Ho condiviso recentemente su Linkedin una bella riflessione di Alessandro Baricco di cui riporto un brevissimo estratto:
“Stiamo in bilico tra una intelligenza scaduta e un’altra ancora non adulta, che tarda ad arrivare.” E poi ancora: “Sono delle parole di Gramsci che io non ricordavo. Dicono così: “La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati”.
(La chiglia che abbiamo costruito – A.Baricco – Huffington Post 17/9/21)
Qualche anno fa avevo scritto una riflessione dal contenuto simile (sono sempre in anticipo sui tempi come qualche volta mi succede di osservare anche con un certo disagio):
E’ questo lo stato della Terra di Mezzo: il cambiamento avviene mentre siamo impegnati nel nostro quotidiano, così come succede in ogni epoca di transizione.
La singolare caratteristica di questi cambiamenti è profondamente diversa da quelli che hanno caratterizzato le epoche precedenti.
Le transizioni storiche precedenti si sono svolte in archi temporali lunghissimi, intere generazioni si sono succedute senza che nulla di veramente rilevante si manifestasse repentinamente.
I cambiamenti dell’epoca moderna, invece, hanno una velocità molto più elevata e, a volte, destabilizzante.
(La difficile navigazione della Terra di Mezzo e i due mondi– post 12 novembre 2017)
Intrappolati in questo ‘interregno’ o Terra di Mezzo cerchiamo conforto nelle vecchie certezze e nelle vecchie modalità.
Tutti felici che l’economia sta tirando guardiamo avanti con ritrovato vigore ed energia.
In realtà non stiamo ancora recuperando quello che abbiamo perso ma, probabilmente, prima o poi ci arriveremo. Il problema è sempre ‘come’ ci arriveremo.
La situazione è complessa e articolata: Supply Chain da ripensare, settori industriali che tirano e altri che hanno pesantemente risentito della pandemia, un deficit strutturale di manodopera, un sistema paese che arranca e via dicendo. La lista dei problemi è sotto gli occhi di tutti, almeno di quelli che hanno il coraggio di voler vedere.
Una frase campeggiava nell’assemblea di Confindustria che si è tenuta recentemente: SCEGLIERE DI CAMBIARE.
Ma davvero vogliamo scegliere e davvero vogliamo cambiare?
Lasciando questioni di politica da parte, guardo alle aziende, alle organizzazioni.
“Molte persone provano a cambiare la natura degli umani, ma è davvero una perdita di tempo.
Non puoi cambiare la natura degli umani; quello che puoi fare è cambiare gli strumenti che usano, cambiare le tecniche. Allora, cambierai la civiltà.”
Stewart Brand
(autore, curatore editoriale e creatore del Whole Earth Catalog e di CoEvolution Quarterly)
Cambiare gli strumenti, cambiare le tecniche…
tècnica s. f. [femm. sostantivato dell’agg. tecnico].
1. Insieme delle norme su cui è fondata la pratica di un’arte, di una professione o di una qualsiasi attività, non soltanto manuale ma anche strettamente intellettuale, in quanto vengono applicate e seguite (si contrappone ora a teoria, ora a arte o scienza nel loro significato più astratto);
2. In senso astratto e generico, l’insieme di attività pratiche basate su norme acquisite empiricamente, o sulla tradizione, o sull’applicazione di conoscenze scientifiche, che sono o sono state proprie di una data situazione sociale e produttiva, di una data epoca, di una data zona geografica: la tecnica dell’antichità, del medioevo, della società industriale; la tecnica egizia, cinese, ecc.; soggetta a evoluzione storica, soprattutto nel mondo occidentale, è caratterizzata da un insieme di relazioni reciproche, in base alle quali ha senso parlare di sistemi tecnici a cui corrispondono diversi livelli di capacità produttive e realizzative, volte ai fini sociali che di volta in volta si impongono
3. Sinonimo di procedimento (di lavorazione, di produzione, di analisi, ecc.)
(treccani.it)
Se scegliamo di cambiare dobbiamo cambiare nelle direzioni della definizione di ‘tecnica’: le norme cioè le pratiche e i processi. Non solo quelli strumentali ma anche quelli concettuali. E in questo secondo senso tutto diventa molto difficile e melmoso.
Ci servono strumenti, soluzioni…ma che possibilmente funzionino.
Non mode o ricette.
In un articolo sulla Harvard Business Review di qualche anno fa, Danny Miller e John Hartwick hanno ben illustrato l’attrattività delle “mode”, che spesso falliscono nel realizzare le alettanti promesse implicite nei loro nomi altisonanti.
Per Miller e Hartwick (Spotting Management Fads – HBR), le “mode” hanno otto qualità che le caratterizzano:
Sono SEMPLICI: facili da capire e comunicare; sono identificate con etichette, parole a effetto, liste e acronimi.
Sono PRESCRITTIVE: “ti dicono cosa fare, indicano specifiche azioni che i manager possono intraprendere per risolvere problemi o migliorare le loro aziende.
Sono FALSAMENTE INCORAGGIANTI: promettono risultati di grande fascino e interesse.
Sono SOLUZIONI ADATTE A TUTTI (One-sizes-fits-all): quale sia la tua organizzazione, il tuo settore, il tuo mercato, sono valide e danno risultati (così dicono!).
Sono FACILI DA COPIARE E INCOLLARE: essendo semplici e facili da applicare si possono sempre creare applicazioni parziali.
Sono in SINTONIA CON LA “VISIONE DEL MONDO” DEL MOMENTO: tutti le citano, le principali aziende le applicano, i guru continuano a parlarne.
Sono NUOVE MA NON RADICALI: “attirano l’attenzione per la loro apparente novità. Ma la loro freschezza è solo superficiale” e non compromettono le prassi manageriali esistenti in azienda o non intaccano i poteri costituiti, ossia non sono minacciose.
Sono LEGITTIMATE DA GURU E DISCEPOLI: “molte mode guadagnano credibilità dallo status e prestigio dei loro proponenti o seguaci, piuttosto che da prove empiriche.”
(Ricette per catastrofi – 29 marzo 2015)
Le soluzioni che funzioneranno dovranno, quindi, andare nella direzione contraria rispetto alle mode: semplici si, ma non facili (esiste una differenza tra semplicità e facilità e nel senso dei due autori predomina il concetto di facilità; la semplicità è difficile da ottenere); discrezionali e opzionali, cioè adattabili e flessibili, ossia aperte; esprimere con chiarezza l’impegno e la difficoltà, anche nell’ambito dei ruoli ricoperti all’interno dell’organizzazione e crescenti in relazione diretta alla posizione nella struttura (i top manager dovranno essere i primi a sporcarsi le mani); uniche o originali, adattate all’organizzazione, non ripetizione di modelli del tipo “One-size-fits-all”; esprimere una visione del futuro diversa da quella di moda; radicali e cioèche cambino davvero le cose: processi, mindset, comportamenti; legittimate dai fatti e dalla loro applicazione (quanti hanno scritto libri e dispensato saggezza salvo poi scoprire che non hanno prodotto risultati, o hanno fatto disastri, o non hanno titolo non avendo mai messo alla prova dei fatti le loro teorie?).
Avranno le organizzazioni, i loro manager, gli imprenditori il coraggio di abbandonare il vecchio e cioè tutto l’armamentario di miti, pratiche e modi di pensare che hanno dimostrato, non tanto di essere sbagliati, ma di non essere più adeguati a questi tempi?
“È conveniente che esistano gli dei, e, siccome è conveniente, lasciateci credere che esistano“. Ovidio
L’alternativa è il ritorno alle solite vecchie parole quali ‘turnaround’, ‘change agent’, ‘change’, ‘transformation’, ‘technology driven’, ‘industry 4.0’, ‘coaching’, ‘talent attraction’, ‘talent management’, ‘innovazione’ (parola buona per tutte le stagioni), ecc. ecc., termini di un passato che è andato. Narrazione – ‘storytelling’ come si dice oggi – che è diventata una mitologia, una leggenda che è contraddetta dalla dura realtà dei fatti. Siamo bravissimi a costruire storie, belle, interessanti, che possono ispirare, ma scegliere di cambiare richiede immaginazione, pensiero, fatti e duro lavoro.
“Gli eroi dei miti antichi erano semi-nudi, quelli dei miti odierni lo sono del tutto.”
Stanisław Jerzy Lec
Gli dei non esistono…
Quando si sono affrancati dalle leggende gli uomini e la civiltà hanno spiccato il volo. Così dovrà fare chi vuole costruire il nuovo.
“Nessuno ha mai fatto la differenza restando come tutti gli altri.”
Phineas T. Barnum
Pronti a fare la differenza?
Buona settimana
Design a better world.
Massimo