La farfalletta. L’apprendimento e l’innovazione vanno mano nella mano. L’arroganza del successo è di pensare che ciò che hai fatto ieri sarà sufficiente per domani.
(William Pollard)
Tutti ne parlano ma pochi la praticano, così è per l’innovazione.
La vispa Teresa avea tra l’erbetta A volo sorpresa gentil farfalletta
E tutta giuliva stringendola viva gridava a distesa: “L’ho presa! L’ho presa!”.
A lei supplicando l’afflitta gridò: “Vivendo, volando che male ti fò?
Tu sì mi fai male stringendomi l’ale! Deh, lasciami! Anch’io son figlia di Dio!”.
Teresa pentita allenta le dita: “Va’, torna all’erbetta, gentil farfalletta”.
Confusa, pentita, Teresa arrossì, dischiuse le dita e quella fuggì.
(La farfalletta – Luigi Sailer)
L’innovazione, come la “farfalletta” fugge.
Libri, convegni, guru, tutti ne parlano, ma pochi la praticano.
Una piccola verifica su Google produce:
alla parola innovazione, 21.700.000 risultati;
alla parola innovare, 2.270.000 risultati;
alla parola innovation, 465.000.000 risultati.
Provare per credere.
Insomma di materiale c’è né fin troppo.
E allora perché sfugge?
Ogni tanto qualche guru o esperto si alza, dicendo: “L’ho presa! L’ho presa!”, il suo urlo attira un nugolo di ascoltatori i quali, dischiudendo le dita, si trovano senza nulla.
Molto interessante e molto curioso.
Chi pubblicasse un libro raccogliendo tutte le ovvietà (blah-blahismi) che girano nel mondo del business, probabilmente dovrebbe scrivere diversi volumi, ma rischierebbe di non trovare lettori, perché come ha detto qualcuno, la verità è come il sole: fa bene finché non brucia.
E si sa, alcuni imprenditori e alcuni manager amano la tintarella, ma non vogliono abbronzarsi troppo (è venuta così…!).
In un articolo pubblicato su Wired, uno dei fondatori di Google, Larry Page, in una delle rare interviste ha detto:
Mi preoccupa che qualcosa sia andato seriamente storto nel modo con cui si gestiscono le aziende. Se leggete la copertura mediatica della nostra azienda o dell’industria tecnologica in generale, è sempre sulla concorrenza. Le storie sono scritte come se coprissero un evento sportivo. Ma è difficile trovare esempi reali di cose davvero sorprendenti che si sono verificate unicamente a causa della concorrenza. Quanto è entusiasmante andare lavorare se il meglio che puoi fare è battere un’altra società che fa ugualmente la stessa cosa? La maggior parte delle imprese si deteriora lentamente nel tempo perché tende a fare appassionatamente la stessa cosa che faceva prima, con qualche piccola modifica. E’ naturale che le persone vogliano occuparsi di cose in cui sanno che non falliranno. Ma il miglioramento graduale è inevitabilmente condannato all’obsolescenza con il passare del tempo. Specialmente nel campo della tecnologia, in cui sai per certo che avrà luogo un cambiamento non graduale.
(Steven Levy – Google’s Larry Page on Why Moon Shots Matter – Wired)
Fare appassionatamente la stessa cosa di prima, battere la concorrenza, occuparsi di cose in cui sanno che non falliranno … insomma mantenere lo status quo.
Il che è esattamente l’opposto di quello che è l’innovazione: far nuovo, alterare l’ordine delle cose stabilite per farne di nuove.
In molte aziende la verità è che non si deve produrre innovazione e se per caso qualcuno ci pensa, deve essere nel segno di continuità con il passato.
Così molte cose spacciate per innovazione sono in realtà modifiche o miglioramenti di prodotti esistenti, ampliamenti (completamenti) di gamma, risoluzione di alcuni difetti progettuali, personalizzazioni spinte. Certamente non sono prodotti nuovi.
Anche molte delle innovazioni di processo, nell’ambito delle tecnologie produttive per esempio, in realtà sono investimenti nel conosciuto e in macchine che magari hanno migliorato qualche performance (velocità, affidabilità, etc.) ma che in realtà sono una rivisitazione di una tecnologia oramai consolidata.
E’ molto forte la tendenza a vedere il futuro come un’estensione lineare del passato pensando che nulla di sostanziale cambierà e come logica conseguenza si continua a investire partendo dalle stesse premesse e dalle stesse tecnologie.
Molte decisioni di investimento sono così dettate da “stimoli di pancia” più che da un vero processo di innovazione.
La verità è che il nuovo spaventa e richiede scelte coraggiose, meglio allora optare sul già visto o sul già fatto, magari con una “lustratina”.
Potrebbe essere, come ipotesi di lavoro, che è sbagliato l’approccio e l’idea di quello che si ritiene il processo di innovazione? Cioè, che non è comprare l’ultimo gadget?
Come risultato di questo modo di pensare, alcune aziende investono cifre importanti in tecnologie del passato, perpetuando logiche che non esistono più: fare appassionatamente la stessa cosa di prima, battere la concorrenza, occuparsi di cose in cui sanno che non falliranno.
E si deteriorano lentamente…
Quanto più l’ambiente del business cambia, tuttavia, più velocemente diminuisce il valore di ciò che conosci in qualsiasi momento. In questo mondo, il successo dipende dalla capacità di partecipare a un crescente numero di flussi di conoscenza per aggiornare rapidamente le vostre riserve di conoscenza.
(John Hagel III, John Seely Brown, Lang Davison)
Alla diminuzione del valore di ciò che si conosce, alle vecchie ipotesi, agli antichi paradigmi, si contrappone la difficoltà di cercare nuove strade, di provare nuove idee.
In un mondo di start-up agili, innovative, sopravvivono a stento, dinosauri che pur grandi, potenti, sono lenti e incapaci di aggiornare se stessi. E la paleontologia ci ha già spiegato la fine che ha fatto la specie che non è stata capace di evolvere… è diventata un fossile!
Se il futuro non è nelle tecnologie o nei capitali, ma nelle idee che generano nuovi paradigmi tecnologici, molto deve essere cambiato.
Stiamo vivendo un’epoca di grandi cambiamenti e quello che sta cambiando è anche l’idea stessa di cambiamento.
Credere che qualche robot, qualche automatismo infernale o qualche software (vedi la tanto citata Industry 4.0), possa essere definita innovazione vuol dire non voler affrontare la realtà, cullarsi nell’illusione di una logica di mercato oramai obsoleta.
Il mondo sta andando in un’altra direzione.
E così la farfalletta continua a sfuggire…
Nell’etimologia della parola innovazione vi è il principio del fare e del nuovo, di alterare l’ordine delle cose stabilite.
Vuol dire modificare i processi, l’operatività, ma anche cambiare il modo cui pensiamo quando ci riferiamo all’innovazione, che non è più solo quella comprensibile della grande trovata tecnica, ma che si estende ad ampio raggio su tutta una serie di aspetti: dal marketing, alle vendite, alla progettazione, all’ideazione di nuovi prodotti e al sistema che rende tutti questi processi possibili, cioè il modo con cui gestiamo le aziende, ai presupposti ormai antichi della gestione aziendale, sostituendoli con presupposti e principi diversi, più moderni e soprattutto più funzionali.
Siamo disposti, allora, a fare impresa in modo diverso?
Siamo disposti e seriamente intenzionati ad alterare l’ordine delle cose stabilite?
Siamo convinti che pensare alla concorrenza ci porta verso le ricette di sempre e che la vera minaccia non arriverà da un concorrente, ma da qualcuno che riesce a cambiare in modo sostanziale il nostro mercato di riferimento?
“Uscire dallo schema” è una condizione necessaria per il sorgere di nuove idee, certo; ma come garantire a priori che saranno anche di rottura e pertinenti al problema presentato? La risposta è chiara: bisogna pensare con “altri schemi”, ovvero lasciare che la nostra immaginazione si butti in altre rappresentazioni del mondo, quelle che dissolvono i paradossi della realtà.
(…) Se lanciamo un gatto in aria esso cade sempre sulle zampe, lo sappiamo bene. Quando una fetta di pane con la marmellata finisce a terra, casca sempre sul lato della marmellata, anche questo lo sappiamo bene. E se, prima di lanciare in aria un gatto gli fissiamo sul dorso un pezzo di pane ricoperto di Sciroppo di Liegi? Vedete dove voglio arrivare?
Il pensiero creativo è un pensiero che non si ferma mai e che non conduce mai in un luogo preciso. Sempre aperto, ma sempre frustrante, non si adatta né ai limiti nè alle teorie. Ci scuote di fronte alle debolezze delle nostre certezze.
(Luc de Brandere – Pensiero magico. Pensiero Logico)
Scuotere e sfidare le debolezze delle nostre certezze. E c’è chi di certezze ne ha di granitiche, incapace, prima di pensare al nuovo, di abbandonare il vecchio.
Vi è una lezione nella filastrocca di Sailer.
Immaginiamo la vispa Teresa come una bimba che con l’innocenza tipica dei bambini, confusa e pentita arrossì, lasciò andare la gentil farfalletta, perché l’innovazione come la farfalletta, ha bisogna di libertà: di provare, di fare, di alterare l’ordine stabilito e di non essere imprigionata in schemi rigidi.
Solo allora può volare.
Design a better world …
Buona settimana
Massimo