Le aziende e la gallina di Shingo.Shigeo Shingo, un ingegnere giapponese cha ha dato un grande contributo al miglioramento dei processi e delle attività manifatturiere, in uno dei suoi libri, racconta di un esperimento condotto da alcuni scienziati per valutare la capacità di cambiare le abitudini.
Gli scienziati misero una scimmia in una gabbia; ogni giorno, una banana era posta nella stessa posizione, all’esterno davanti alle sbarre, in modo che la scimmia la potesse facilmente raggiungere estendendo il braccio. La cosa andò avanti fino a che la scimmia non si abituò.
In seguito la banana fu allontanata un po’, dove la scimmia non poteva raggiungerla; gli scienziati, a questo punto, aprirono la porta sul retro della gabbia. La scimmia tentò più volte di raggiungere la banana senza successo ma, accortasi della porta aperta, uscì dalla gabbia e andò a prendersi il frutto.
Lo stesso esperimento fu ripetuto con un cane che imparò velocemente a uscire dalla porta sul retro della gabbia e poter così raggiungere il cibo.
Quando lo stesso esperimento fu eseguito con una bambina di 5 anni, ella imparò a uscire dalla porta più velocemente della scimmia ma, non del cane.
Finalmente lo stesso esperimento fu ripetuto con una gallina. La gallina non imparò mai a utilizzare la porta aperta.
Shingo finisce la sua storia con una domanda: ci sono galline di questo tipo nella tua organizzazione?
La storia della scimmia e della gallina è un bell’esempio di forza dell’abitudine, della difficoltà di cambiare e della differenza tra intelligenza e stupidità.
In un post recente, Jurassic Park e le quattro funzioni “dimenticate” del 14/2/2016, scrivevo che a un convegno cui ho avuto il piacere di partecipare come relatore, un esperto di tecnologie digitali ha ben illustrato e documentato i trend del futuro che riverseranno una mole di dati enorme sulle aziende; il mio commento purtroppo è stato che non ci sarà quasi più nessuno che avrà né il tempo, né le capacità di interpretarli. Stiamo creando organizzazioni statiche e rigide che non riescono più a imparare.
In altre parole, quanto è intelligente la tua organizzazione?
L’intelligenza è un processo che consente di risolvere nuovi problemi in modo efficace, cioè consente di generare nuove risposte all’ambiente interno ed esterno.
Per non perderci per strada, e poiché la scienza richiede parsimonia, comincerò con alcune precisazioni concettuali, dicendo anzitutto che cosa intendo per intelligenza.
Chiamo intelligenza la capacità di un soggetto di orientare il proprio comportamento utilizzando le informazioni captate, apprese, elaborate e da lui stesso prodotte.
Può quindi fallire perché non ha saputo orientare, captare, apprendere o utilizzare quanto appreso.
(…) Negli ultimi due secoli l’intelligenza è stata studiata relativamente alle capacità cognitive di base – tra cui quelle di percepire, stabilire relazioni, apprendere e argomentare – ossia ciò che viene valutato nei test sul Q.I., un arroccamento nel campo cognitivo che a mio avviso comporta una limitazione ingannevole.
L’apice dell’intelligenza, il suo successo, consiste nel saper orientare bene il comportamento. So già che quel “bene”, avverbio sospetto, scandalizzerà definitivamente i puristi, ma a ben guardare non sto dicendo nulla di strano.
Secondo una delle definizioni classiche dell’intelligenza, che mette tutti d’accordo, essa è la capacità di trovare una soluzione ai nuovi problemi.
(Josè Antonio Marina – Il fallimento dell’intelligenza)
Per estensione, poiché un’azienda è un insieme composto da sistemi, attrezzature e macchine, procedure/regole e persone, possono esistere organizzazioni intelligenti e organizzazioni stupide.
In questo senso, sviluppare una strategia, creare prodotti nuovi e più in generale, innovare, sono tutte espressioni d’intelligenza organizzativa.
Strettamente collegato all’intelligenza, vi è anche l’apprendimento:
L’apprendimento organizzativo è un processo mediante il quale l’individuo, attraverso le sue capacità, sviluppa delle azioni che permettono di migliorare la crescita cognitiva. Tiene conto della qualità dell’apprendimento e della crescita costante.
Possiamo parlare di apprendimento individuale quando la rivelazione e la modifica di un errore rimane conoscenza dei singoli soggetti, e non rientra come contenuto all’interno dell’organizzazione. Si parla invece di apprendimento organizzativo, quando l’individuazione di un errore e la sua correzione coinvolgono l’intero apprendimento collettivo, andando a modificare le mappe cognitive utilizzate nell’organizzazione. In conclusione l’apprendimento individuale giunge alla sua realizzazione quando si trasforma in apprendimento organizzativo. (Wikipedia)
In quelle aziende, dove prevale la logica dell’arrangiarsi (processi difettosi, mancanza di metodi strutturati, mancanza di leadership, ecc), i comportamenti e le azioni non accrescono le conoscenze collettive e l’azienda, pur composta di persone singolarmente intelligenti, appare nel suo comportamento, stupida, cioè avvitata sempre negli stessi problemi e nelle stesse modalità fallaci che ne impediscono la crescita e lo sviluppo(la gallina).
Per tener fede alla realtà dovremmo ammettere che la nostra intelligenza è composta di due livelli, come un appartamento su due piani: una cosa è la capacità intellettuale (il piano inferiore) un’altra l’uso che ne facciamo (il piano superiore). Un individuo molto intelligente può usare la propria intelligenza in modo stupido.
E’ questa l’essenza del fallimento, il grande paradosso dell’intelligenza che, come tutti i paradossi, ci fa quasi girare la testa. La discrepanza fra “essere” intelligente e “comportarsi” in modo intelligente rivela la presenza di uno iato fra i due livelli nel quale entrano in azione forze poco note. (J. A. Marina – Op.citata)
Un’analisi attenta alle aziende di successo dimostra come queste appaiano “intelligenti”, capaci di produrre nuova conoscenza, di modificare i comportamenti e di generare continuamente nuove risposte, creative e originali (innovazione e strategia). I due livelli dell’intelligenza comunicano efficacemente e funzionano.
Gli esperti di management anglosassoni hanno coniato da pochi anni una definizione brillante: learning organizations, alla lettera “organizzazioni che apprendono”, che si è in seguito rilevato di grande utilità. I giapponesi preferiscono parlare di organizzazioni che creano sapere, ma tutti sono comunque d’accordo su un punto: ci sono imprese intelligenti e imprese stupide. Le prime sanno gestire bene le informazioni, individuano velocemente i problemi e sono in grado di risolverli in modo rapido ed efficace, stimolano la creatività e raggiungono i propri obiettivi – creare valore per l’azienda – e al tempo stesso aiutano tutte le parti interessate – gli stakeholders – a fare altrettanto. Le seconde, quelle stupide, finiscono ad affollare i cimiteri aziendali.
Le imprese intelligenti riescono a far sì che un gruppo di persone, magari tutt’altro che straordinarie, ottengano risultati eccezionali grazie al modo in cui collaborano. Un’organizzazione intelligente è quella che permette di sviluppare i talenti individuali tramite un’interazione stimolante e fruttuosa, e si comincia a parlare di “capitale intellettuale” come di una delle principali voci attive in bilancio, anzi, come dell’unica vera ricchezza.
(J. A. Marina – Op.citata)
Così oltre all’obsolescenza programmata dei propri collaboratori (Il catalogo dell’anno scorso. Programmati per invecchiare o per crescere? post del 17 gennaio 2016), alcune organizzazioni non ne utilizzano al meglio le capacità intellettuali, diventando, purtroppo aziende “stupide”, incapaci cioè di generare nuove risposte.
Imprenditori e manager dovrebbero riflettere a fondo sul significato di “capitale intellettuale”, mentre, purtroppo, appaiono troppo spesso sensibili solo al “capitale fisico” (macchine, impianti, software, ecc.) non rendendosi conto che il futuro sarà sempre più “immateriale” e che, la differenza tra crescere e sparire, starà proprio nel livello del quoziente d’intelligenza organizzativo che avranno saputo stimolare, alimentare e creare.
Ricordiamoci della gabbia, della scimmia e della gallina …
Shigeo Shingo docet!
Buona settimana
Massimo