinto che esista solo un modello giusto o che la trama del suo setaccio sia della conformazione migliore e facendolo di mestiere, capisco che nel proporlo finisco a volte con il far parte dei fattori di disturbo; il nostro obiettivo è percorrere nuove strade e così la faccenda dei modelli e dei setacci ci tocca molto da vicino.
Anche quest’anno siamo in prossimità delle vacanze o forse qualcuno le avrà già terminate.
Trovare qualche momento per riflettere sui propri modelli e setacci è utile; utilizzare incontri, visite e conversazioni per rimetterli in discussione, importante e interessante.
Essere vivi non è semplicemente questione di avere un cuore che batte, ma è anche essere consapevoli di come battono altri cuori e come pensano altre menti gli uni in risposta agli altri. La malattia mortale che colpisce i viventi è il rigor vitae, la rigidità della mente che esaurisce la curiosità e la rimpiazza con una routine ripetitiva e ottusa; è più pericolosa del rigor mortis perché dà l’illusione di essere vivi. Lo si è solo nominalmente, tuttavia, se non riusciamo a dare alla luce pensieri che non si hanno mai avuti, né ci facciamo ispirare da ciò che gli altri pensano.
(Theodore Zeldin – opera citata)
Be like water, my friend.
Non essere un’unica forma, adattala e costruiscila su te stesso e lasciala crescere: sii come l’acqua.
Libera la tua mente, sii informe, senza limiti come l’acqua.
Se metti l’acqua in una tazza, lei diventa una tazza. Se la metti in una bottiglia, lei diventa una bottiglia. Se la metti in una teiera, lei diventa la teiera.
L’acqua può fluire, o può distruggere.
Sii acqua, amico mio.
(Bruce Lee)
Siamo come l’acqua! Lasciamo fluire nuove idee, usciamo dai limiti che molte volte sono credenze senza alcuna base fattuale.
Ampliamo i modelli, modifichiamo le trame dei setacci.
A presto. Ci ritroviamo a fine agosto.
Buone vacanze a voi, ai vostri cari e ai vostri collaboratori.
Massimo