Badante: [part. pres. di badare]. – Persona, priva di particolari qualificazioni, che accudisce anziani, malati o persone non autosufficienti.
(treccani.it)
Nelle nostre camere, per esempio, è già possibile beneficiare delle virtù rasserenanti promesse da Dreem, una fascia di simulazione sensoriale, messa a punto dalla start up francese Rythm, da indossare sulla testa al momento di andare a letto e che mette insieme “i metodi più efficaci, dal biofeedback alla neuro modulazione, per migliorare la qualità del sonno”. Il dispositivo sorveglia i movimenti notturni dell’utente, il suo ritmo cardiaco e l’attività cerebrale attraverso un sistema di elettroencefalogramma. Emette suoni che si propagano per conduzione ossea allo scopo di favorire l’addomertamento e che si trasformano poi in “rumori rosa” destinati ad amplificare l’attività del talamo che regola il livello delle onde delta favorendo il sonno profondo. Per finire, in quello che considera il momento ideale rispetto all’attività cerebrale, aziona una sveglia cosiddetta “intelligente” fatta a seconda delle circostanze, di canti sintetici di uccelli o di cicale, per esempio. Un vero “coach del sonno”, come lo definiscono orgogliosamente i suoi ideatori. Al mattino un’applicazione dedicata rileva lo “sleep score” e rilascia una serie di commenti che suggeriscono i servizi e i prodotti da abbinare. Nei nostri bagni, invece, per chi lo desidera, la vasca può diffondere oli essenziali in funzione dell’umore attraverso cartucce in grado, poco prima di terminare, di ordinare da sé le proprie ricariche. A questo punto, tutti belli rilassati e avvolti nell’accappatoio, possiamo ascoltare, davanti alla nostra cabina armadio, i suggerimenti di stilisti virtuali come Echo Look, un dispositivo intelligente sviluppato da Amazon, pronto a consigliarci l’outfit del giorno o i vestiti da comprare offrendo simulazioni effettuate per mezzo di sistemi di realtà aumentata.
(…) Per farsi carico del nostro benessere, questi “smart agents” ci entrano dentro con tutti i loro sensori, con tutta la loro scienza, fino alle profondità della nostra psiche, grazie ai progressi dell’informatica cosiddetta “emotiva” (“affective computing”) che è già oggetto di numerose applicazioni.
(…) Il disegno esige la costruzione di un edificio a due piani. Nel primo trovano posto tutta una serie di strumenti sofisticati volti a guidare i nostri comportamenti; questi strumenti rappresenteranno le armi in grado di collocare il loro detentore agli avamposti della nuova lotta economica del nostro tempo; la conquista del comportamentale. Questa funge da base indispensabile per il piano superiore, incaricato di raggiungere l’obiettivo finale, ossia di essere continuamente parte integrante dei nostri gesti, individuali e collettivi, sempre al nostro fianco, sui nostri corpi, mentre facciamo l’amore, mentre dormiamo, quando siamo in bagno, in macchina, sui mezzi di trasporto, sul posto di lavoro, al ristorante, in mezzo agli amici, nei momenti di gioia e in quelli di dolore. L’industria del digitale deve ormai dare prova di una scienza del chronos; è impegnata a essere presente su tutta la linea del tempo delle nostre vite e pretende di dotarsi di tutti i mezzi utili per apparire, in ogni circostanza, come l’unica entità adatta a garantirci, meglio di noi stessi e di chiunque altro, il buon funzionamento delle cose. A tale scopo è fondamentale coltivare un acuto senso dell’occasione (kairos), saper anticipare, prima di tutti gli altri, le aspirazioni dichiarate e non dichiarate, reali o simulate, delle persone, e rispondervi; in altre parole, è fondamentale ergersi a maestro nell’arte del kairos.
(Eric Sadin – Critica della ragione artificiale)
L’espressione “assistentato algoritmico” è di Eric Sadin, scrittore e filosofo, “tra i maggiori e più sensibili critici della rivoluzione digitale”.
L’espressione “badante digitale” è invece mia, che non sono ‘scrittore’, a volte un pochino filosofo (almeno ci provo), né ‘maggiore’ e forse nemmeno troppo ‘sensibile’, ma cerco più umilmente di interrogarmi su quello che vedo.
Il libro di Sadin – Critica della ragione artificiale – merita un’attenta lettura e una ancora più intensa riflessione e il sottotitolo “Una difesa dell’umanità” indica già una direzione che mi intriga molto. E’ sicuramente uno dei libri più interessanti che ho letto recentemente.
E’ un invito a pensare alla, tanto sbandierata, “trasformazione digitale” che con la parola ‘trasformazione’, usata molte volte a sproposito, porta a un ragionamento su fenomeni che sono diventati pervasivi e totalizzanti.
La “trasformazione digitale” è diventata argomento quotidiano, slogan usato da organizzazioni pubbliche e private, ricetta miracolosa che promette efficienza e miglioramento delle prestazioni del sistema e/o dell’organizzazione che decide di intraprendere appunto questo percorso rivoluzionario.
Il recente dibattito (o forse sarebbe meglio chiamarlo ‘azione pubblicitaria occulta’?) su Industry 4.0 ne è un esempio in ambito industriale.
Ma è davvero così?
L’importanza crescente assunta dalla tecnologia nella società ha generato due categorie di persone, situate l’una agli antipodi dell’altra: i tecnofili e i tecnofobi. Esse danno conto di due modalità di percezione radicalmente opposte: da una parte, c’è chi considera la tecnologia il presupposto imprescindibile per il miglioramento delle condizioni di vita e prova piacere nel circondarsi di novità; dall’altra, c’è chi pensa che la produzione di artefatti contribuisca a sviare stili di vita sobri e “autentici” e a deteriorare il nostro ambiente, generando profitti destinati a un’elite.
(Eric Sadin – opera citata)
Non mi considero né un tecnofilo né un tecnofobo.
La tecnologia ha un suo chiaro percorso evolutivo che punta allo sviluppo e integrazione di nuove tecnologie e ha una traiettoria irreversibile. Non sono, in linea di principio, contrario a quello che considero un inevitabile e per certi aspetti, auspicabile sviluppo.
Cerco, tuttavia di non farmi trarre in inganno da ragionamenti mal posti, dall’uso improprio di termini, da evidenti falsità (fake-news e post-verità) e da conclusioni tratte senza nessuna base razionale o espressioni di negazione o conflitto di valori.
I “termini che utilizziamo contribuiscono a forgiare le nostre rappresentazioni (E.Sadin)” e così è, per esempio, con il concetto di “intelligenza artificiale”:
(…) Il principio di un’intelligenza computazionale modellata sulla nostra è sbagliato in quanto tra l’una e l’altra non esiste praticamente nessun rapporto di similitudine.
Questo per due ragioni. La prima è che queste architetture computazionali sono prive di corpo; esse non sono altro che delle macchine calcolatrici la cui funzione si limita alla semplice elaborazione di flussi di informazione astratti.
(…) La seconda ragione è che non esiste intelligenza che viva isolata, chiusa nelle proprie logiche.
(…) C’è un’irriducibilità nella vita, così come c’è un’irriducibilità dell’intelligenza umana, entrambe refrattarie a qualsiasi definizione circoscritta e a qualsiasi categorizzazione rigida. Come del resto c’è un’irriducibilità dei nostri sentimenti che resiste a qualsiasi iniziativa di schematizzazione integrale. L’intelligenza artificiale non è in alcun modo una replica della nostra intelligenza, nemmeno parziale; è l’abuso del linguaggio che ci fa credere che essa potrebbe essere in grado di sostituirsi con naturalezza alla nostra intelligenza al fine di garantire una migliore gestione delle cose che ci riguardano. In realtà si tratta più esattamente di una metodologia della razionalità, fondata su schemi restrittivi e volta a soddisfare qualsiasi tipo di interesse.
(Eric Sadin – opera citata)
Ed è anche così con tutta questa “connettività” diventata oramai pervasiva:
L’autorità fino a quel momento esercitata sugli apparecchi scivola verso la loro disposizione a essere “all’ascolto” dell’utente e a offrirgli, grazie alla connettività, alla potenza e alla velocità di elaborazione dei processori, alla geolocalizzazione e alla conoscenza evolutiva dei suoi comportamenti, non solo qualsiasi tipo di informazione personalizzata, ma anche e soprattutto suggerimenti giudicati appropriati all’esperienza di ciascuno.
(Eric Sadin – opera citata)
Trovo, ad esempio, la pubblicità di Amazon su Alexa – l’assistente intelligente – triste: hanno dato al nonno la sua ‘badante digitale’ (senza offesa per chi svolge questo lavoro così impegnativo e di responsabilità), specchio di un potenziale futuro dove il dialogo avverrà solo con assistenti personali digitali.
La conoscenza, il pensiero, la riflessione, l’attenzione e l’azione possono però aiutarci a guidare la traiettoria di sviluppo tecnologico verso una direzione più ‘umana’, dove la tecnologia sia a supporto e non sostitutiva.
All’opposto di una razionalità che brama in ogni circostanza di assecondarci, anticipare i nostri desideri e istituire un assistentato algoritmico del nostro quotidiano, noi facciamo nostra la formula di Kant -“abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza” (Sapere aude!) – per portare avanti le cose che ci riguardano, perché contiamo di darci da soli (autos) la nostra legge (nomos), avvalendoci pienamente della nostra autonomia che fonda il dovere di responsabilità, l’imperativo che costituisce l’onore del genere umano.
(Eric Sadin – opera citata)
Non possiamo e non dobbiamo rinunciare a quel potere di pensare e di scegliere che sono solo nostri e non di qualche algoritmo.
Ricordiamo il monito di Kant: Sapere Aude (osa sapere – abbi il coraggio di conoscere) !!!
Buona settimana
Massimo
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